Palamara, solo un caso o vizi antichi?
Aggiornamento: 21 apr 2023
di Mauro Nebiolo Vietti
Quando Rousseau teorizzò la separazione dei poteri, certamente non conosceva il modello “Palamara”, cioè il metodo relazionale, per usare un eufemismo del magistrato Luca Palamara, al centro di una nuova bufera mediatica, il cui nome spunta da più intercettazioni telefoniche che continuano a produrre seri imbarazzi al CSM, il Consiglio superiore della magistratura. Ma dobbiamo anche chiederci di che stoffa fossero i nostri Padri Costituenti quando scrissero il titolo IV della Costituzione dedicato all’organizzazione della magistratura. Per giustificare ciò che avviene oggi, la soluzione più consona sarebbe inquadrare il legislatore costituente come un gruppo di fanciulloni ingenui che, presi dall’astrazione di valori di cui si consideravano portatori, teorizzavano schemi avulsi dalla realtà. Questa soluzione ci permette di mantenere una valutazione sostanzialmente positiva dell’operato della magistratura e del suo organo di autogoverno, perché ridurrebbe i recenti comportamenti di numerosi membri del CSM ad episodi circoscritti e ad una sorta di incidente di percorso superabile con qualche rattoppo. Se, invece, consideriamo i padri costituenti persone sagge, con alto senso dello Stato, impegnati a disegnare un modello sociale moderno con un ruolo della magistratura preposta a garantire che tutti gli attori giochino secondo le regole, intervenendo quando queste rischiano di essere compromesse, allora dobbiamo concludere che l’organo giudiziale è oggi infestato da “traditori”.
Se un medico che ha prestato il giuramento di Ippocrate sopprime i malati, tradisce il giuramento, se un avvocato, che ha giurato di proteggere gli interessi del cliente, si accorda con la controparte in danno al cliente, tradisce il giuramento e così se un magistrato, che ha giurato di essere un fedele servitore dello Stato, si corrompe nei giochi correntizi tradisce un giuramento e chi tradisce è un traditore e chi li ha votati, sapendo o potendo immaginare, è un complice nel tradimento.
Qualcuno potrebbe obiettare che i giochi correntizi, gli accordi di potere, le inchieste trappola, la manipolazione dei meccanismi giudiziari sono da un lato aspetti negativi, ma, dall’altro, sono inevitabili atteggiamenti di chi esercita un potere per cui essi possono essere in qualche modo giustificati dai molti meriti che la magistratura raccoglie nell’esercizio quotidiano del potere giudiziario. Sono infatti convinto che qualcuno scriverà su qualche giornale che l’impegno meritorio di migliaia di toghe non può essere sminuito dal comportamento di alcuni; tutto vero, ma questi sono i capi ed è solo perché sono tali che l’opinione pubblica è informata di alcuni loro difettucci.
Il gioco correntizio, con tutto ciò che comporta l’esercizio del potere, è una caratteristica ineliminabile della vita politica che mescola attività assolutamente meritorie con altre meno nobili e con altre ancora ignobili; un grande leader fa sognare i suoi elettori, ma deve essere spietato nell’arginare chi attacca il suo ruolo e si tratta di una spietatezza che non conosce limiti ed il gioco del potere a grandi, medi e piccoli livelli è sempre soggetto alle stesse regole.
A quanto pare la magistratura ha importato al suo interno le stesse regole; quando i magistrati invocano il diritto all’autogoverno per tutelare un valore fondante del nostro ordinamento, in realtà intendono altro perché emerge dalle cronache che il vero scopo è giocare per il potere senza che alcuno interferisca; anche qui un irriducibile ottimista potrebbe sostenere che una nuova rielezione dei membri del CSM rappresenterebbe una ventata di freschezza, ma si tratta di qualcosa che si attende da più di un ventennio e l’unica novità sono le scissioni di correnti, la formazione di nuove e la ripresa del solito gioco finalizzato a gestire un potere.
Se così è, non sarebbe meglio lasciare la nomina dei membri del CSM al mondo politico? Se gestione del CSM si è ormai uniformata ai criteri della politica, perché lasciare in piedi un meccanismo che scimmiotta i politici? Mettiamoci questi che, almeno, in certi giochi sono più abili e, forse, la magistratura, non più interessata a gestire il potere, potrebbe rinunciare allo sbranamento correntizio, all’incriminazione dei colleghi per toglierseli di torno e ad altri giochetti del genere.
Sono sicuro che qualcuno solleverà il libretto della Costituzione gridando all’attentato, sostenendo contestualmente la necessità di ripensare ad una riforma del CSM organica e di ampio respiro. Nessuno si impressioni, si tratta – a mio avviso – di un vecchio metodo doroteo di memoria democristiana: quando non si vuole affrontare un tema scomodo oppure non si sa che pesci pigliare, proporre una riforma più ampia, studiata a fondo da una commissione di esperti ha sempre rappresentato una comoda via di uscita per non fare nulla.
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