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Piazza Fontana, 55 anni dopo Mattarella: "Verità e democrazia legame etico inscindibile "

Aggiornamento: 3 giorni fa

di Vice


Alle 16,37 di venerdì 12 dicembre 1969, la bomba scoppiò all'interno della sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana, a Milano. Sette chili di tritolo contenuti in un borsone fecero strage dei clienti, oltre un centinaio, che ancora erano impegnati nelle operazioni bancarie soprattutto relative alle contrattazioni di bestiame e alle scadenze dei coltivatori diretti. Dalle macerie, furono estratti i corpi senza vita di 13 persone; altre quattro morirono nei mesi successivi; 88 i feriti. Poi ci sono nomi che qualcuno con cinismo potrebbe definire "effetti collaterali": dall'anarchico Giuseppe Pinelli, "volato" da una finestra della Questura di Milano durante uno spietato quanto ingiustificato (per la durata e la motivazione del fermo di polizia) interrogatorio, al commissario Luigi Calabresi, ucciso in un agguato sotto casa il 17 maggio del 1972, dopo essere stato indicato da una martellante campagna di stampa come il principale responsabile della morte di Pinelli.

Quasi in contemporanea, una valigia-bomba viene scoperta nella Banca Commerciale di piazza della Scala. Viene fatto brillare in serata dagli artificieri. Un'iniziativa improvvida che cancella importanti prove per le indagini.

A Roma, alle 16,55, un boato scuote l'edificio della Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio e provoca il ferimento di quattordici impiegati. Non passa che una mezz'ora, che a poca distanza in linea d'aria, due bombe distruggono una parte dell'Altare della Patria, e ferisce un carabiniere e tre passanti.

Nel medesimo pomeriggio, è significativo che le due "capitali d'Italia" sono nel mirino di bombaroli: è l'inizio della Strategia della tensione, del tentativo di destabilizzare la democrazia nel nostro Paese, proposito che aveva avuto il suo prologo nell'aprile precedente con un attentato dinamitardo alla Fiera Campionaria di Milano.

In quel 12 dicembre di 55 anni fa, le indagini presero immediatamente un'unica pista: quella anarchica con l'arresto del ballerino Pietro Valpreda, il "mostro" da dare in pasto agli italiani. In realtà, nello spazio di una decina di giorni, fu chiaro agli inquirenti che dietro le bombe vi erano elementi neofascisti, coperti dai nostri servizi segreti. Ad un tempo, fu altrettanto premonitore il suggerimento del procuratore generale della Repubblica, Enrico De Peppo, di trasferire il processo dal capoluogo lombardo, sull'esito della vicenda nei tribunali che si sarebbe rivelata, infatti, "un'odissea giudiziaria abnorme".[1] Nessuna giustizia giusta per la memoria di vittime e feriti e per i loro famigliari.

Nonostante più processi e sentenza, centinaia di testimonianze e una enorme montagna di documenti, Piazza Fontana rimane la madre di tutti i misteri d'Italia. Ciò che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito oggi "Una ferita nella vita e nella coscienza della nostra comunità, uno squarcio nella storia nazionale", una giornata in cui i terroristi intendevano, ha aggiunto il Capo dello Stato, "produrre una rottura nella società italiana".

Il 15 dicembre, tre giorni dopo la strage, una folla enorme invase piazza del Duomo per i funerali. Fu la risposta democratica con cui Paese mandò il primo segnale, di una lunga serie, agli eversori che comunque proseguirono per anni a seminare con il tritolo il terrore nelle piazze, sui treni e sui binari della rete ferroviaria, nelle sale d'aspetto delle stazioni, contro le sedi di giornali e partiti politici. Ma il popolo italiano, ha ricordato ancora il presidente Mattarella superò quella prova terribile, perché "fu anzitutto l'unità in difesa dei valori costituzionali a sconfiggere gli eversori e a consentire la ripresa del cammino di crescita civile e sociale. Milano fu baluardo e tutto il Paese seppe unirsi".

Tuttavia, rimane lo sgomento che a 55 anni di distanza dall'attentato, pur nelle accertate responsabilità che ha consegnato alla storia lo stragismo nero e i suoi numerosi complici, non sia stato consegnato alla giustizia nessun colpevole. Un vulnus per la democrazia italiana. Reso ancora più doloroso dal fatto che, come ha concluso il presidente della Repubblica, "Verità e democrazia hanno un legame etico inscindibile".


Note

[1] Mimmo Franzinelli, La sottile linea nera, Milano, 2008, p. 54


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