Metalmeccanici al bivio: le 35 ore settimanali sono strategiche
di Stefano Boschini*
Fim, Fiom e Uilm hanno affrontato gli ultimi due rinnovi contrattuali dei metalmeccanici con impostazioni tra loro rispettivamente molto diverse. Nel primo (26 novembre 2016), in un contesto in cui il CCNL precedente aveva erogato 4 punti percentuali sopra l’inflazione e la previsione per gli anni successivi vedeva un’inflazione prossima allo zero, le richieste erano state focalizzate sui temi del Welfare: Previdenza Complementare, Assistenza Sanitaria Integrativa, Flexible Benefit e Diritto Soggettivo alla Formazione.
Nel secondo (21 febbraio 2021), l’impegno sindacale si era invece concentrato sulla questione salariale, sostenuta dall’attuazione di una riforma dell’inquadramento professionale ottenendo, anche in virtù di una norma di salvaguardia che ha previsto il recupero dell’eventuale differenziale inflattivo a consuntivo (nel mese di giugno), importanti aumenti sui minimi.
In vista del rinnovo contrattuale di categoria
La piattaforma per il rinnovo del CCNL in scadenza a giugno, che presenteremo nelle prossime settimane, oltre che su importanti richieste salariali, la copertura economica in mancanza di PDR, il Welfare integrativo e la stabilizzazione dei contratti precari, sarà centrata sulla progressiva riduzione dell’orario di lavoro (35 ore) a parità di salario.
Attraverso la lettura delle piattaforme e dei rinnovi contrattuali dell’industria metalmeccanica dell’ultimo mezzo secolo è possibile comprendere un pezzo importante della storia sociale del nostro Paese e, tra i molti temi che si potrebbero prendere in esame, quello dell’orario è particolarmente indicativo dei bisogni e dei desideri dei lavoratori e più estesamente della società.
I tempi di vita e i tempi di lavoro (normati appunto dal Contratto Nazionale) si intrecciano in un rapporto dialettico che si sviluppa sotto la costante spinta dell’innovazione tecnologica. Questa, sollecitata dalla pressione delle logiche di mercato e dalla conseguente, spasmodica, ricerca di competitività, da una parte cambia incessantemente le condizioni oggettive del lavoro industriale e dall’altra modifica i bisogni e le aspettative degli individui, trasformando di continuo la società.
Conciliare tempi di vita e di lavoro
Oggi, l’innovazione tecno-scientifica e la sua applicazione all’industria è caratterizzata da un moto di costante accelerazione. L’introduzione di nuove tecnologie accompagna l’uomo dalla notte dei tempi ma la velocità assunta negli ultimi anni da questo fenomeno rappresenta un salto qualitativo e un cambio di paradigma, il quale rende sempre più difficile, per il Sindacato, il tentativo di riorganizzare un sistema normativo-contrattuale in grado di affermare i riferimenti minimi nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Già si intravede che la grande trasformazione in atto (di cui la transizione ecologica e digitale è parte) potrebbe non avere un approdo definitivo, qualcosa che assomigli a un periodo di relativa stabilità, ma che l’approdo possa essere la trasformazione “permanente” stessa.
Riteniamo che la risposta contrattuale a tale condizione debba essere la progressiva riduzione dell’orario di Lavoro.
In questi anni, stiamo assistendo all’emergere di alcuni fenomeni sociali nuovi, che riguardano in particolare i giovani, emblematici delle differenti velocità che caratterizzano:
a) l’innovazione tecnologica, in costante accelerazione;
b) la capacità di regolazione normativa dei soggetti di rappresentanza del Lavoro, molto più lenta.
Un’analisi di questi fenomeni: la Great Resignation, il Quiet Quitting, la priorità data dai giovani in cerca di occupazione allo Smart Working (che vale anche per quelli che già hanno un lavoro) descrive la necessità di conciliare i tempi (e le aspirazioni) della vita con quelli del Lavoro. Tante scelte individuali rappresentano un fenomeno sociale di notevole rilevanza e richiedono dunque una risposta collettiva; al centro di questa, per il Sindacato, deve essere posto il tema della riduzione dell’orario di Lavoro e lo strumento di questa risposta è il Contratto Nazionale.
Riprendere la discussione con le controparti
Se andiamo a rileggere la storia delle rivendicazioni contrattuali dei CCNL degli ultimi decenni, dalla piattaforma del 1982, con la richiesta di un orario di 37 ore e mezza, in avanti, troviamo che, in un contesto sociale ed economico differente da quello attuale ma le cui ragioni di fondo sono più simili di quanto si pensa, i Sindacati dei metalmeccanici iniziarono un percorso di rivendicazioni contrattuali finalizzate a ridurre l’orario medio settimanale.
La Fim-Cisl in particolare, in quella fase, si impegnò in un profondo lavoro di elaborazione teorica. In quegli anni, la spinta alla riduzione dell’orario si inscriveva all’interno di una campagna portata avanti dai più importanti Sindacati europei, IG Metall in testa, che ottenne le 38,5 ore col contratto del 1984. In Italia, si arrivò ad un orario medio attorno alle 38 ore alla fine degli anni ottanta grazie all’introduzione di 72 ore di ROL (Riduzione Orario di Lavoro), successivamente confluite assieme alle 32 ore di Ex Festività nei PAR (Permessi Annui Retribuiti, 104 ore).
Da quel momento, la discussione sulla riduzione dell’orario di Lavoro per via contrattuale fu interrotta dalla controffensiva delle controparti che, sulla spinta dell’innovazione tecnologica applicata ai processi produttivi e alla relativa crescente pressione dei mercati, seguita anche al crollo del muro di Berlino e al nuovo scenario della globalizzazione, iniziarono a porre in termini sempre più decisi il tema delle flessibilità d’orario, che nel CCNL dei metalmeccanici si è poi tradotta nella norma sull’orario plurisettimanale.
Aspettative dei lavoratori ed esigenze aziendali
Oggi, anche in considerazione dei fenomeni sociali sopra descritti, riemerge con forza il tema, mai abbandonato, delle 35 ore. In questi anni, infatti, la questione è stata riproposta nella contrattazione di secondo livello con alcuni risultati incoraggianti, di cui ricordiamo i contratti Ducati (2006 e 2015) e di cui Lamborghini (fine 2023) è l’esempio più recente. Siamo convinti che la ricerca di una sintesi progressiva tra le esigenze di flessibilità delle imprese, dovute alle condizioni oggettive del mercato, e i bisogni che riguardano la vita e le aspettative di realizzazione dei lavoratori, partendo da istituti già disponibili e sviluppati nella storia recente del CCNL, sia un dovere di tutte le parti. Una settimana più corta consentirebbe una miglior conciliazione dei tempi di vita e di quelli di Lavoro e potrebbe dare una risposta più coerente al concetto di Lavoro che appartiene ai più giovani, il quale è altrettanto espressione delle “condizioni oggettive” che stanno velocemente mutando la società nel suo insieme. Inoltre rappresenterebbe una risposta concreta per tutti quei lavoratori che, operando in presenza, non possono accedere allo Smart Working.
A partire dalle esigenze di riqualificazione e di formazione permanente richieste da un sistema produttivo dove l’impatto delle nuove tecnologie e dell’innovazione è sempre più determinante e dove, per i più giovani, le conoscenze e le abilità applicate al lavoro vengono acquisite, oltre che nella scuola, nella vita di tutti i giorni, l’apertura a una maggior disponibilità di tempo andrà a favorire i momenti di formazione, sia quella formale che quella informale. È molto probabile che, già oggi, nella testa dei giovani il tempo di lavoro e il tempo di vita non debbano essere due momenti così inconciliabili, come nel fordismo novecentesco, ma debbano sempre più rientrare all’interno di un medesimo contesto di significato.
Inoltre, tutto questo farà bene anche alla competitività dell’industria del nostro paese.
*Fim-Cisl Nazionale
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