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"Povertà come attacco al sistema capitalistico: ecco la vera sfida di Papa Francesco"

Aggiornamento: 6 ore fa

di Stefano Marengo


Nei giorni scorsi si sono spese molte parole sull’ipocrisia dei potenti e sul livore di diversi commentatori nei confronti di papa Francesco, segno che, per lo meno nel campo occidentale, la sua morte ha portato in piena luce una frattura politica ben più profonda di quanto si potesse inizialmente ipotizzare. 

Qui è però necessaria una precisazione per evitare facili equivoci, che gli stessi toni a tratti ironici di alcuni commentatori potrebbero ingenerare. Per quanto suoni banale dirlo, infatti, una guida religiosa come il papa pensa e agisce entro un orizzonte di senso e secondo dei principi irriducibili a quelli della politica secolare. Per questo ha poco senso cercare di costringere una figura come Francesco entro la dicotomia “progressista-conservatore” tipica della cultura liberale; peggio ancora, se forzassimo la mano nel voler applicare a tutti i costi queste categorie, finiremmo per non comprendere la specificità del messaggio che proprio Francesco ha voluto trasmettere. Ciò non vuol dire, tuttavia, che la Chiesa e la stessa istituzione papale non abbiano una dimensione politica, ma semmai che tale dimensione è declinata e condotta secondo linee e finalità che, a uno sguardo secolarizzato, appaiono per forza di cose eccentriche rispetto a ciò che comunemente si intende sotto il concetto di “politica”.


La frattura visione occidentale e dottrina del Pontefice

Ciò detto, in questo caso a rilevare non è tanto la distinzione in quanto tale tra religioso e secolare, ma piuttosto il modo in cui hanno interagito i due piani irriducibili del senso politico del pontificato di Francesco e l’orientamento delle élites del potere secolare della nostra epoca. È infatti in questa interazione che si è prodotta la frattura all’interno del campo occidentale, una frattura la cui profondità deriva dal fatto che l’alternativa prospettata da Francesco non è interna al sistema di potere dominante e da esso assimilabile. Si tratta al contrario di una visione che, nel suo emergere e nell’indicare un altro mondo possibile, corrode le basi del sistema stesso.

I dodici anni di pontificato di Francesco sono stati disseminati di omelie, discorsi, dichiarazioni, interviste e scritti in cui questa critica radicale dell’esistente, unita alla sollecitudine e alla speranza nel cambiamento, ha preso una forma sempre più definita. Ne è testimonianza la nuova centralità conferita ai poveri, agli ultimi, a coloro che Zygmunt Bauman, con il suo grande acume linguistico e sociologico, definiva “vite di scarto”, vite cioè messe ai margini e dimenticate da un modello di sviluppo che esternalizza masse di miseria nel momento stesso in cui crea ricchezza a vantaggio delle élites. L’elemento di novità, in Francesco, sta nel fatto che egli ha posto in secondo piano una certa concezione teologica per cui la povertà è unicamente segno della precarietà della condizione umana al cospetto di Dio. Con Francesco è invece balzato sul proscenio il povero che nella sua carne si fa obiezione vivente alla distruttività del capitalismo. Un deciso salto di prospettiva anche rispetto al magistero di Papa Giovanni Paolo II.

Da Laudato si' a Fratelli tutti

Se il pontefice aveva dapprima toccato questo tema con l’enciclica “ecologista” Laudato si’, è però con l’enciclica “sociale” Fratelli tutti che egli ha sviluppato un’elaborazione dottrinale che arriva a negare il diritto alla proprietà privata – ossia il caposaldo stesso del capitalismo – quale diritto naturale e primario dell’essere umano. “Il diritto alla proprietà privata – si legge in Fratelli tutti - si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica”. In un successivo messaggio inviato alla Conferenza internazionale dei giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America Francesco avrebbe ulteriormente ribadito: “Costruiamo la giustizia sociale sulla base del fatto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha sottolineato sempre la funzione sociale di qualsiasi sua forma" e "non vi è giustizia sociale in grado di affrontare l'iniquità che presupponga la concentrazione della ricchezza".

La chiarezza di questi passaggi è di per sé sufficiente a illustrare, senza ulteriori commenti, la conflittualità che doveva inevitabilmente sorgere tra il messaggio di fraternità e uguaglianza di Francesco e la postura delle élites occidentali, che dell’ordine capitalistico esistente sono i più intransigenti alfieri.


La crisi del capitalismo americano

Ma c’è di più. Infatti, il solco che si è creato lungo questi principi di ordine generale è stato approfondito dalle vicende che hanno scandito la congiuntura internazionale in cui viviamo, una congiuntura che vede contemporaneamente la fine del ciclo egemonico del capitalismo a guida statunitense e il venir meno della centralità dell’Occidente, che dopo secoli di dominio mondiale si trova oggi sempre di più a fare i conti con lo scenario inedito di un mondo multipolare. Poste di fronte a tale realtà, in una replica tragica di storie già viste, le classi dirigenti occidentali appaiono ogni giorno meno propense ad accompagnare la transizione componendo in modo pacifico gli interessi in gioco su scala globale; al contrario, nella vana speranza di riaffermare il loro primato, soffiano sul fuoco di una conflittualità che ha già iniziato a trasformarsi in guerra guerreggiata. A questo proposito, era con assoluta pertinenza che Francesco parlava di “terza guerra mondiale a pezzi”.

A essere tradito, in questo modo, è nientemeno che l’universalismo politico moderno (laico) che in Europa ha avuto la sua prima culla. Al suo posto, nonostante i disastri che già ha provocato, si va rinsaldando l’ideologia dello “scontro di civiltà”, una sovrastruttura narrativa che intende giustificare e dare un senso alle mire materiali, molto materiali, di un modello di sviluppo che, esaurito, cerca nondimeno di replicare se stesso. È così che l’Occidente si sta avventurando su un campo di battaglia in cui chiunque non sia qualificabile come occidentale, con poche eccezioni e solo eventuali correzioni tattiche, è potenzialmente un nemico da abbattere. Tale è l’atteggiamento nei confronti della Russia, della Cina e, ancora una volta, del mondo musulmano.


Il Vangelo della misericordia

In questo scenario di interessi materiali che trascendono in paranoia ideologica nulla sarebbe stato più gradito alle nostre élites del potere che arruolare tra le loro fila la chiesa cattolica e il suo pontefice. Francesco si è tuttavia sottratto fin dalla sua elezione a questa logica delle contrapposizioni. Il suo “vangelo della misericordia”, declinato nel senso dell’apertura, dell’ascolto, della compassione e della benevolenza nei confronti dell’altro, non ha solo scosso dalle fondamenta una chiesa per decenni arroccata su se stessa, sulla disciplina e sulla proibizione; esso si è anche tradotto, ad un più alto livello, in una posizione di dialogo franco e aperto con altre grandi realtà religiose e politiche del mondo. Ne sono testimonianza i concreti passi in avanti fatti con le autorità cinesi per la nomina dei vescovi, il rilancio del dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse e, infine, la grande svolta nel confronto interreligioso con l’Islam: il documento di “fratellanza umana” siglato da Francesco con il grande imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb così come l’incontro fraterno con il grande ayatollah Ali al-Sistani di Najaf rimarranno tra le pietre miliari del suo pontificato. 

In tutto ciò Francesco è stato forse il primo papa a seguire davvero quell’idea di rinnovamento che aveva potentemente animato il Concilio Vaticano II. Ma ciò che oggi più conta è che, mentre le nostre élites politiche fanno carta straccia dell’umanesimo europeo – che a Gaza viene ogni giorno bombardato nell’indifferenza occidentale – Francesco non ha smesso di predicare l’umanesimo cristiano, ponendo ancora di più la chiesa in una prospettiva davvero cattolica, universale. Le sue ultime parole contro il riarmo e di condanna del genocidio in corso in Palestina sono un richiamo e un monito non solo per i credenti, ma anche per i non credenti e i laici in generale che, sulle macerie morali e politiche dell’Occidente, sono oggi disorientati e orfani di una prospettiva di emancipazione e riscatto universali. Per loro – per tutti noi – il lascito di Francesco rimarrà un punto di riferimento prezioso e necessario per immaginare e costruire un mondo di pace secondo giustizia.

1 Comment


mdipa68
3 ore fa

Articolo molto bello, scritto da persona competente sia in ambito geo-politico che nella dottrina sociale della chiesa. Su tutto questo, Papa Francesco ha effettivamente tentato di dare una visione diversa dei valori sociali rispetto ai predecessori e diametralmente opposta al sistema valoriale del capitalismo. In ciò è stato certamente profetico ed è importante far sì che il suo messaggio non sia frettolosamente cancellato. Penso però che, pur profeta, Bergoglio non sia riuscito a essere pienamente pastore della chiesa cattolica mondiale e tantomeno il punto visibile di unità di quella chiesa. Don Gallo o Don Ciotti hanno potuto essere quello che sono stati perché non erano papi. Come Papa devi occuparti della tua chiesa, quella visibile, per come essa è, con…

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