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Pagine di storia. 27 settembre 1854: si gettano i semi della "Alleanza Cooperativa torinese"

di Vice


Correva il 1854. Nel Regno di Sardegna, il re Vittorio Emanuele II inaugura la ferrovia Torino-Genova, mentre si progetta la galleria del Frejus. Lo Stato sabaudo vuole recuperare, e in fretta, il divario tecnologico che lo separa dalle grandi nazioni europee.

Ma a Torino, in quel settembre dello stesso anno, la città combatte contro un micidiale "nemico": il colera. E l'epidemia dilaga in un quadro, come racconta il rivoluzionario socialista francese, il medico Ernest Coeurderoy, profugo nello Stato di Savoia, di miseria gravissima, di salari bassi, inflazione galoppante che aveva quale primo responsabile un governo liberale "sostanzialmente antidemocratico"[1], impotente dinanzi a una carestia già conosciuta in tutta la sua interezza a fine Settecento, tra la fuga dei Savoia e il controllo sul Piemonte delle armate napoleoniche.

Nel settembre del 1854, il morbo arrivato dall'India attraverso una nave approdata in Inghilterra, e da lì nel continente europeo, era già responsabile nella capitale del regno di circa 1.500 decessi su una popolazione di 160 mila abitanti. Un terzo dei morti si contava nel quartiere Valdocco e nei pressi dell’Oratorio di don Giovanni Bosco, dove intere famiglie sono decimate. Le istituzioni reagiscono con l'apertura di lazzaretti e "due di questi ospedali vennero improvvisati in Borgo San Donato, che allora faceva parte della parrocchia San Gioacchino di Borgo Dora. E la città è stretta da un cordone sanitario.[2]


Il magazzino della previdenza

Ma non c'è soltanto la solidarietà della cura a unire la comunità torinese in quel drammatico '54 di 170 anni. In via della Palma (oggi via Viotti) proprio il 27 settembre l'assemblea dei soci della Società operaia (costituitasi sulle orme dello Statuto Albertino) deliberava l'apertura dello spaccio alimentare, "un magazzino di previdenza" per sostenere la popolazione alla fame. Con un capitale di 1.400 (ogni azioni al prezzo di una lira) vennero acquistati 24 chili di pasta, 82 di farina, 91 di riso e alcune "brente di vino. Ma, come fu annotato, la cooperativa riuscì a ottenere il riconoscimento della massima importanza: l'esclusione dal pagamento di imposta e del dazio data la esclusione di ogni finalità di profitto e il carattere solidaristico dell'impresa. Era il primo passo, l'embrione di quella che sarebbe diventata la gloriosa ACT, l'Alleanza cooperativa torinese.

Nel 1865, con Torino che l'anno precedente aveva perduto il suo primato di capitale d'Italia a favore di Firenze, la Società operaia (primo presidente il pinerolese Antonio Rossi) contava nei suoi registri diecimila soci con un patrimonio di 251.493 lire e modificava il nome del sua sigla in A.G.O. (Associazione generale degli operai). Era l'inizio anche di un'altra storia: quella della Torino socialista.



Note


[1]Francesco Cognasso, Storia di Torino, Firenze, 1978, p. 529

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