Punture di spillo. Bilancio: quando i decimali hanno valore con buona pace di Giorgetti
a cura di Pietro Terna
E poi dice che i decimali non contano… In Italia per uno 0,2% si sconvolge il futuro del bilancio pubblico e tutta l’attenzione passa dal monumentale Piano strutturale di bilancio di medio termine[1] - Italia 2025-2029 (249 pagine) a un comunicato stampa dell’Istat[2] (una paginetta, non priva di un piccolo o grande mistero). Diventa evidente che le basi della manovra di fine anno, con la legge di bilancio che conterrà le proposte dell’esecutivo di prelievo e impiego delle risorse pubbliche (nel triennio successivo) da approvare da parte del Parlamento, si reggono su calcoli da equilibrista: una piccola correzione fa quasi cadere l’acrobata, ops, il ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti.[3] Seguono a catena dichiarazioni e controdichiarazioni, al limite di una crisi di nervi collettiva.
Il testo del comunicato dell’Istat è quasi un avviso ai naviganti. In data 4 ottobre 2024, alle 12.45, il testo integrale è stato sostituito. In particolare, la frase “La variazione acquisita per il 2024 è pari allo 0,6%, uguale a quella diffusa il 2 settembre 2024” è stata così modificata “La variazione acquisita per il 2024 è pari allo 0,4% in ribasso rispetto a quella diffusa il 2 settembre 2024 quando la variazione era stata stimata pari a 0,6%.”
Una rettifica o l’esito di uno scontro interno all’Istituto Centrale di Statistica in corso dall’inizio di settembre? E perché è così importante quello 0,2% di differenza? In euro corrisponde a 4,3 miliardi in meno, supponendo una pressione fiscale del 42% (p. 67 del Piano strutturale di bilancio) si tratta di 2,15 miliardi di gettito in meno. Un problema, certo, ma non un disastro. In realtà i conti non si fanno così, ma si basano sull’alchimia del rapporto deficit/PIL per il quale in questo caso cresce il numeratore e diminuisce il denominatore e dal valore 3,8 del rapporto si passa[4] a 3,9 modificando la base del percorso di rientro dalla procedura per deficit eccessivo al 2027.
Si veda la figura allegata, tratta da p. 8 del Piano strutturale di bilancio con tre vistose frecce rosse aggiunte da chi scrive. Il percorso di rientro del deficit, nella misura dello 0,55% di PIL all’anno sino al 2027, inizia in salita. Prima di tutto, con la correzione dell’Istat, il PIL 2024 crescerà dello 0,8% e non dell’1%; come visto, il rapporto deficit/PIL del 2024 sarà del 3,9% e non del 3,8. Le cose peggiorano se si considera che il piano incorpora uno speranzoso aumento del PIL nel 2025 dell’1,2% “sulla base del quadro programmatico”, mentre si indica uno 0.9% senza quegli interventi. E se diventassero restrittivi, come pare debbano essere ora per evitare il peggioramento dei conti?
La Banca d’Italia, intervenuta a una audizione[5] delle commissioni bilancio della Camera e del Senato il 7 scorso con Sergio Nicoletti Altimari, capo del Dipartimento Economia e Statistica, ha annotato in modo quasi notarile, ma suscitando l’irritazione di Meloni di cui rendono conto i quotidiani del 9:
Nel quadro previsivo a legislazione vigente del PSBMT[6] il PIL cresce dell’1,0 per cento quest’anno, dello 0,9 per cento nel prossimo e dell’1,1 per cento nel 2026. La revisione dei conti economici trimestrali pubblicata venerdì scorso dall’Istat, non inclusa nel quadro, comporterebbe una correzione meccanica al ribasso di due decimi di punto percentuale della stima per l’anno in corso.
Le stime per il biennio 2025-26 incorporano gli elementi di debolezza emersi negli ultimi mesi e, rispetto al profilo delineato nel DEF dello scorso aprile, prudenzialmente scontano una revisione al ribasso della dinamica del prodotto di 0,3 punti percentuali (concentrati nel 2025). Nel quadro programmatico, i provvedimenti che verranno inclusi nella manovra di bilancio, tra cui la stabilizzazione della riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti con determinati livelli retributivi, nonché gli interventi a sostegno delle famiglie più numerose, dispiegheranno i loro effetti principalmente nel 2025, innalzando la crescita del PIL all’1,2 per cento. Tali effetti attesi sono in linea di principio raggiungibili, ma una valutazione più compiuta richiede informazioni, non ancora disponibili, sulle risorse stanziate per ciascuna misura e sulle modalità di attuazione.
Traduzione in volgare: sono belle parole, ma la sostanza? Se l’Istat non avesse comunicato la correzione, si sarebbe potuto procedere senza problemi? Non credo. Qualcuno si ricorda il caso della Grecia che aveva mentito sui conti? E poi, sotto il naso della Banca d’Italia una amatriciana senza pecorino (PIL) non si riesce a farla passare. Prudentissimo invece questa volta l’Ufficio parlamentare di bilancio[7] che sembra avere adottato la tecnica di troncare, sopire, silenziare propria del conte zio manzoniano. Un classico...
La realtà è che tutto il quadro dei nostri conti pubblici scricchiola. A p. 67 del Piano strutturale di bilancio troviamo una tabella assai istruttiva che ci informa che le imposte dirette garantiranno nel 2025 entrate pari a 346 miliardi, quelle indirette 315, i contributi sociali 297. Queste sono le macro entrate, in totale 958 miliardi, poi ci sono entrate minori. A fronte ci sono spese per gli stipendi dei pubblici dipendenti pari a 198 miliardi – con un costo del lavoro medio di 60mila euro all’anno (con fortissime differenze nella scala delle retribuzioni pubbliche) dà 3,3 milioni di dipendenti –, acquisti di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione per 181, pensioni comprese le prestazioni sociali per 456: fa un totale (parzialissimo) di 835 miliardi. Dei 958 da cui siamo partiti ne restano 123 e dobbiamo ancora pagare 80 miliardi di interessi, 120 miliardi di investimenti (pochini) e altre poste minori. È vero che qui non ci sono tutte le entrate, ma le grandezze importanti sì. Usando ancora il volgare, non c’è trippa per i gatti.
Tagliare i dipendenti pubblici? In un altro spillo[8] ho chiarito i termini della questione: sono ai minimi termini. Aumentare le imposte? Sì, certo, anche riducendo i bonus fiscali (il 110% è solo l’ultimo) che dal 2017 al 2023 ci sono costati 700 miliardi, che corrisponde a una bella fetta del debito pubblico.[9] Chi ne beneficia? Chi ha i redditi maggiori, che può spendere senza problemi e poi portare gli importi in detrazione dell’Irpef. La strada maestra però è alzare le aliquote sugli scaglioni dei redditi elevato. Infine, occorre opporsi con diplomatica forza alla politica di tassi elevati della BCE che ci costa per gli interessi sul debito e che intanto alimenta i profitti delle banche, retribuendone generosamente le riserve facoltative.[10] Altro che un problema di “zero virgola”!
Il piccolo (grandissimo) baccelliere[11] di musica che conclude gli spilli si interroga su come si fa ad andare avanti. Se lo chiede chi deve far quadrare i conti e, di fronte a difficoltà, apparentemente insormontabili, è tentato di tirare a campare. Cause sante e luminosi scopi[12] si trasformano in piccoli obiettivi di mantenimento sulla strada del primum vivere.[13] Spesso è una questione di poco. I centesimi di secondo che mancano all’atleta per raggiungere una medaglia. I centimetri che trasformano il gol in un palo. Checché se ne dica, la vita è un gioco di equilibri. A questo esercizio ha dedicato una canzone Francesco De Gregori, Pezzi di vetro,[14] una delle più delicate dell’album Rimmel del ‘75. Racconta di un acrobata che danza sul filo dei sentimenti. La storia della musica è essa stessa un rincorrersi di tensioni. Vive della dialettica fra assonanze e dissonanze. Il Novecento, secolo dei grandi conflitti, ha costruito una poetica su questa dicotomia. Dall’impressionismo di Debussy alla dodecafonia fino alle avanguardie: non più una legge dei suoni ma una sorta di puntillismo sonoro. Non un solo colore ma la possibilità di scegliere. In questa prospettiva la prima decade del secolo scorso, quando venivano alla luce i Drei Klavierstuke op. 11 di Arnold Schoenberg,[15] qui nell’interpretazione di Maurizio Pollini (a sinistra nel collage), ha aperto i nostri sguardi alla possibilità di un nuovo equilibrio.
Note
[1] https://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/psb_2024/Piano-strutturale-di-bilancio-e-di-medio-termine-Italia-2025-2029.pdf
[3] Giorgetti vicino alle dimissioni? Lui nega: «Ho lavoro da fare. A Repubblica sono un po’ confusi ed eccitati», https://www.open.online/2024/06/03/giancarlo-giorgetti-voci-dimissioni-repubblica-smentita/
[4] Per chi è interessato, ecco i miei calcoli:
PIL in miliardi 2128 per 0,2% => 4,256 arrotondato a 4,4; con la pressione fiscale a 0,42 ne derivano 1,83 miliardi di gettito in meno.
Fatto 100 il PIL, perdendo uno 0,2% si passa a 99,8; per il deficit in % del PIL, lo 0.2% per 0,42 diventa 0,084 e il deficit passa da 3,8 a 3,884.3,884/99,8 dà 3,891 seriamente arrotondabile a 3,9.
[6] Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine.
[8] https://www.laportadivetro.com/post/punture-di-spillo-il-nostro-futuro-anziani-sottoccupati-e-deprivati-di-servizi-alla-persona
[10] https://www.laportadivetro.com/post/punture-di-spillo-con-questa-bce-da-grande-farò-il-banchiere
[11] Citazione da Guccini, Addio, testo a https://www.viafabbri43.net/testo-canzone/Addio
[12] v. Francesco Guccini “Lager” 1981 https://youtu.be/1UYK4qfZqcE?si=dvEJv-6-CKpUVbhg
[13] primum vivere deinde philosophari andrebbe addirittura attribuita ad Hobbes a sentire Wikipedia.
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