Persona, comunità e Chiesa contro il virus
Aggiornamento: 13 nov
di Luca Rolandi
Quaresima e Pasqua hanno concentrato sui temi più teologici e spirituali la riflessione sul tema religioso in rapporto alla pandemia che sta cambiando la nostra vita. La Chiesa cattolica nel mondo e in Italia è stata coinvolta in questo tempo di sofferenza e sospensione, chiusura e dolore, in modo totale e dinamico. Lo è stato per i fedeli praticanti. Ma anche il sentire comune del Paese nella sua dimensione sempre più secolare è ritornato a porsi domande, profonde e ultime, in questi difficili tempi. Ed ancora una volta è emersa la figura di Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo. Con il suo procedere umanissimo e stanco ha espresso i sentimenti più profondi che uniscono umanità e cristianesimo. Come ricorda Stefano Menichini su Il Post “Impossibile non partire da piazza San Pietro, ore 18 del 27 marzo. Immagini che resteranno nella storia, hanno commentato in molti. Per sfuggire alla retorica, si può dire che con la benedizione Urbi et orbi di quel venerdì sera si è realizzato un magistrale cortocircuito fra spirito, tecnica, professionalità e storia. Tutto si è fuso alla perfezione: la spontanea capacità comunicativa del papa; la cupezza della serata romana sotto la pioggia; il palco in posizione strategica, unico punto di luce al culmine di una piazza buia e deserta, conosciuta da ogni abitante della Terra come una delle più affollate del mondo; lo sfondo del colonnato del Bernini, cioè dello scenografo più famoso della storia dell’arte”. Proprio in quell’occasione, e poi successivamente, Bergoglio ha ricordato con due espressioni il senso del limite e anche il concetto di sperare oltre ogni speranza con “non abbiate paura” e non “ci si salva da soli”. E nella messa di Santa Marta di venerdì 17, è tornato su un aspetto teologico molto dibattuto per l’eccezionalità del momento. Vanno benissimo le messe in streaming, le dirette social dei preti, le celebrazioni da terrazzi e campanili, ma «così non è Chiesa», ha detto Francesco. Anzi “è un pericolo” celebrare la messa senza popolo. Tutte le modalità a distanza sono transitorie e legate «al momento difficile» che si vive a causa della pandemia di coronavirus, ma a lungo andare finiscono per “viralizzare la Chiesa, i sacramenti, il popolo”. Quindi, sia chiaro, le nuove forme servono “per uscire dal tunnel, non per rimanere così”. Fede e spiritualità, ma soprattutto il primato della carità ultima e più grande virtù teologica, sono il segno di una presenza anche più discreta e diffusa del mondo ecclesiale religioso e laico in tempo di pandemia. Il primo pensiero è per i sacerdoti, le religiose e i religiosi che hanno perso la vita per il virus. Storie di altruismo ed evangelica sequela secondo il brano di Luca “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà”. E poi c’è la silenziosa, operosa e coraggiosa azione di carità, aiuto, sostegno che nasce nelle piccole comunità, nelle parrocchie, nel mondo dell’associazionismo, del volontariato del terzo settore verso i più deboli, i malati, i carcerati, i giovani in difficoltà. Tutto vissuto e realizzato senza chiedere conto, con tutti, senza steccati o particolarismi, ma con il solo obiettivo di salvare la persona per preservare la comunità. Per questo sembra tornare spiritualmente prepotente la lezione di un grande pensatore, il filosofo francese Emmanuel Mounier, padre del personalismo comunitario, che sintetizza in una frase il senso dell’impegno civico e morale verso l’altro: “Dalla qualità del nostro silenzio interiore dipenderà l’influsso esercitato dalla nostra attività esteriore.”
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