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Stefano Marengo

Passato, presente e futuro nei Territori occupati da Israele: intervista a Gaia

Aggiornamento: 6 giorni fa

di Stefano Marengo



Continuano i combattimenti nella Striscia di Gaza. Ed oggi, 7 giugno, 245° giorno dall'incursione omicida di Hamas in Israele e 244° dalla reazione progressiva per intensità e spietatezza militare di Israele nella Striscia di Gaza, è salito a 45, di cui la metà donne e bambini, il numero delle vittime dell'attacco israeliano su una scuola dell'Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso) nel campo profughi di Nuseirat.[1]

Nel raid, vi sono stati almeno settanta feriti. L'esercito israeliano ha ribadito la presenza nella scuola di un numero elevato di terroristi. Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres ha denunciato il bombardamento israeliano su Nuseirat come un "nuovo terrificante esempio del prezzo pagato dai civili" a Gaza. Intanto il primo ministro Benjamin Netanyahu, secondo i media americani, parlerà a una sessione congiunta del Congresso Usa il 24 luglio, sei settimane dopo la data prevista che da allora è stata posticipata a causa della festività ebraica di Shavuot.

Con l'intervista a Gaia, israeliana di Haifa, dopo quella a Salma [2] la Porta di Vetro completa la sua breve analisi sulla situazione nel Vicino oriente sconvolto dalla guerra tra Israele e Hamas. Come si è scritto ieri, entrambe le giovani donne sono da tempo impegnate nella lotta contro l’occupazione e la colonizzazione della Palestina storica da parte dello Stato di Israele.


Israeliana, 23 anni, Gaia studia sociologia e scienze politiche a Haifa, la città sulle rive del Mediterraneo dove è nata e cresciuta. Nonostante la sua giovane età, Gaia è da tempo una militante di diverse organizzazioni di sinistra. Tra queste, la più importante è senza dubbio il “blocco contro l’occupazione”, un movimento nato nel 2022 nel contesto delle proteste contro la riforma giudiziaria voluta dal governo Netanyahu. In quel periodo, spiega Gaia, “la sinistra sionista contestava la riforma per paura che mettesse a repentaglio i diritti personali. Il blocco, che è una coalizione di diverse organizzazioni, è nato per evidenziare l’ipocrisia di questa posizione, che non riconosce come in Israele-Palestina già oggi esistano persone come i palestinesi che sono prive di diritti o che non godono di diritti uguali a quelli degli ebrei”. Dall’inizio dell’attacco israeliano su Gaza il blocco si è schierato su una posizione nettamente contraria alla guerra.

Per prima cosa vorrei chiederti come stai. So che nei mesi scorsi tu e i tuoi compagni siete stati spesso minacciati per le vostre posizioni. Ci racconti cosa è successo?

In questo momento sto bene, per quanto possibile, ma fino a un mese fa ogni manifestazione che organizzavamo qui ad Haifa veniva dispersa prima ancora di incominciare, a volte in modo molto violento. In occasione della prima manifestazione che facemmo ad ottobre cinque persone sono state arrestate e altre tre sono finite in ospedale per la brutalità della polizia. A novembre i poliziotti ci hanno caricato e io sono stata arrestata insieme a due amici. Da allora abbiamo organizzato proteste molto più piccole e credo che la polizia non abbia più la forza di occuparsi di noi. Me ne accorgo da come ci trattano: sono meno violenti; ci disturbano e talvolta ci impediscono di esprimerci, ma comunque siamo riusciti a organizzare due manifestazioni pacifiche che sono durate un’ora intera, e altre ce ne saranno. Alcuni amici sono finiti in manette senza ragione e anche io ho rischiato nuovamente l’arresto due mesi fa: la polizia è venuta a casa e l’ha perquisita alla ricerca di materiale compromettente, ma per fortuna quel giorno io non ero lì. Se è così per gli attivisti ebrei, ti lascio immaginare quanto la situazione sia peggiore per i palestinesi, che vengono incarcerati talvolta per mesi con l’accusa di promuovere il terrorismo, e questo solo perché hanno partecipato a una manifestazione contro la guerra o hanno pubblicato dei post contro il genocidio in corso a Gaza. Se giudicati colpevoli, passeranno anni in prigione.


La vostra posizione non critica soltanto le singole politiche dello Stato di Israele, ma è apertamente antisionista. Che cos’è per te il sionismo e come sei arrivata a contestarlo?

Vedo il sionismo per quello che è veramente: un'ideologia che sostiene che ci sono persone superiori e altre inferiori a causa della loro religione e/o etnia. Nel caso del sionismo, si tratta di suprematismo ebraico. Credo che il sionismo sia la radice di molti dei nostri problemi. Dobbiamo sradicarlo dalla nostra identità, e non solo per il bene dei palestinesi, ma anche per il bene del popolo ebraico. La maggioranza degli ebrei ancora non se ne rende conto, ma penso che il sionismo sia un veleno che alla fine danneggia tutti. Io sono diventata antisionista a seguito di una crescita personale che mi ha portato a condurre ricerche autonome sulla storia di Israele-Palestina. Mi sono resa conto di aver subito per anni il lavaggio del cervello e che mi erano state raccontate menzogne su passato, presente e futuro di questo paese, per il quale, fino a non molto tempo fa, ero disposta a dare la vita nel breve periodo trascorso nell’IDF. Ho scelto la parte che sostiene il cambiamento e la vita, invece delle guerre e dell'odio.

Tu stessa dici che la tua posizione è quella di una minoranza nella società israeliana. Vorrei però capire in che misura questa minoranza è tale e se intravedi la possibilità di una crescita. Esistono tensioni nell’opinione pubblica israeliana? Possono raggiungere un punto di rottura?

Se parliamo della guerra, credo che il 95% degli israeliani la sostenga, e alcuni di loro erano "attivisti per la pace" fino al 7 ottobre. Il che significa che c'è solo un 5% circa che chiede il cessate il fuoco, e ancora meno sono coloro che si stanno effettivamente mobilitando al riguardo. Tra queste persone, quelle che hanno le mie stesse opinioni sul sionismo e sulle soluzioni radicali sono ancora di meno. Il morbo del fascismo qui si sta diffondendo molto velocemente e efficacemente. È spaventoso pensare che quasi tutti intorno a te sostengono il genocidio e l'oppressione. Lo scopo del nostro attivismo è portare le persone a pensare criticamente e a guardare in faccia l’occupazione, ma credo che rimarremo minoranza senza un’efficace pressione internazionale su Israele. È necessario che i governi smettano di inviare armi a Israele e che all’estero vengano boicottati i prodotti israeliani, colpendo Israele dove è più sensibile. Solo allora, quando gli israeliani capiranno che le loro azioni hanno delle conseguenze, potrà forse iniziare un processo di cambiamento.

A questo proposito devo dire che sì, qui ci sono molte tensioni, ma spesso riguardano temi che non sono direttamente collegati all'occupazione o alla guerra, come ad esempio la questione del servizio militare obbligatorio per i religiosi o la corruzione nel governo. In fondo, tutto ciò evidenzia i privilegi di cui godono gli ebrei israeliani, che appaiono ridicoli quando pensano che questi siano i problemi più grandi che dobbiamo affrontare, e non la Nakba [la “catastrofe” della pulizia etnica della Palestina] in corso e il sistema di apartheid imposto ai palestinesi.

La verità è che la maggioranza degli israeliani sta combattendo una battaglia che non potrà mai essere vinta: Israele non sarà mai una democrazia se sarà una democrazia solo per gli ebrei. Non credo comunque che si arriverà a un punto di rottura, i sionisti sono troppo accecati dal loro benessere e non si rendono nemmeno conto che stanno giocando una partita persa. E sono troppo obbedienti allo Stato per fare davvero qualcosa di drastico.

Come sai, in Europa e in Nord America i media e la politica spesso confondono sionismo ed ebraismo e arrivano a strumentalizzare la tragedia della Shoah per mettere Israele al riparo da ogni critica. Inoltre, il sionismo stesso si propone come identico all’ebraismo per giustificare i propri propositi di dominio. Il che può apparire un pervertimento sia della tradizione religiosa ebraica sia dell’ebraicità come retaggio culturale secolarizzato. Che cosa ne pensi?

Per me la questione è molto semplice: la propaganda sionista si fa scudo dell’ebraismo e della lotta contro l’antisemitismo per indurti a giustificare le azioni genocide di Israele. Ma qui voglio fare un passo in più, perché ritengo che il sionismo stesso sia responsabile dell’aumento dell’antisemitismo. Non fraintendermi: l’antisemitismo ci sarà sempre. Quello che intendo è che i governi israeliani e il sionismo fingono di rappresentare tutti gli ebrei, e quindi alcuni finiscono col credere che tutti gli ebrei sostengano l’oppressione e la pulizia etnica dei palestinesi. Il sionismo fa danni indicibili all'ebraismo. Sono i sionisti i veri antisemiti perché vorrebbero che il popolo ebraico continuasse a uccidere e a essere ucciso in questo ciclo infinito di violenza. Certo, ci sono persone puramente antisemite, ma a mio avviso non si trovano nel movimento antisionista, che si propone di garantire la sicurezza anche degli ebrei.

Nelle tue parole mi sembra di ritrovare il pensiero di molti intellettuali ebrei di sinistra. Mi viene in mente un grande pensatore come Walter Benjamin, che intendeva il suo retaggio ebraico non come un’identità etnica, ma come una piattaforma teorica ed etica per l’emancipazione universale di tutti gli esseri umani.

Sin dall’antichità l’ebraismo non è soltanto un fatto religioso, ma un’identità etnica, ma io penso che essere ebrei sia prima di tutto essere umani nei riguardi di altri esseri umani, indipendentemente dalla loro religione o etnia. Per me, che non sono religiosa, l'ebraismo significa una serie di principi come il rispetto reciproco e la santificazione della vita rispetto alla morte, ma purtroppo credo che ci si sia persi per strada.

Parliamo del rapporto con la questione palestinese e con i palestinesi in carne e ossa. Il mese scorso tu e i tuoi compagni avete partecipato al “Giorno della terra”. Di cosa si tratta? Hai spesso occasione di incontrare persone e organizzazioni palestinesi? Che cosa fate insieme?

Il Giorno della terra è una manifestazione di protesta che esiste dal 1976. La prima volta che si svolse diverse persone furono uccise dalle forze di occupazione israeliane. Da allora ogni 30 marzo ricordiamo coloro che morirono quel giorno e l’aspirazione dei palestinesi alla loro terra. Io ho partecipato per esprimere solidarietà al popolo palestinese e il mio desiderio di un futuro migliore per la Palestina occupata. Per il resto, devo dire che Il mio arabo non è ancora così buono, quindi al momento mi riesce difficoltoso far parte di organizzazioni palestinesi. Vivo però in una città con un’ampia popolazione palestinese e il mio quartiere è misto. Palestinesi sono i miei amici, i miei compagni e la mia speranza. Insieme facciamo molte cose, dal trascorrere del tempo al bar a parlare della vita e dell’amore all’andare alle manifestazioni e progettare una vita migliore per tutti.

Come ti dicevo prima, all’inizio molti palestinesi in Israele esitavano ad alzare la voce contro la guerra e l'occupazione perché per cose del genere si rischia la galera e, a volte, la vita. Negli ultimi mesi però è lentamente tornato un senso di maggiore sicurezza ed è davvero confortante vedere come alcuni di loro stiano trovando l’incredibile coraggio e la forza per protestare nonostante pericoli e minacce. A questo aggiungo che personalmente faccio anche volontariato nella Valle del Giordano con le comunità di pastori che sono minacciate dai militari e dai coloni. Per me incontrare i palestinesi che vivono all'interno dei confini del ‘67 è sempre un'esperienza straordinaria perché loro sono persone straordinarie che ogni giorno affrontano infinite lotte quando il loro unico desiderio è quello di vivere e crescere in pace.

Quando parli della lotta contro l’occupazione non ti riferisci soltanto ai cosiddetti Territori occupati del 1967 (Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est), ma all’intero territorio della Palestina storica compreso tra il Mediterraneo e il Giordano. Questo significa che respingi l’idea di “due popoli, due stati” e sostieni la creazione di uno stato unico, democratico e laico per ebrei e palestinesi a pari diritto? Puoi spiegarti meglio?

Sì, ho in testa la visione di un unico Stato in cui ebrei e palestinesi vivano insieme in modo paritario. Dovrà deve essere uno Stato laico, con una costituzione e una forte corte suprema che rappresenti tutti in modo equo. Ma per arrivarci credo che ci sia bisogno di una sorta di fase di transizione con una momentanea soluzione a due stati. In questa fase dovrà essere smantellata l’occupazione dei territori del 1967, cosa che presumo porterà molti coloni ebrei ad abbandonare spontaneamente gli attuali insediamenti; in secondo luogo, dovrà essere reso agibile il diritto al ritorno dei profughi [i palestinesi vittime di pulizia etnica dal 1948 in avanti]. Probabilmente, visto che in questo modo la popolazione crescerà molto, bisognerà trovare un accordo con la Giordania e l’Egitto per far fronte alla limitatezza dello spazio. I due stati saranno separati da confini e posti entrambi sotto la supervisione di un organismo internazionale capace di vigilare sulla transizione, anche imponendo sanzioni.

In questa fase dovrà avere luogo il disarmo dell’IDF e una presa di coscienza che metta al centro la consapevolezza della Nakba palestinese e la democratizzazione, con particolare riguardo ai diritti umani (specialmente delle donne e delle persone lgbt). Se questo avvenisse, nel giro di 10 o 15 anni i confini potranno essere aperti e potrà nascere uno Stato unico. Voglio comunque sottolineare che tutto ciò è necessario perché, allo stato attuale, il livello di odio e di ignoranza è troppo alto per scomparire da solo, e temo che sarebbe troppo pericoloso per entrambe le parti se la soluzione di uno Stato unico avesse luogo dall’oggi al domani. Mi auguro di sbagliarmi. Vorrei che la soluzione di uno Stato unico potesse funzionare senza fasi di transizione, ma al momento, almeno per quello che io stessa sento e vedo, non c'è una predisposizione alla pace nella popolazione ebraica, mentre la popolazione palestinese è troppo ferita e traumatizzata da anni di oppressione per voler collaborare pienamente con gli ebrei.



Note


[1] Situato nel mezzo della Striscia di Gaza, cinque chilometri a nord-est di Deir al-Balah. Il campo profughi si trova nel governatorato di Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza. Secondo l'Ufficio centrale di statistica palestinese, il campo profughi aveva una popolazione di 31.747 abitanti e il comune circostante di Nuseirat aveva una popolazione di 54.851 nel 2017.

Il campo profughi di Nuseirat è stato bombardato ripetutamente dall'inizio del conflitto tra Israele e Hamas. Il 18 ottobre 2023 la Grande Moschea Nuseirat - aperta nel maggio 2018 dall'inviato del Qatar a Gaza, Mohammed Al Emadi - è stata bombardata e distrutta da attacchi aerei israeliani, successivamente gli attacchi sono continuati causando più di cento vittime in Campo profughi di Nuseirat - Wikipedia.



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