Migranti: l'intesa Italia-Albania, ennesima forzatura di Giorgia Meloni
di Pietro Bartòlo
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha convocato per oggi, 23 dicembre, una riunione con i ministri competenti per verificare i dossier su sicurezza, immigrazione e protocollo Albania. La decisione arriva a ridosso dei commenti rilasciati sulla sentenza della Cassazione rispetto al diritto degli esecutivi di stabilire quali sono i Paesi sicuri. Secondo la presidente del Consiglio, sic e simpliciter, gli ermellini avrebbero dato ragione al governo. In realtà, la sentenza [1] della Suprema Corte è alquanto complessa e merita una valutazione meno frettolosa e certamente più circostanziata sul rapporto politica-giustizia, punto cruciale del parere richiesto dal Tribunale ordinario di Roma su sentenza pronunciata il 10 luglio 2024, che non emerge dai giudizi a caldo.
Tuttavia, la pronuncia della Cassazione unita alla recente sentenza sul caso Open Arms, che ha assolto il vicepresidente del consiglio Matteo Salvini, si è trasformata per la presidente del Consiglio nell'atteso combinato disposto per riprendere il discorso sui trasferimenti nei centri albanesi cui finora i giudici hanno posto un veto. Sul tema, interviene Pietro Bartòlo, europarlamentare dal 2019 al 2024.
Il protocollo Italia-Albania: un fallimento italiano ed europeo. Il protocollo d’intesa che Meloni e Rama, confidando in una proficua collaborazione tra i due Paesi, hanno siglato per una migliore gestione del fenomeno migratorio, alla prova dei fatti si è dimostrato un totale fallimento. Eppure, con una veemenza che esprime tutta l’acredine di un’oratrice intenta ad incendiare gli animi dei propri sostenitori, la Presidente del Consiglio, in occasione della kermesse politica Atreju, dopo i primi scricchiolii del suo progetto, che avrebbe dovuto costituire la panacea di tutti i mali, ha affermato che i centri di Shëngjin e Gjiader in Albania funzioneranno, a costo di trascorrere interi giorni ed intere notti fino alla fine del suo mandato nel tentativo esasperato di trovare le soluzioni che permettano al suo ennesimo cavallo di battaglia elettorale – perché questo esecutivo non ha ancora compreso che governare il Paese non equivale ad impegnare il proprio prezioso tempo in una continua propaganda – di trovare pieno compimento.
I suddetti scricchiolii erano ampiamente prevedibili e sono stati di fatto previsti da chi crede nei diritti umani e rifiuta di anteporvi l’irrefrenabile desiderio di affermazione ideologica, per quanto si sia detto che venti ideologici soffino su quei provvedimenti che i tribunali italiani hanno adottato non riconoscendo la legittimità del trattenimento in Albania dei pochi migranti che ad oggi hanno varcato le soglie di quei centri che affollati lo sono, sì, ma di personale tutto italiano, lì giunto per occuparsi della loro gestione. Dai giudici di diversi tribunali ordinari, infatti, che hanno preferito rimettere la questione nelle mani della Corte di giustizia di Strasburgo, sono a più riprese pervenuti dinieghi al trattenimento nei centri albanesi, a completa gestione italiana, dei migranti recuperati dalle navi militari – non da quelle delle ONG – e trasferiti dall’Italia in Albania, dove sono stati brevemente ospitati prima di far ritorno nel nostro Paese, con un esborso di denaro pubblico esorbitante, al quale, da non dimenticare, vanno aggiunte le spese per la realizzazione e messa in funzione dei centri, nonché i costi gestionali che ammontano a circa 600 milioni di euro per i cinque anni previsti dal protocollo.
Dinieghi che non sono stati digeriti da Giorgia Meloni che, in barba al suo smodatamente sbandierato rispetto per la legge e l’ordine, ha pensato di trovare non uno, ma ben due escamotage per aggirare tali difficoltà. Dapprima, l’idea di sottrarre alle sezioni specializzate in immigrazione e protezione speciale dei tribunali ordinari le loro specifiche competenze, con l’intenzione di attribuirle alle Corti d’appello. L’emendamento al decreto flussi che conteneva tale disposizione non ha tardato a scatenare un sollevamento dei Presidenti delle Corti d’appello che hanno messo in evidenza quanto il loro operato verrebbe rallentato da queste ulteriori mansioni, mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi loro spettanti, tra i quali spicca la necessità di dirimere entro i termini i procedimenti legali pendenti relativi al PNRR.
Il secondo escamotage tira in ballo, invece, la questione dei Paesi sicuri. Dopo il diniego del Tribunale ordinario di Roma in merito al trattenimento di dodici migranti nei centri albanesi, pronunciato in data 18 ottobre 2024 in osservanza della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dello scorso 4 ottobre – essa vieta che “un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione” - , il Governo ha ben pensato di approvare, il successivo 23 ottobre, un decreto legge con cui si aggiorna la lista dei Paesi sicuri, inserendo, guarda caso, anche l’Egitto e il Bangladesh, paesi d’origine dei dodici migranti tornati in Italia.
Tanto non è valso per impedire ai giudici di pronunciare nuovamente un diniego in data 11 novembre. Forse la gerarchia delle fonti normative non è stata tenuta in considerazione da chi credeva di poter scavalcare l’Unione europea ed i provvedimenti emanati dalle sue Istituzioni, volti alla salvaguardia dei diritti umani. Vero è che la Presidente Ursula von der Leyen ha strizzato l’occhiolino a questo famigerato “modello Italia Albania” – non stupisce più di tanto tale sintonia, considerando che insieme le due leader hanno condiviso l’opportunità di stipulare accordi con paesi terzi in cui lo Stato di diritto è spesso calpestato, come in Egitto e Tunisia -, ma, d’altra parte, vero è anche che tra i maggiori sostenitori europei della Presidente del Consiglio e del suo approccio al fenomeno migratorio si distinguono esecutivi di stampo sovranista, con l’Ungheria di Orban in testa.
“L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. Così recita l’art. 2 del Trattato sull’Unione europea, di cui la Presidente della Commissione è guardiana. A che cosa può, dunque, l’atteggiamento della custode dei trattati Ursula von der Leyen - quando si parla di accordi con paesi terzi in cui lo Stato di diritto viene costantemente violato - essere più propriamente accostato se non ad un tradimento dei Padri Fondatori che quei trattati li posero a fondamento della nostra Unione?
Note
Sentenza Cassazione in:
Comments