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"Meloni e La Russa vogliono leggi elettorali prêt-à-porter"

di Rocco Artifoni


Siamo alle solite. Quando si perde si dà la colpa alla legge elettorale, che di conseguenza va cambiata. Queste sono le intenzioni della coalizione del centrodestra, che – visti i risultati negativi nel ballottaggio nelle grandi città – vorrebbe modificare le vigenti norme elettorali per le amministrative, evitando il secondo turno se al primo venisse superato il 40% dei consensi (anziché il 50%).

Ovviamente non esiste una legge elettorale perfetta e anche l’attuale sistema con eventuale secondo turno presenta diversi difetti. Per esempio induce un fisiologico calo della partecipazione al voto nel ballottaggio, perché alcuni elettori non si riconoscono nella semplificazione riduttiva di due candidati. Inoltre, dà la possibilità di modificare le alleanze tra il primo e il secondo turno, che potrebbe far pentire l’elettore di aver dato il proprio consenso al primo turno. Ovviamente ci sono anche alcuni pregi: il principale è che il sindaco eletto è sempre scelto da almeno il 50% dei votanti.

La coalizione di centrodestra, attraverso le recenti dichiarazioni di Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, come è stato rilevato anche da Beppe Borgogno nel suo intervento,[1] anziché cercare di superare o almeno limitare i difetti, vorrebbe togliere proprio il principale aspetto positivo del sistema con il ballottaggio, cioè l’elezione del sindaco con la maggioranza assoluta dei votanti.

Tutto ciò conferma per l’ennesima volta che non si cambiano le leggi elettorali per ragioni di maggiore aderenza alla volontà popolare (salvo richiamarla retoricamente ogni volta che serve), ma soltanto per convenienza del momento. Pronti a modificare le norme elettive nuovamente, se poi non risultassero utili per la propria parte politica.

Più volte la Consulta è intervenuta dichiarando incostituzionali alcune leggi elettorali vigenti. A riprova che chi le ha approvate non aveva a cuore il rispetto dei diritti e delle regole, la correttezza e l’equità del voto. In questo modo sono stati eletti Parlamenti e di conseguenza governi attraverso norme non rispettose della Costituzione. Nessuno tra quelli che le hanno proposte e approvate ha recitato il mea culpa o si è dimesso dimostrando almeno un minimo di decenza.

Nei mesi scorsi proprio dalla coalizione che sostiene il governo in carica abbiamo ascoltato il vanto delle norme che eleggono i sindaci per giustificare l’introduzione del premierato, detto anche “sindaco d’Italia”. È bastato un turno elettorale sfavorevole per affermare che il sistema di elezione dei sindaci delle grandi città debba essere cambiato. Di conseguenza si proporrà di modificare anche la proposta del premierato?

Queste scriteriate e incoerenti operazioni di trasformismo delle norme elettorali sono preoccupanti. Anzi, come Ennio Flaiano ebbe a dire: «La situazione politica italiana è grave ma non è seria». Grave perché è dichiarata l’intenzione di modificare l’equilibrio dei poteri, a favore del governo e a discapito di Magistratura, Parlamento e Presidente della Repubblica.

Come ha recentemente scritto Marta Cartabia, presidente emerita della Corte costituzionale, «la centralità del Parlamento nell’ambito del circuito democratico – disegnato nella Costituzione, benché poi almeno in parte disatteso dalla prassi più vicina a noi – intendeva arginare la tendenza alla concentrazione del potere politico in capo al governo e in particolare al “capo del governo”, verificatosi nei decenni precedenti».

La situazione politica italiana non è seria, ma la democrazia dovrebbe essere una questione seria. Come seria è la legge elettorale. Ma come diceva Pier Paolo Pasolini: “Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo!”.


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