Piazza Carducci: la marcia della salute, linea del Piave a difesa delle conquiste sociali
Aggiornamento: 28 mag 2023
Ieri pomeriggio, 27 maggio, a Torino, migliaia di cittadini hanno chiesto alla Regione Piemonte che la salute pubblica ritorni ad essere un impegno primario e prioritario. Dietro lo striscione "Comitato per il diritto alla salute e alle cure", la mobilitazione dal basso, unita e organizzata dalla Cgil Torino, da Ordini professionali e varie associazioni, preparata attorno a un chiaro obiettivo, si è rivelata è stata precedenti, almeno recenti. Lungo un percorso di pochi chilometri, da piazza Carducci al grattacielo della Regione Piemonte, i cittadini hanno inviato alla politica un messaggio preciso che va letto anche con un minimo di retorica, retorica carica di soddisfazione dovuta a chi ieri si è speso e si è esposto a difesa delle conquiste sociale: da ora sarà battaglia sociale in ogni angolo del territorio, nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, negli ospedali, nelle Asl, nei discorsi tra pochi o tanti, per contrastare il disegno di far marcire le conquiste sociali, in particolare il valore della sanità pubblica che rappresenta la traduzione compiuta della nostra Costituzione e l'espressione quotidiana della democrazia. Ma non vi è alternativa. La marcia della salute è ora una sorta di linea del Piave.
Un ulteriore arretramento sull'accettazione dei tempi (lunghi) e sulla qualità (in calo) nell'erogazione dei servizi unito alla sospensione del giudizio sulle inefficienze dovute alla mancanza di personale, inefficienze che nel contempo minano e svuotano la fiducia dei cittadini nei confronti della sanità pubblica, potrebbe trasformarsi in un letale combinato disposto che aumenterebbe lo squilibrio sociale che dalla pandemia è ancora più evidente e visibile, al di là dei numeri delle indagini socio-economiche.
Secondo i promotori della mobilitazione, i vuoti di organico nella sanità piemontese sono pari a circa 9 mila figure professionali, di cui 2.000 dirigenti medici ospedalieri e medici di Medicina Generale, 7.000 professionisti (di cui 4.000 infermieri) oltre ad altri 2.000 operatori. La Regione Piemonte non ha più alibi, né può pensare di usare la sanità come merce di scambio in prossimità delle elezioni del 2024.
Le carenze di personale spiegano anche il residuo di circa 1.200.000 ore di straordinario e circa 150.000 giornate di ferie non godute al 31 dicembre scorso per gli infermieri. E sono cifre che non contemplano le prestazioni aggiuntive al di fuori dell’orario di lavoro per la copertura di turni che, in caso contrario, sarebbero scoperti. La sintesi contabile di questi "vuoti" è un risparmio di quasi 50 milioni di euro con cui si sarebbero occupati 1.200 infermieri.
Insomma, si è dinanzi a una deriva - e non si tratta di un dettaglio - che rischia di imporre l'inizio di un nuovo e naturale ordine sociale che accetta supinamente prima l'idea, l'esistenza poi, di un diritto alla cura di serie A e uno di serie B, l'esatto opposto della riforma sanitaria del 1978.
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