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Osservando i nostri tempi

Oggi la genitorialità è tutta da inventare

di Domenico Cravero


Viviamo tempi difficili e anche drammatici per l’educazione delle nuove generazioni: manca la speranza per il futuro, manca la voglia di affrontare con creatività e decisione il presente. Manca soprattutto la certezza dell’amore. Nulla può ridarci ciò che abbiamo perduto con la “società liquida”. Oggi, essere adolescenti è una fatica inenarrabile. Essere le loro madri e i loro padri lo è allo stesso modo. Si brancola nel buio. L’adolescenza conserva tutte le caratteristiche del passato: il cambiamento, l’emancipazione, la conflittualità. A questo si aggiunge la postura e il linguaggio delle nuove generazioni, fatti di relazioni virtuali e tecnologizzate, quasi del tutto incomprensibili agli adulti.

Si è molto parlato della serie Netflix: “Adolescence” e di altre fiction accomunate dalla denuncia dell’incapacità degli attuali genitori di intercettare il disagio dei loro figli. Come se si svegliassero sempre troppo tardi dal loro stato di inerzia e di insignificanza. È vero che a volte i genitori vivono la sensazione drammatica di non conoscere più il loro figlio. Sono informati, partecipi e anche complici, ma si scoprono impotenti spettatori. Si accorgono che gli attuali adolescenti non sono né in opposizione ai padri, né s’identificano con le madri e che per loro non sono né degli avversari, ma neppure dei modelli. Li sentono sperduti e confusi. La frattura nei rapporti intergenerazionali contrappone i ragazzi soli e confusi da una parte e i genitori impauriti e frustrati dall’altra.

Limitarsi però a incolpare i genitori ci porta su una strada senza soluzioni. La psicologia dell’età evolutiva ha sempre dimostrato che il compito genitoriale si svolge soprattutto nell’infanzia e che, con l’adolescenza, per crescere i figli hanno bisogno di separarsi. Devono trovare anche altri adulti cui riferirsi, per favorire una doppia separazione, dall’infanzia e dai genitori, e intraprendere un doppio, lungo viaggio, verso l’identità personale e verso l’identificazione sociale. I genitori continuano a essere responsabili della crescita adolescenziale ma cambiano ruolo. La loro presenza conta e la conversazione famigliare rimane importante. Solo così potrebbero essere attenti ai figli: cosa e come mangiano, quanto e come dormono, quanto partecipano alla conduzione della comune abitazione, come usano il tempo in casa. Possono così interpretare gli eventuali cambiamenti. Possono anche accorgersi e rimediare gli errori nell’educazione infantile: la difficoltà a entrare in contatto con il dolore, le soluzioni semplici e immediate delle comodità, il miraggio del successo e della realizzazione di sé, l’adeguamento conformistico e superficiale.

Le nuove generazioni hanno ancora bisogno degli adulti, non tanto per continuare ad avere ciò che non riescono ancora a acquisire da soli, ma soprattutto per il riconoscimento e l’incoraggiamento sulla via dell’autonomia. Hanno bisogno che i loro genitori si dimostrino anche cittadini attivi e responsabili. I riti di passaggio richiedono un pubblico più vasto della famiglia. Essi consistono, infatti, nel riconoscimento pubblico, attraverso l’ammirazione dei cittadini per le risorse e le capacità delle nuove generazioni, nello stupore verso l’inedito che essi realizzano e l’innovazione che essi incarnano, pur nelle incoerenze e immaturità. L’ammirazione naturalmente non deve sminuire i motivi di rischio o rimuovere le preoccupazioni educative. Lo sguardo però deve essere posto innanzi tutto sulle attitudini e le potenzialità, e non solo sul disagio e sulle contraddizioni.

Nell’attuale genitorialità è tutto da inventare e non c’è una politica a sostegno degli adulti e dei ragazzi. C’è bisogno di informazioni e di testimonianza, di spazi di ascolto e di comprensione accurata. È importante anche accorgersi degli errori che possono insinuarsi negli stili educativi, tenendo presente che se non vengono corretti, i figli ripeteranno lo stesso copione a scapito della vita loro e di chi nascerà da loro. 

 

 

 

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