Mongolia: il cristianesimo di Francesco che attrae in terra di frontiera
di Luca Rolandi
Che cosa ha significato il viaggio di papa Francesco in Mongolia? La domanda è profonda e vale più di una riflessione. Intanto Bergoglio si è recato in una nazione che è cuscinetto tra Russia e Cina, un territorio vasto e per molte parti disabitato, ma dove le comunità e le diverse realtà culturali e religiose, quella cattolica è minoranza nella minoranza, sono riuscite a costruire un dialogo costante e percorsi di condivisione e fraternità. Perché il papa attraversa il mondo per andare in un Paese tanto lontano quanto sconosciuto come la Mongolia e popolato da appena 1500 cattolici? In realtà, la storia potrebbe parlare anche in Mongolia di una presenza antica, che risale ai tempi dell’impero mongolo, al XIII secolo, e poi è stata riaccesa negli ultimi due secoli e negli ultimi trent’anni ha avuto uno sviluppo forse inatteso.
Il più giovane cardinale del collegio è oggi mons. Giorgio Marengo (nella foto), cuneese e missionario della Consolata di Torino, un giovane che guida una chiesa giovane e che è dentro una dimensione dell’esperienza cristiana innovativa e che prefigura ciò che sta accadendo anche in molte altre parti del globo.
Il viaggio in Mongolia dunque è stata una scelta, ancora una volta, profetica e lungimirante: molto chiara e che si aggiunge a quella di ridare smalto all’impegno cattolico in Asia da parte di Francesco, che vede nel continente un laboratorio di testimonianza cristiana nuovo e inesplorato. Il senso più profondo è, infatti, un salto nel futuro in quella dimensione di testimonianza del dono della fede, non per tradizione o cultura, ma per attrazione. Questo modo di dire Dio nella presenza trinitaria significa affrontare queste sfide insieme alla popolazione locale prescindendo da appartenenza o affiliazione tradizionale, anzi, conoscendo e riconoscendo il buddismo, che è la religione tradizionale di queste terre e la dimensione di ricerca delle persone che non hanno conosciuto Gesù.
“La sete che ci abita e l’amore che ci disseta”. Papa Francesco ha ricordato più volte nelle celebrazioni officiate alla “Steppe Arena” di Ulaanbaatar, durante il suo viaggio apostolico. Il “cuore del cristianesimo” per il Papa non sta in nessuna forma di grandezza ma nella generosità che diventa dono per gli altri: nei deserti della vita siamo “nomadi di Dio”, Lui disseta ogni arsura interiore e il richiamo al Vangelo è fondamento di questo annuncio a un popolo lontano ma ricco di valori “Gesù ci mostra la via per essere dissetati: è la via dell’amore, che Lui ha percorso fino in fondo, fino alla croce, e sulla quale ci chiama a seguirlo ‘perdendo la vita per ritrovarla’ nuova”, ha ricordato ancora Papa Bergoglio.
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