Ma in che mondo viviamo?
di Michele Ruggiero
Da un'intervista al cantante Ricky Gianco: «[...] Sono sempre stato un pacifista convinto ma vedo un mondo in caduta libera. La guerra, per esempio: a parole nessuno la vuole, ma non riusciamo a farne a meno. Penso che noi uomini si resti sempre bambini nel profondo, si sappia solo giocare. E le guerre siano la prosecuzione di quell’inclinazione».[1]
In questi giorni, è stata data la giusta amplificazione ai dati sulle esecuzioni di morte in Arabia Saudita. Numeri raccapriccianti, punteggiati dalla pelle d'oca, quando notiamo che di recente il Paese era stato candidato ad entrare nel Consiglio Onu per i Diritti Umani. Quali? Nei primi nove mesi del 2024, infatti, sono state 211 le esecuzioni nel regno wahabita, già oltre il record per un singolo anno, siglato nel 2022 con 196 persone giustiziate, il più alto numero degli ultimi 30 anni, tre volte maggiore di quello del 2021 e sette volte maggiore di quello del 2020. Ciò, nonostante l’asserito impegno delle autorità saudite a non usare più la pena di morte nei confronti di minorenni al momento del reato. Promesse da Pinocchio con allungamento ultraveloce del naso.
In una nota, Amnesty International sostiene che "sette giovani rischiano l’imminente impiccagione dopo che una corte d’appello ha confermato la loro condanna. La loro esecuzione segnerebbe una drammatica escalation nell’uso della pena di morte in Arabia Saudita.[2] Aggiunge l'organizzazione umanitaria: "Spesso le famiglie dei condannati a morte non vengono informate sulle decisioni della Corte suprema e sulla ratifica da parte del re e vengono a conoscenza dell’esecuzione dei loro parenti solo attraverso la stampa. I sette condannati a morte avevano meno di 18 anni, uno addirittura 12, al momento del loro presunto reato. Durante la detenzione preventiva è stato negato loro il diritto a essere rappresentati da avvocati. Le sentenze sono state confermate in appello tra marzo 2022 e marzo 2023. Sei di loro, appartenenti alla discriminata minoranza sciita, sono stati giudicati colpevoli di reati di terrorismo quali aver preso parte a manifestazioni contro il governo o a funerali di persone uccise dalle forze di sicurezza; il settimo, di rapina a mano armata e omicidio. Si tratta di reati contro la persona appartenenti alla categoria “tazir”, per i quali la legge islamica non stabilisce una pena, la cui determinazione è a discrezione del giudice. I processi sono risultati irregolari e basati su confessioni estorte con la tortura".
Il Regno delle Spade è guidato dal principe ereditario Mohammad bin Salman, primo ministro dal 28 settembre del 2022. Da Wilkipedia: Mohammed guida un governo autoritario. Coloro che sono considerati dissidenti politici vengono sistematicamente repressi attraverso metodi che includono l'incarcerazione e la tortura. È accusato in un rapporto ONU del 2019 di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.[5] Un rapporto della Central Intelligence Agency (CIA) del 2021 ha ribadito che Mohammed aveva orchestrato l'assassinio del giornalista Jamal Khashoggi. Lui ha negato il coinvolgimento nell'omicidio. Mohammed è stato l’architetto dell’intervento guidato dall’Arabia Saudita nello Yemen ed è stato coinvolto nell’escalation della crisi diplomatica del Qatar e nella disputa diplomatica del 2018 con il Canada. Tra il 2017 e il 2019, ha guidato l’epurazione delle élite politiche ed economiche saudite concorrenti, sequestrando fino a 800 miliardi di dollari in beni e contanti e consolidando il controllo sulla politica saudita.
Bin Salman è amico di Matteo Renzi, che in un'intervista al Corriere della Sera non gli ha lesinato sinceri attestati di stima, estranei si presume al milione di euro che l'Arabia Saudita ha versato per consulenze all'ex presidente del Consiglio:
«Ci siamo conosciuti quando ero presidente del Consiglio. Abbiamo lavorato bene insieme negli eventi internazionali, specie al G20. Eravamo i più giovani al tavolo: ci univa la fame di futuro, l’idea di considerare l’innovazione come una opportunità e non come una minaccia, la speranza contro la paura. Quella era la parola d’ordine del governo italiano di allora: futuro. E con Bin Salman è affascinante parlare di futuro». Il fondatore di Italia Viva ha poi risposta, alla domanda sui cambiamenti recenti in Arabia Saudita: «Tutto. È cambiato tutto. È irriconoscibile l’Arabia Saudita di oggi rispetto a quella di qualche anno fa. Ma attenzione: non è un fatto solo di impressioni: bin Salman ha un’attenzione spasmodica per i numeri, per quello che potremmo definire “il controllo di gestione”. Sono i dati, le cifre, le statistiche che raccontano il cambiamento molto più della pur evidente percezione visiva».[3]
Dati, cifre, statistiche, davvero indicativi dei diritti umani di cui si gode in Arabia Saudita: nel 2023, sono state eseguite in quel Paese 54 condanne a morte per omicidio, spaccio di droga e reati di terrorismo. Da gennaio a settembre, 53 persone sono state giustiziate per reati legati al traffico di droga, contro le sole 2 del 2023. Quindici di esse sono state uccise nel solo mese di luglio. Nel 2018 è entrata in vigore la Legge sui giovani, che stabilisce una pena massima di 10 anni per chiunque sia stato condannato per un reato “tazir” commesso quando aveva meno di 18 anni. Un decreto reale del 2020 ha vietato di emettere condanne a morte basate sulla discrezionalità dei giudici nei confronti di persone giudicate colpevoli di reati commessi quando avevano meno di 15 anni.
Dal web arrivano altre notizie cruente: i report parlano di attivisti contrari al regime che si trovavano privi di difesa in carcere, i quali venivano condotti nelle galere saudite con accuse relativamente lievi per poi trovarsi, nelle corti, incriminati per reati capitali o ritenuti collegati, senza prove, a organizzazioni come Al-Qaeda.
Ma anche l'Occidente in materia di pena capitale non è secondo a nessuno. Nel libro "Un cristiano nel braccio della morte", che si avvale della prefazione di Papa Francesco, il cappellano laico Dale Recinella, laureato in Legge e in Teologia, descrive le storie di sofferenza, angoscia, paura, dolore fisico, raccolte tra i condannati a morte nelle carceri della Florida dal 1998. Dice Recinella, in un'intervista apparsa questa settimana sul settimanale diocesano di Torino La Voce e il Tempo:
"Ho iniziato a parlare e scrivere di questo tema non appena mi sono accorto che ogni persona che supporta la pena di morte negli Stati Uniti pensa che questa modalità di condanna sia richiesta da Dio. Questa affermazione mi ha scioccato. Come sapete, molto miei scritti e discorsi sono lunghi per dimostrare chiaramente che Dio non ci chiedere di ammazzare una persona per punirla di un omicidio. Infatti, il Papa e i vescovi cattolici hanno detto chiaramente che la pena di morte non è la strada per guarire la nostra società dalla violenza".[4]
Un pensiero che non sfiora né la mente, né tantomeno lo spirito del premier israeliano Netanyahu che prosegue nella sua opera di decimazione dei nemici di Israele a qualunque prezzo, quasi prendendo alla lettera, verrebbe da dire, un passo biblico del Deuteronomio (7:1-6):
Quando l’Eterno, il tuo DIO, ti avrà introdotto nel paese in cui entri per prenderne possesso, e avrà scacciato davanti a te molte nazioni: gli Hittei, i Ghirgasei, gli Amorei, i Cananei, i Perezei, gli Hivvei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, e quando l’Eterno, il tuo DIO, le avrà date in tuo potere tu le sconfiggerai e le voterai al completo sterminio; non farai con esse alleanza, né userai con loro alcuna misericordia.
Infatti, ieri, 11 ottobre, la Protezione civile della Striscia di Gaza ha reso noto che 30 persone sono rimaste uccise nella città di Jabalia e nel vicino campo profughi, vittime del fuoco israeliano, mentre sul fronte libanese l'IDF proseguiva nella sua opera di intimidazione alle basi Unifil dell'Onu. Quest'ultima è un'azione in perfetta linea di coerenza (è doveroso riconoscerlo) quale effetto transitivo del giudizio che il premier Netanyahu scarica un giorno sì e un altro ancora sul segretario generale delle Nazioni Unite Guterres. Mai preso in seria considerazione dai potenti, Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, Guterres è stato gettato, senza più veli diplomatici, in qualche discarica dell'inferno, bollato da Israele come amico dei terroristi di Hamas, Hezbollah, jihadisti e compagnia di giro mediorientale, colpevole di chiedere al mondo perché prosegue nell'indifferenza, al di là delle frasi di circostanza, la carneficina di donne, bambini e vecchi, il cui unico "torto" è quello di essere palestinesi.
Certo, Netanyahu e i suoi generali avranno pure le loro ragioni strategiche in Libano finalizzate a estirpare Hezbollah, ma ritenersi al di sopra di tutto e di tutti attaccando i contingenti di pace, decidendo quale debba essere la loro posizione sul teatro bellico in una situazione esplosiva e di dramma generalizzato, sta diventando parente prossimo di un delirio di onnipotenza che suscita sgomento sul piano internazionale e, a livello emotivo, pensieri e reazioni irrazionali e controproducenti impensabili nei confronti dello Stato di Israele anche tra tutti coloro che continuano per principio e forza morale a credere nella pace e nella convivenza civile tra i popoli.
Intanto, il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nell'apprezzabile invocazione di "prima gli italiani", nel solco della migliore tradizione del centro destra e del costume dell'alleato leghista, ha dichiarato che "i nostri soldati non si toccano". E gli altri, quelli che come i nostri fanno parte del contingente Unifil, sono soldati di serie B, a cominciare dagli indonesiani feriti?
Per dirla con una celebre battuta di Pappagone: siamo vincoli o sparpagliati?
Note
[1] Ricky Gianco: “Celentano non voleva amici ma cortigiani. E Jannacci come medico mi ha quasi ucciso” (msn.com)
[4] Cristina Conti, Recinella, un cristiano nel braccio della morte, La Voce e il Tempo, 13 ottobre 2024
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