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Manifestazioni e libri per difendere la Costituzione

di Piera Egidi Bouchard



Alle 17,30 di oggi, 18 giugno, a Torino, in piazza Palazzo di Città, avrà luogo una manifestazione in difesa della Costituzione e dell'unità nazionale organizzata dal Pd metropolitano. L'iniziativa fa da contrasto al governo Meloni che ha imboccato senza riserva la strada dell'autonomia differenziata. Una scelta che le opposizioni, dal centro sinistra a Movimento Cinquestelle, hanno definito "spacca Italia". "Spaccatura" che il governo di destra ha dovuto registrare al voto europeo nelle regioni meridionali rispetto ai risultati ottenuti dai partiti della sua coalizione al nord. L'altro corno dell'operazione per devitalizzare la Costituzione, secondo le opposizioni, è affidata al cosiddetto Premierato, che non a caso la Presidente del consiglio considera la madre di tutte le riforme, quella che imposta al Paese ne stravolgerà il volto, come fin qui è stato conosciuto dall'entrata in vigore della Costituzione. In piazza, ma con la piena conoscenza di ciò che si difende e di ciò che si rischia di perdere, è quanto ci suggerisce poi Piera Egidi Bouchard con la recensione all'ultimo libro del costituzionalista Francesco Pallante.


Ho un ricordo nitido degli effetti causati dall'irruenza leghista di bossiana memoria negli anni Novanta del Novecento: “Cosa, rifaremo i staterelli?!!” esclamò la mia mamma, anziana ma ancora sveglia, nella sua pronuncia triestina (i, invece che gli) alle prime proposte di secessionismo. Mia madre era di famiglia irredentista, amici di Cesare Battisti, il patriota trentino impiccato per alto tradimento dall’Austria il 12 luglio 1916 (Trento e Trieste erano ancora sotto il suo dominio) perché allo scoppio della I guerra mondiale si era arruolato volontario con gli alpini italiani; per noi invece medaglia d’oro al valor militare. Mio nonno Guido, richiamato in guerra dall’Austria, per non combattere contro i fratelli italiani si rotolò nella neve fino ad ammalarsi, perse un polmone e fu invalido, morendo giovane pochi anni dopo. Un eroe sconosciuto, come tanti altri. La mamma bambina si ricordava l’entusiastico ingresso dei bersaglieri nella Trieste ormai liberata... Di questi infiniti sacrifici, dei massacri negli altipiani del Carso, delle sofferenze inaudite nelle trincee, dei reduci, mutilati, ci stiamo dimenticando ora, quando sventolare davanti a un ministro leghista una bandiera italiana - nata a Reggio Emilia (proprio così) nel 1797, inalberata dai mazziniani nei moti del 1821 e del 1831, e proclamata nel 1848 da re Carlo Alberto bandiera dell’Italia – viene considerata una provocazione?

Guarda un po’, chi ricorda la storia in quest’atto a tutto il Parlamento è il deputato Donno, pugliese, quando sta cominciando l’iter dell’autonomia differenziata, che, significativamente insieme e parallelamente al premierato - ma forse ancora più pericolosa - sono due carri armati in grado di disarticolare l’unità della nazione e i principi base della nostra Costituzione. Solo dopo questo gesto simbolico di un uomo del Sud e la bagarre che ne è seguita si è cominciato a prendere coscienza nell’opinione pubblica del gravissimo problema. Ma qualche studioso ha già lanciato l’allarme.

“Veneto, Lombardia ed Emilia -Romagna – scrive il costituzionalista Francesco Pallante in un suo centopagine da imparare a memoria, dal titolo significativo “Spezzare l’Italia- Le regioni come minaccia all’Unità del Paese”- [1] le regioni più ricche del Paese, che insieme valgono il 40 per cento del Pil nazionale, mettono fine all’unità d‘Italia. Sanità, istruzione, musei, giustizia di pace, lavoro, sostegno alle imprese, trasporti, strade e autostrade, ferrovie, porti e aeroporti, paesaggio, ambiente, laghi e fiumi, rifiuti, edilizia, energia, enti locali passano integralmente alla competenza delle tre regioni. [...] lo Stato si ritrova privo delle leve essenziali per realizzare politiche sociali, culturali, ambientali, economiche di respiro nazionale. [...] La solidarietà nazionale va in frantumi: assieme alle nuove competenze – individuate tra le oltre 500 funzioni attualmente gestite dallo Stato in 23 materia - le tre regioni ottengono le risorse necessarie a esercitarle, calcolate a partire dal gettito fiscale generato sul loro territorio, senza compensazioni perequative. Nel Paese europeo segnato dalla maggiore diseguaglianza interna, un’enorme quantità di ricchezza (oltre 75 miliardi di euro all’anno) si sposta dai territori più indigenti a quelli più benestanti. ”Oltremodo complicato, se non impossibile il referendum abrogativo, spiega l’autore: “Il tutto senza nemmeno il fastidio di dover cambiare la Costituzione.”

E si chiede: “Come è stato possibile arrivare a tanto? E’ chiaro che siamo al compimento, sotto mentite spoglie, dello storico disegno secessionista della Lega. [...] Com’è pensabile che le preoccupazioni unanimemente sollevate da Banca d’Italia, Confindustria, Ufficio parlamentare di bilancio, Svimez - tutti contrari all’ulteriore incremento delle competenze regionali- siano lasciate cadere nel vuoto dal sistema politico?”.

“Le regioni non sono un male. Ma nemmeno un bene.” Lo studioso sviluppa questo assunto nei dettagli della storia recente e passata, e ci conduce passo passo lungo la china in cui l’insipienza di una classe politica sempre meno all’altezza dei suoi compiti rischia di farci con assoluta incoscienza scivolare, sopra la testa della  cittadinanza. E’ un percorso agghiacciante, a cui rimandiamo il lettore, che val la pena di conoscere nei dettagli. Perché la storia del popolo di queste regioni “ricche” è invece una storia di condivisione, di solidarietà, di “cuore in mano”: pensiamo all’inondazione del Polesine, pensiamo a Firenze travolta dal fango dell’alluvione, pensiamo al terremoto nell’Irpinia, a quello siciliano del Belice. Il nostro è un popolo generoso e solidale, non a caso l‘articolo 3 della Costituzione prevede che tutte le istituzioni che compongono la Repubblica debbano porsi l’obiettivo del pieno sviluppo della persona umana.

"Proseguire lungo questa strada è da irresponsabili. – ammonisce con nettezza il costituzionalista – L’espansione incontrollata dei poteri regionali va fermata e le regioni devono essere strumenti al servizio della Repubblica e del suo disegno di emancipazione di tutti i cittadini: a prescindere dal territorio di residenza".

Non possiamo abbandonare il nostro splendido Mezzogiorno dai tanti problemi storici (certo, anche non affrontati adeguatamente nei decenni): non possiamo dimenticare che oltre 6.000 soldati del Sud nel solo Piemonte, sbandati dopo il tragico scioglimento del nostro esercito l’8 settembre del ’43, raggiunsero in montagna i gruppi partigiani e combatterono contro l’occupazione nazista del Nord. Morirono i fucilati gridando “Viva l’Italia!”, così come i patrioti del nostro Risorgimento.


[1] Francesco Pallante, Spezzare l’Italia- le regioni come minaccia all’unità del Paese, Einaudi, Torino, 2024

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