Pensioni: scontro in Francia, inazione in Italia
- Emanuele Davide Ruffino e Edmondo Rustico
- 26 mar 2023
- Tempo di lettura: 4 min
di Emanuele Davide Ruffino e Edmondo Rustico

L’Italia, insieme alla Grecia, è il Paese dove si va in pensione più tardi: 67 anni, contro una media europea di 64 anni. Colpisce quindi come mai la Francia sia messa a ferro e fuoco per un innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64, mentre in Italia, nessuno protesta (anche perché, allo stato attuale, non si capirebbe contro cosa protestare, vista l’assenza di proposte e ciò incoraggia lo status quo).
Dubbi sollevati sulla reale volontà di portare in porto la riforma furono già sollevati: su queste colonne il 29 gennaio (“Riforma pensioni: alzi la mano chi non la vuole”) [1] , si anticipò il tentativo di melina, quando sembrava ancora che le parti sociali dovessero avviare incontri con una cadenza settimanale, poi ridottosi a solo due incontri, il 19 gennaio e il 9 febbraio scorsi, entrambi inconcludenti.
In Francia, lo scontro supera ogni confine, fino al punto che parteggiare per una soluzione o per l’altra si rischia aggressioni o minacce: di fronte a queste acredini diventa quasi ininfluente perseguire ragionamenti economici. Emmanuel Macron, al suo secondo mandato, sta dando l'impressione di onnipotenza, convinto di "conoscere il futuro" a dispetto di una larga maggioranza popolare.
La determinazione dell'Eliseo
I trend demografici, prima della Covid-19, segnalavano un continuo aumento dell’età media. Andamento, però, che potrebbe non essere confermato da una realtà sempre più condizionata dai flussi migratori. Ma forse c’è anche una rivisitazione del nostro modo di intendere la società: il sistema di Welfare, consolidatosi in Occidente, ha un prezzo sempre più elevato, anche se è indiscutibile il contributo offerto alla crescita sociale. Dopo anni di sprechi e politiche accomodanti, in cui si pensava di poter risolvere tutti i problemi con un intervento pubblico, la pandemia prima e la guerra contro chi ritiene che la nostra società sia imbelle e depravata (Dmitrij Anatol'evič Medvedev, primo ministro russo fino al 20202, usa frasi ancora più colorite) obbliga a porsi delle domande su chi pagherà il conto.
Finché ci si poteva illudere che tutti, prima o poi, potessero contare sull’aiuto dello Stato, il sistema ha retto, ma ora la Francia ha avvertito la necessità di dire un secco no (come pure il Governo italiano che non può, vista la situazione, dar corso immediatamente a tutte le promesse elettorali). Non stanno meglio Germania e Gran Bretagna anch’esse impegnate con proteste di massa, con i partiti di maggioranza attenti a portare avanti politiche sostenibili (nell’eccezione più ampia che comprende non solo gli aspetti economici, ma anche quelli ambientali e sociali) e quelli d’opposizione, pronti a cavalcare ogni forma di protesta, salvo condannare ex-post gli eccessi violenti.
In Germania, il Governo rossoverde riapre le centrali a carbone; nel Regno Unito un Premier di origine indiana propone più rigide politiche sull’immigrazione irregolare, ma anziché cercare di superare le storture presenti, esaspera le divisioni, cercando così di ottenere maggiore identità e visibilità. Alcune situazioni obbligano tutti a tornare alla realtà, ma le masse lusingate da anni con promesse mirabolanti sono contrarie e le proteste dilagano. Non si può far pagare solo ai giovani le pensioni degli anziani o solo agli anziani i redditi di sostegno ai giovani. In proposito, la Francia non è riuscita a trovare una soluzione. Chissà se ci riuscirà l‘Italia?
Il traccheggiamento tutto italico
Le manifestazioni annunciate anche in Italia sembrano essere più dei doveri d’ufficio, per non lasciarsi sfuggire la possibilità di cavalcare le proteste, che non il lancio di programmi alternativi. Ragionamenti su come organizzare il sistema lavoro/pensioni trova pochi spazi. Si aspetta la controparte per poterla criticare, inducendo così un ennesimo rinvio. L'indecisione non sarà solo una sconfitta per alcuni, ma l’incapacità del sistema nel affrontare realisticamente i problemi.
Alcuni si sono autocostretti a difendere più che un progetto, uno slogan, ma proprio queste rigidità non permettono lo sviluppo di un dibattito. Dopo anni di provvedimenti spot, con le imprese che non riescono più ad affrontare una seria programmazione (in sanità il problema è palese), il dibattito dovrebbe essere costante e incisivo, mentre oggi la domanda che serpeggia con più frequenza è come mai da noi la protesta non è ancora esplosa.
Più che affrontare una sistemazione del problema, si cerca una soluzione per superare Quota 103, cioè l’uscita dal lavoro anticipata introdotta dal governo Meloni, che ha sostituito la quota introdotta dal Governo Draghi, che a sua volta ne sostituiva un'altra…, mentre la riforma di Macron prevede una gradualità (un aumento di tre mesi ogni anno, fino al 2030). All'opposto, in Italia si procede per strattoni e per ripensamenti, spesso contradditori tra di loro. Non riuscendo a prendere una decisione, si torna a parlare di proroghe annuali di salvaguardia di alcune categorie, alle varie “opzioni”, a provvedimenti che, per la loro stessa formulazione, inducono a nuove diseguaglianze.
Tuttavia, concentrare l’attenzione sulla data con cui andare in pensione e gli anni di contributi versati, dimostra una scarsa capacità di ragionare su algoritmi con più variabili: il quantum versato, le aspettative sul tenore di vita, il collegamento con le dinamiche inflattive, la copertura dei periodi di inattività, le condizioni di salute individuali, i fondi integrativi pensione accumulati, il patrimonio disponibile (prevedere una pensione superiore ai contributi versati, significa lasciare inalterato il patrimonio del soggetto percettore).
Se vi è una produttività del lavoro, qualcosa di simile va analizzato anche per il settore pensionistico, dove notevole è il contributo offerto al terzo settore e al volontariato in generale da chi è disposto ad impegnarsi. Pur nella loro difficoltà attuativa, non vengono prese in considerazione possibilità di uscite dal lavoro programmate in lassi di tempo che permettano, anche sotto un profilo psicologico, un passaggio senza traumi.
Anche la Germania, dopo aver tentato una riforma green e una riforma sanitaria (accolte con “scarso” entusiasmo), ora sta mettendo in cantiere un tentativo di individuare nuovi tipi di finanziamento per la previdenza pubblica, ipotizzando la costituzione di un fondo di investimento costituito da azioni, obbligazioni e materie prime, allo scopo dichiarato di allentare il patto intergenerazionale del sistema a ripartizione e scommettere sulla potenzialità dei mercati. Non sarà la soluzione di tutti i mali, ma almeno una proposta su cui riflettere.
Note
[1] https://www.laportadivetro.com/post/riforma-pensioni-alzi-la-mano-chi-non-la-vuole
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