Per passione, non solo musica e parole...
- a cura del Baccelliere
- 5 giorni fa
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Il Potere visto dalla parte di Fabrizio De André
a cura del Baccelliere

Parliamo del potere e per farlo partiamo da Fabrizio De André. Faber, come lo chiamavano gli amici, era un anarchico. Era un poeta e un musicista. Ma il suo essere musicista e poeta derivava dalla sua essenza anarchica. Da ragazzo si innamorava di tutto[1], curava i gatti randagi e ascoltava George Brassens.
Gli anarchici sono soggetti particolarissimi. Difficilmente sono propensi all’io, a cui preferiscono il noi. De André non amava lavorare da solo. La scrittura per lui nasceva dalla collaborazione: Paolo Villaggio, Gian Piero Reverberi, Massimo Bubola, Mauro Pagani, Giuseppe Bentivoglio, Nicola Piovani, Ivano Fossati, i New Trolls, Francesco De Gregori, la Premiata Forneria Marconi sono alcuni degli amici, dei fratelli in musica e parole, con cui Fabrizio ha condiviso la propria strada. Un percorso nel quale, poco prima che si arrestasse bruscamente, ebbe modo di coinvolgere anche i figli Cristiano e Luvi e sul quale vegliò (e lo fa ancora) la compagna Dori Ghezzi.
Che l’io diventasse noi per l’anarchico De André contava molto. Perché il gesto individuale può diventare gesto inconsulto, mentre il confronto con compagni selezionati e fidati porta in dote l’elaborazione. Ogni frase musicale, ogni parola in De André dà l’impressione di essere pensata, meditata e levigata. Alla ricerca del senso più intimo, niente nasce per caso, ma tutto fa parte di un disegno.
La discografia di De André comprende tredici album in studio. Tutto sommato pochi, se si considera che furono distribuiti nell’arco di una carriera durata più di trent’anni. Da Marinella a Princesa si assiste a un’evoluzione che interessa il lessico, l’approccio musicale e lo stesso modo di cantare. Per questo De André rappresenta un unicum nella storia del cantautorato.
L’anarchia di Fabrizio De André ci parla ancora. La piccola Europa è schiacciata dalle grandi potenze. La democrazia non sembra avere gli strumenti per rispondere. Nel 1973 De Andrè pubblicò Storia di un impiegato, che conteneva una riflessione sul ‘68 appena passato. Riflessione di un uomo appartenente ad un’età immediatamente precedente quella dei ragazzi che avevano partecipato alle manifestazioni di piazza. Il disco è tuttora un affresco sulle dimensioni del potere. Il potere costituito, ma anche il potere, minore e più confuso (o forse minore in quanto più confuso), di chi si ribella. Il disco si chiude con il brano Nella mia ora di libertà[2]. De André canta:
Certo bisogna farne di strada
Da una ginnastica d'obbedienza
Fino ad un gesto molto più umano
Che ti dia il senso della violenza
Però bisogna farne altrettanta
Per diventare così coglioni
Da non riuscire più a capire
Che non ci sono poteri buoni
Anche in questi giorni di tycoon e di piazze gremite rischiamo di dovergli dare ragione.
Note
[1] Lo avrebbe dichiarato in Coda di lupo
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