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Osservando i nostri tempi

Domenico Cravero

Aggiornamento: 26 feb

L’antifragilità della giovinezza


di Domenico Cravero


Con questo articolo la Porta di Vetro inaugura una nuova rubrica dall'esplicito titolo curata da Domenico Cravero. In particolare, ma non esclusivamente, ha in animo di rivolgersi ai giovani e caratterizzarsi su temi psicologici, sui rapporti interpersonali e su questioni morali ed etiche visti nel contesto di una società complessa e non facilmente semplificabile.

Rispetto agli argomenti trattati, i lettori potranno porre domande scrivendo a laportadivetro@gmail.com


C'è nella giovinezza una determinazione, quasi una irruenza della vita, che trascina a superare ostacoli e fallimenti, una sovrabbondanza di vitalità capace delle sfide più imprevedibili e sempre pronta a rigenerarsi. Una energia istintiva, naturale, che sembra porsi come una difesa naturale alla continua possibilità di errori e di cadute: è la forza di vita della bell’età. Oggi invece si parla dei giovani quasi solo per la loro vulnerabilità.

Da più voci ci viene raccomandato di essere “forti” o almeno resilienti: piegarsi senza spezzarsi. Per reggere alla furia dei nuovi cataclismi del clima modificato, per salvare quel che rimane della democrazia, per liberarsi dal terrore delle baby gang, non basta più essere forti, occorre diventare antifragili (Nicholas Taleb). È la buona notizia della nuova complessità del mondo: una certa quantità di caos non produce solo disturbo e confusione ma può diventare generativa di nuove scoperte.

Possiamo rendere fertili gli errori. Si può ricavare successo dal fallimento, trasformare le proprie disabilità, diventare capaci di reinventarsi. Si possono mettere in comune le singole fragilità, ammettendole e chiedendo aiuto, costituendo un “noi”, nel mutuo aiuto e nella solidarietà fraterna che rendono tutti più sicuri. Nella storia evolutiva degli esseri viventi un ruolo importante è stato svolto dall’imperfezione. La vita sulla terra sarebbe il risultato anche di incidenti e sconquassi.

Paolo di Tarso fece dell’antifragilità una solida pratica: “È quando sono debole che sono forte” (2Cor 12,10). La fede è cresciuta anche di sconfitta in sconfitta, una purificazione continua per ritornare alle origini.

La mentalità ristretta dell’aut aut rende fragili, quella cosmopolita dell’et et rende antifragili. Il linguaggio poetico, il sogno creativo, lo sforzo della fantasia (nel senso di Marc Richir) sono risorse per l’antifragile. La capacità non tanto di affrontare i numerosi problemi (problem solving) ma di fare le giuste domande (problem setting), l’applicazione costante dell’agire contributivo (Bernard Stiegler), la fiducia nelle risorse dell’immaginazione, la cura dei processi, l’educazione del desiderio: sono il metodo dell’antifragile. Per chi prende sul serio la realtà sono certamente più probabili gli insuccessi che i risultati, ma si può sempre ritornare dalla sconfitta con un dono, come nelle favole di Vladimir Propp: imparare dagli errori, cambiare visione se occorre, non subire ciò che accade, ma decidere che uso fare di quel che accade.

L’antifragilità permette di realizzare un cambiamento di paradigma. La sua valenza strategica non agisce direttamente sui problemi ma sul contesto che definisce i problemi. L’ottica è sistemica: si parte dalla giusta formulazione delle domande, si stabilisce cosa apprendere e cosa disapprendere. Si passa dal progetto (analisi della realtà, elaborazione dei bisogni, piano d’azione) al processo (formulare giudizi, procedere per priorità non per urgenze, coltivare desideri, condividere intuizioni).

Il progetto fissa obiettivi, esamina i fatti, cura l’efficienza; il processo cura l’efficacia senza essere ostaggio dei risultati, considera le motivazioni, si preoccupa dell’apprendimento. I tratti organizzativi favoriti dall’antifragile sono l’essenzialità (mettersi in ascolto), la flessibilità (lasciarsi prendere nella relazione), l’accessibilità (cambiare approccio), l’innovazione (lavorare in rete). Il metodo dell’antifragile è esperienziale ma anche metaforico: la reciprocità della fiducia moltiplica la risorse, difende dalla vulnerabilità.

Le figure educative tradizionali subiscono una riconfigurazione profonda: da formatore a testimone, da in-segnante a con-segnante (alcune parole devono ancora essere inventate), dal primato della mente alla centralità del corpo (l’arte, il sogno, il sacro). Servono figure appassionate e aperte, libere e creative perché il contributo della giovinezza è la migliore risorsa per la città.

 
 
 

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