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- a cura del Baccelliere
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La poetica del quiet man Jim Hall
a cura del Baccelliere

Einstein possedeva diversi violini. Amava esibirsi per gli amici e era appassionato di Bach e Mozart. Suonare lo aiutava a pensare. Insomma il violino era una sorta di catalizzatore di idee.
In un contesto differente, per la generazione che mi rappresenta, il primo amore è stata la chitarra. Sui sedili posteriori di un pullman, durante una gita scolastica, si cantavano canzoni accompagnati da una chitarra, spesso non troppo accordata. Eppure per molti di noi dall’approssimazione nacque la curiosità di saperne di più. E dalla curiosità la consapevolezza che uno strumento armonico può dare. La musica è una forma architettonica, semplice o complessa, ma comunque misteriosa. Questa caratteristica, ad un tempo bassa e alta, ha fatto della chitarra uno strumento in grado di segnare e determinare la cultura.
Il personaggio di cui ci occupiamo questa settimana è un chitarrista. Stiamo parlando di Jim Hall, uno dei più influenti interpreti del jazz moderno. Quando aveva otto anni sua madre gli regalò una chitarra. Classe 1930, originario dell’Ohio, si interessò al jazz grazie all’ascolto di Solo flight di Charlie Christian, una delle prime registrazioni della chitarra elettrica appena nata.
In seguito studiò composizione al Cleveland Institute of Music, convinto che si sarebbe dedicato esclusivamente all’insegnamento. Nel 1955 però si trasferì a Los Angeles, dove, quasi per caso, entrò nel quintetto di Chico Hamilton, una formazione che si sarebbe rivelata molto importante per gli sviluppi del jazz californiano. Da quel momento la sua carriera fu un susseguirsi di incontri, da Jimmy Giuffre (1921-2008) a Sonny Rollins, da Paul Desmond (1924-1977) a Bill Evans (1929-1980).
La poetica di Jim Hall è sottile e profonda. Lontana dal narcisismo tipico dei colleghi. La definizione di quiet man[1] gli si adatta perfettamente. Il suo stile non è assertivo ma carico di significati[2]. Tuttavia, Jim Hall non è stato solo un grande stilista ma soprattutto un innovatore del linguaggio compositivo, in grado di muoversi all’interno della generazione di mezzo, quella delle avanguardie degli anni ‘60, esprimendo un punto di vista sempre originale, innovativo, pur entro un’impostazione apparentemente mainstream.
Hall ha esercitato una fondamentale funzione maieutica. Senza di lui, la generazione dei chitarristi americani nati negli anni ‘50, i vari Metheny, Scofield, Frisell e quella dei più giovani Bernstein, Lage, Rosenwinkel, sarebbero state diverse. Jim Hall ha tracciato una via, che gli interpreti sopra citati hanno percorso secondo le rispettive personalità e inclinazioni.
Dicevamo del violino di Einstein. Analogamente a questo, la chitarra di Jim Hall ha rappresentato un catalizzatore di creatività. Jim Hall ci ha lasciati nel 2013. La Biblioteca del Congresso gli dedicò un’intervista a marzo del 2009[3] che raccomandiamo a chi volesse avere un’idea della profondità del personaggio.
Note
[2] ascoltiamolo qui nel classico ellingotniano In a sentimental mood in compagnia di Michel Petrucciani https://youtu.be/djhBVRK4zLk?si=prnqOScajNfZd96N
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