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Mercedes Bresso

ORIZZONTI D'EUROPA. Sulle rivolte degli agricoltori in tutta Europa e sulla pubblicità ingannevole

di Mercedes Bresso



Sta dilagando in tutta Europa una violenta protesta degli agricoltori, che prende a pretesto norme europee approvate, ma anche rifiutate, dal Parlamento proprio per ascoltare le osservazioni e le paure del mondo agricolo, protesta che spesso dovrebbe essere diretta verso i propri governi che applicano male le norme ma che soprattutto non stanno aiutando il mondo agricolo di fronte alle crisi del settore che purtroppo erano attese e a cui è stata prestata poca attenzione.


Ricordiamo il successo della PAC

Cominciamo dall’Europa. Come è noto la Politica agricola comune (PAC) è stata uno dei grandi successi dell’Europa Unita, oltre ad essere la principale fonte di spesa per i sussidi. All’inizio del mercato unico le nostre agricolture erano molto diverse: ricche e fondate su latte e carne quelle del nord, ma caratterizzate da produzioni eccedentarie, più povere invece quelle del sud basate su vino, frutta, verdura, cereali. All’inizio gli aiuti andarono essenzialmente a latte, burro, carni, cereali, che spesso venivano acquistati dalla CEE e venduti a prezzi stracciati ai Paesi dell’Est. A poco a poco anche le produzioni mediterranee ebbero aiuti e soprattutto le politiche si spostarono verso interventi strutturali per sostenere gli investimenti necessari per rendere più competitiva la nostra agricoltura. Più recentemente è venuto il momento degli interventi definiti ambientali, come mettere delle terre a riposo, ridurre i pesticidi e i concimi chimici, tutte cose che servono a tutelare le nostre terre, i cittadini e gli stessi agricoltori.

Inoltre è grazie alle politiche europee se sono state approvate norme essenziali di tutela delle denominazioni  geografiche tipiche e di origine non solo per i prodotti agricoli, ma anche anche per quelli derivanti dall’industria agro alimentare. Da tutte queste regole la nostra agricoltura ha tratto un enorme beneficio sviluppando quelle produzioni di qualità che per un paese piccolo come il nostro e con terre difficili, sono le sole a poterci assicurare l’eccezionale export che ci caratterizza. Tutto questo senza le norme UE e il mercato unico non sarebbe potuto accadere.


La risposta al cambiamento climatico

Questa legislatura che è stata caratterizzata dal Green Deal, la risposta europea al cambiamento climatico, che mira a fare del nostro continente un leader nella sfida della transizione ambientale, ha dovuto anche affrontare il tema dell’impatto climatico di molte produzioni agricole, prima di tutte i grandi allevamenti intensivi di bovini, suini, pollame, che sono ormai vere e proprie industrie e che producono molto inquinamento, sia dell’aria sia rifiuti organici, per i quali sono state proposte norme molto criticate e sulle quali il Parlamento è intervenuto per migliorarle, di solito a favore degli agricoltori o addirittura rifiutandole e chiedendo alla Commissione di riscrivere il testo (il regolamento sulle emissioni industriali ha espunto, ad esempio, i grandi allevamenti bovini chiedendo una norma ad hoc.

Altre norme , come quella sul dimezzamento dell’uso di pesticidi, sono state rinviate o molto modificate. Altre ancora come quella sulla protezione degli insetti impollinatori sono di indubbio aiuto per il settore. Il testo più controverso su cui si appuntano le critiche è il regolamento sul ripristino della natura, che riguarda in parte anche il mondo agricolo e che si pone l’obiettivo di riportare una parte del territorio europeo a uno stato più “naturale”, dettando norme piuttosto dettagliate anche se soggette a preliminari piani nazionali (che da noi saranno penso regionali) per definire che cosa si deve fare. Nel nostro paese sarà una norma particolarmente complessa da applicare perché il nostro territorio, “addomesticato” da millenni, è un complesso intreccio fra natura e cultura fra patrimonio naturale e patrimonio culturale. I piani saranno quindi una bella sfida perché certo non possiamo immaginare di tornare alle  foreste selvagge di migliaia di anni fa!

Tuttavia alcune cose sono interessanti e possono aiutarci a migliorare ancora la qualità della nostra agricoltura e il suo impatto sul territorio: ad esempio ritornare a disseminare i campi di siepi, boschetti, bacini per conservare l’acqua per irrigare nei sempre più frequenti periodi di siccità. Certo queste pratiche richiedono uso di terre sottratte alle coltivazioni ma molti fondi saranno messi a disposizione per gli interventi e si potrebbe approfittarne per creare i necessari adattamenti ai cambiamenti climatici, oltre che  a sviluppare pratiche sostenibili di agri fotovoltaico (l’uso congiunto delle terre agricole per coltivazioni e produzione elettrica ) o individuare le terre poco adatte alle produzioni agroalimentari da destinare alla produzione di bio carburanti (per i quali sarà essenziale la manutenzione forestale).

Come si vede non è vero che l’Europa non si occupa della propria agricoltura e non è neppure vero che il Green deal la danneggerà. Certo servono dialogo, buona volontà, risorse e un ruolo guida degli agricoltori più giovani che sono più sensibili alla crisi climatica e alla propria salute, oltre che più aperti alle innovazioni. Serve anche però che l’Unione Europea parli di più con il mondo agricolo e che, insieme agli Stati, affronti le due vere grandi questioni che destano le paure del mondo rurale: lo strapotere della grande distribuzione che lima all’osso le remunerazioni dei diversi prodotti  e l’arrivo di un paese come l’Ucraina, che ha un potenziale produttivo enorme che, se non ben governato, potrebbe mettere in ginocchio le agricolture di molti paesi. Già oggi l’apertura ai suoi prodotti agricoli, come aiuto per la guerra sta creando molte tensioni. Come si vede anche qui serve l’Europa e serve in fretta rilanciare il dialogo.


Ambiente e promozioni commerciali

Ma un secondo tema è stato all’ordine del giorno a Bruxelles la scorsa settimana, che si riconnette a un caso molto italiano: quello delle pubblicità ingannevoli, che non sono solo degli influencer ma sempre più spesso riguardano l’ambiente.

Sta arrivando alla fine, nelle Commissioni competenti, un provvedimento che mi ha ricordato la vicenda Balocco- Ferragni. Sempre più spesso la pubblicità si presenta come virtuosa, citando azioni di beneficenza che sarebbero fatte per conto nostro se compriamo un prodotto o vantando, ad esempio, la compensazione delle emissioni create dalla produzione di un bene (come un’acqua minerale)  attraverso l’acquisto di quote di captazione di carbonio in qualche paese tropicale. La creatività nell’inventare fantasiose maniere per dimostrare di essere più Green di altri prodotti simili è impressionante.

Nel 2020 c’erano circa 230 marchi “ecologici“ in Europa e 100 di “energia verde”. Le indagini condotte hanno rilevato che il 53% delle dichiarazioni ambientali erano vaghe, fuorvianti o infondate e che il 40% non era comprovato. Un’altra indagine ha verificato che il 94% delle compensazioni dichiarate di carbonio non rappresentavano vere riduzioni di carbonio. Serve quindi una regolamentazione chiara su questo tipo di dichiarazioni a fini pubblicitari per evitare delle vere e proprie truffe ai consumatori e un danno per l’ambiente. Quella in discussione stabilisce delle norme tese a comprovare la fondatezza delle dichiarazioni ambientali e dei sistemi di etichettatura ambientale. Queste dovranno essere certificate da un valutatore indipendente che dovrebbe essere un organismo certificato.

Le modalità per questa verifica sono attualmente oggetto di una accanita discussione in Commissione perché la destra vuole regole più lasche e l’esclusione delle PMI, che però in Europa sono quelle sotto i 500 dipendenti, il che lascerebbe fuori troppe aziende. Le forze progressiste vogliono invece una maggiore garanzia per i consumatori e la direttiva applicata a tutte le imprese, scelta che  sarebbe  anche una tutela per le imprese oneste e per le spese che  dovranno sopportare per certificarsi. Per quanto riguarda le Ferragni varie ricordo che esistono le norme europee sulle pratiche commerciali sleali e che forse basterebbe applicarle.




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