Polo del '900: in mostra gli oggetti di Primo Levi
di Piera Egidi Bouchard
Chiunque vada per una delle tante iniziative culturali al Polo del '900, necessariamente passa dall’atrio, e vedrà - fino al 15 febbraio - la suggestiva installazione dedicata al “Giorno della memoria”, inaugurata dal presidente del Polo, Alberto Sinigaglia, insieme ai dirigenti degli enti che l’hanno promossa (Fondazione Salvemini, Centro Studi Primo Levi, in collaborazione con Archivio cinematografico della Resistenza, Istoreto, Aned, Museo Diffuso della Resistenza) e a rappresentanti del mondo politico e culturale piemontese.
“ Tornare; Mangiare; Raccontare”, questo il titolo dell’evento, tratto da un verso di una poesia di Primo Levi - “La tregua”, scritta l’11 gennaio 1946 e che apre l’omonimo libro – in cui queste parole condensano nel sogno l’incubo di quelle “notti feroci” del prigioniero, in cui sognava ”sogni densi e violenti/sognati con anima e corpo”.
E Primo Levi è presente nei pochi ed essenziali oggetti esposti, come la casacca di un prigioniero, donata dallo scrittore all’ANED (l’Associazione nazionale ex deportati dai campi nazisti), ora presente coi suoi dirigenti, che portano al collo i significativi e commoventi fazzoletti azzurro-grigi a strisce, che evocano le tute lacere dei reclusi nei campi di sterminio nazisti. Così come impossibile non emozionarsi alla vista del documentario cinematografico in bianco e nero proiettato su una parete dell’atrio – immagini che conosciamo, di donne e uomini emaciati, stipati nelle cuccette, o che scoprono il braccio col numero tatuato – oggetti, non più persone – ma più terribile di tutto il gesto dei bambini , piccolissimi, che a loro volta lo mostrano.
“ La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945”: così scrive ancora Primo Levi. E ancora dello scrittore è esposto tra gli oggetti evocativi il dattiloscritto autografo di “Storia di dieci giorni”, poi diventato l’ultimo capitolo di “Se questo è un uomo”.
“Wstawac’”- alzarsi – è il comando nazista che all’alba buttava giù dalle cuccette i deportati; nella sua brevissima poesia di 14 versi Primo Levi lo ripete due volte: la prima, rievocando la realtà amara di quei risvegli nel lager, in cui “si spezzava in petto il cuore”. La seconda – ed è anche l’ultimo verso – che si riferisce al ritorno “abbiamo ritrovato la casa,/Il nostro ventre è sazio,/ Abbiamo finito di raccontare.” Ma bisogna ancora “alzarsi”, cioè non abbandonarsi alle comodità del presente, non dimenticare, bensì fare memoria, testimoniare, tramandare. Giorno della memoria, perché se si dimentica la Shoah, il pericolo che quella tragedia si possa ripetere è sempre presente.
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