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Piero Gobetti: la sua attualità a quasi un secolo dalla morte

Olga Melodia

Aggiornamento: 6 giorni fa


 di Olga Melodìa

 

Il 16 febbraio 1926 moriva, a Parigi, Piero Gobetti, giovane intellettuale, editore e pensatore politico, stroncato dalle violenze fasciste a soli ventiquattro anni (era nato a Torino il 19 giugno 1901). Eppure, nonostante la brevità della sua vita, il suo pensiero continua a interrogarci, a stimolare riflessioni e a porre domande scomode sulla politica, la cultura e la libertà. Il suo liberalismo rivoluzionario, la sua denuncia dell’immobilismo delle classi dirigenti e la sua idea della cultura come atto politico, ci offrono una chiave di lettura straordinariamente attuale per comprendere le sfide del presente. Pensatore scomodo, radicale, anticipatore di molte delle questioni che ancora oggi animano il dibattito democratico, Gobetti concepì la libertà non come una concessione, ma come una conquista, un processo di emancipazione collettiva che passa attraverso il conflitto, la cultura e la responsabilità individuale.

 

Una vita breve ma inestinguibile

Nato a Torino il 19 giugno 1901, Gobetti manifestò, sin dagli anni giovanili, un'acuta sensibilità nei confronti delle trasformazioni politiche e sociali del suo tempo. Nel 1918, a soli diciassette anni, fondò la rivista Energie Nove, spazio di confronto e sperimentazione culturale in cui iniziò a delineare le coordinate del suo pensiero. Fu però nel 1922, con la nascita di una nuova rivista, La Rivoluzione Liberale, che il suo ruolo di intellettuale militante si definì appieno. Questo settimanale divenne rapidamente il punto di riferimento per un antifascismo che andava oltre la pura opposizione politica, radicandosi in una profonda riflessione sulla crisi strutturale dell'Italia.

La sua denuncia del fascismo, individuato non come una semplice parentesi autoritaria, ma come la manifestazione più compiuta del conformismo e della debolezza della borghesia italiana, gli attirò persecuzioni e violenze. Il regime lo identificò presto come un nemico pericoloso: la sua casa editrice venne ripetutamente attaccata dagli squadristi, i suoi scritti censurati, lui stesso fu vittima di ripetute aggressioni fisiche. In particolare, violentissima fu l'aggressione e la perquisizione della sua abitazione subite il 9 giugno del 1924 su diretto interessamento di Mussolini, come dimostrò il carteggio intrattenuto con il prefetto di Torino Enrico Palmieri. Il giorno dopo, a Roma, scompare il deputato socialista Giacomo Matteotti. Costretto all’esilio, trovò rifugio a Parigi, dove la sua salute, già compromessa dalle percosse subite, peggiorò rapidamente fino alla morte nel febbraio del 1926. Aveva solo ventiquattro anni.

 

Un liberalismo anticonformista e rivoluzionario: la libertà come conflitto

Piero Gobetti vedeva nel liberalismo non un semplice sistema di governo, ma una forza di trasformazione radicale. La sua era una visione che rifiutava il compromesso con le vecchie élite e mirava a costruire una nuova etica pubblica, fondata sul conflitto e sulla responsabilità individuale.

In questo, il suo pensiero si discostava nettamente dal liberalismo italiano dell’epoca, spesso ridotto a una difesa conservatrice dello status quo. Gobetti non credeva in un liberalismo elitario e passivo, ma in un liberalismo che fosse lotta, una forza dirompente e rivoluzionaria capace di trasformare la società attraverso il conflitto e l’assunzione di responsabilità. Per lui, la libertà non era mai una concessione dall’alto, ma il frutto di una maturazione culturale e politica che doveva coinvolgere l’intera società.

Per questo motivo, guardava con attenzione al movimento operaio e alla sua capacità di scuotere l’Italia dalla sua stagnazione politica ed economica. Pur non essendo socialista né comunista, vedeva nella lotta di classe un elemento essenziale per la maturazione democratica del Paese e un’opportunità per risvegliarlo dalla passività della borghesia che definiva “una classe senza rivoluzione, senza dignità, senza orgoglio”, incapace di assumere il ruolo guida che in altri contesti storici aveva avuto.

Questa prospettiva lo avvicinò, pur nelle differenze, ad Antonio Gramsci. Ma se per il pensatore marxista la rivoluzione passava attraverso l’egemonia culturale del proletariato, per Gobetti il cambiamento aveva il suo centro nell’individuo, nella sua capacità di pensare autonomamente e di agire contro ogni forma di oppressione. Entrambi, però, condividevano la convinzione che nessuna trasformazione sociale potesse avvenire senza un profondo mutamento culturale.

  Il fascismo come sintomo, la cultura come resistenza

Gobetti fu uno dei primi a comprendere che il fascismo non era un incidente della storia, ma il prodotto di debolezze strutturali dell'Italia post-unitaria. Nel 1922, all’indomani della marcia su Roma, scrisse parole profetiche: il fascismo non era un fulmine a ciel sereno, ma l’espressione più compiuta della mentalità autoritaria e servile della borghesia italiana.

La sua opposizione al regime non si limitò alla denuncia politica: Gobetti capì che il fascismo non si sarebbe potuto combattere solo con la resistenza militante, ma attraverso un’opera di profonda rigenerazione culturale. Bisognava colpire le radici del problema: il conformismo, la paura del conflitto, l’apatia civile. Infatti Gobetti concepiva la cultura non come un esercizio intellettuale fine a sé stesso, ma come un atto politico, un mezzo per forgiare una nuova classe dirigente capace di superare le contraddizioni della società italiana.

Convinto che la libertà non era mai una concessione, ma una conquista che esigeva educazione, consapevolezza e spirito critico, fece della sua rivista, La Rivoluzione Liberale, non solo un luogo di dibattito, ma un laboratorio di idee militanti, in cui si intrecciavano riflessioni politiche, critiche sociali e analisi economiche. Pubblicò autori come Benedetto Croce, Luigi Einaudi, ma anche Pirandello e Dostoevskij, convinto che la letteratura, la filosofia e l’arte fossero strumenti essenziali per scuotere le coscienze.

Questa lucida intransigenza lo rese un bersaglio per la violenza squadrista. Ma nemmeno le aggressioni riuscirono a piegarne lo spirito: sino all’ultimo, continuò a scrivere, pubblicare e pensare. La sua morte prematura privò l’Italia di una delle menti più brillanti della sua generazione, ma non ne spense il messaggio.


Eredità di un pensiero ancora attuale

A quasi un secolo dalla sua morte, la figura di Gobetti continua a essere un punto di riferimento per chiunque creda in una politica basata sul pensiero critico, sulla libertà e sulla responsabilità.

In un’epoca segnata dalla superficialità dell’informazione e dall’erosione del pensiero critico, la sua lezione è più attuale che mai: la cultura non è un lusso, ma una necessità per la democrazia. Il suo liberalismo rivoluzionario è un invito a riscoprire la libertà come lotta, crescita e responsabilità. E il suo antifascismo, mai stato retorico, ci ricorda che le derive autoritarie non nascono nel vuoto, ma prosperano laddove la società abdica al proprio ruolo critico.

La sua idea della cultura come resistenza è un monito in un’epoca dominata dall’infotainment e dalla superficialità dei social media. Gobetti ci ricorda che il pensiero critico richiede impegno, fatica e il coraggio di essere minoranza.

Ai giorni nostri, dove il termine “liberalismo” è spesso ridotto a due caricature opposte, da un lato viene identificato con la difesa del capitalismo senza regole e dall’altro viene rifiutato come semplice tutela dei privilegi delle élite, il pensiero di Gobetti risulta, nel presente, una provocazione che ci invita a riscoprire un liberalismo che sia davvero strumento di emancipazione sociale, capace di affrontare le sfide contemporanee: l’aumento delle disuguaglianze, la crisi della democrazia, il ritorno di pulsioni autoritarie.

Intanto, mentre oggi assistiamo a nuove crisi democratiche e al ritorno di pulsioni autoritarie, l’eredità di Gobetti rappresenta un richiamo potente alla responsabilità intellettuale. La libertà, come lui ci ha insegnato, non è mai garantita una volta per tutte: va conquistata ogni giorno, con il pensiero e con l’azione.

 

Conclusioni

Rileggere, oggi, Piero Gobetti significa riscoprire un pensiero che sfida le facili categorie ideologiche, che rifiuta il conformismo e che esige una politica fondata sulla responsabilità e sulla libertà. La sua vita, breve ma intensa, è il manifesto di un’idea di libertà che non si accontenta della tolleranza passiva, ma che esige trasformazione e coraggio. In tempi di fragilità democratica e di crisi della cultura politica, il suo messaggio resta più vivo che mai: la libertà non è mai garantita una volta per tutte, ma deve essere riconquistata ogni giorno, con il pensiero e con l’azione.

Piero Gobetti non fu soltanto un martire del fascismo: fu un intellettuale che ci insegna, ancora oggi, che la vera rivoluzione non è quella delle armi, ma quella delle idee.

 

 

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