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Lealtà o fedeltà a Zelensky?

Aggiornamento: 25 giu 2023

di Vice


Polemiche a parte sulla partecipazione del presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky al Festival della canzone di Sanremo - anche se è doveroso chiedersi se la politica estera di un grande Paese come l'Italia, tra i primi firmatari dell'Alleanza Atlantica (Nato) nel 1949 e fondatore della Comunità europea (Mec) e della Ceca (Comunità europea carbone e acciaio) negli anni Cinquanta del Novecento, debba essere appaltata a salotti televisivi e a appuntamenti dello spettacolo, per quanto tradizionali e storici - s'impone una riflessione sul lessico dominante nell'informazione sulla guerra. Ad esempio, sull'uso della parola "fedeltà", ascoltata oggi, 28 gennaio, in un servizio del GR3 delle 8,45, associata alla prossima visita (coperta dal massimo segreto) della presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni a Kiev per "ribadire a Zelensky di persona la fedeltà europea e atlantica". Testuale.

Fedeltà? Da quando e in nome di che cosa? E perché dovrebbe essere proprio il governo italiano a farsi promotore e garante della fedeltà dell'Unione Europea e della Nato? Roma è forse alla guida del semestre europeo e un esponente italiano al comando delle forze militari atlantiche? Sempre ammesso e non concesso che la UE e la Nato siano tributarie di una qualunque forma di fedeltà a Zelensky, dal momento che l'Ucraina non è parte integrante di entrambe le organizzazioni.

Se ne deduce che la missione dovrebbe essere di esclusiva competenza della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. A meno che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non sia intenzionata a ribadire di persona la fedeltà del popolo italiano al presidente Zelensky. In questo caso, però, un atto di tale portata e rilevanza, in cui compare una parola così impegnativa a livello pubblico quale "fedeltà", parola che tendenzialmente fa già tremare i polsi soltanto a pronunciarla sul piano privato e individuale, dovrebbe meritare un passaggio istituzionale in Parlamento con i rappresentanti del popolo italiano, già impegnato da quasi un anno a sostenere Zelensky con il massiccio invio di armi e sistemi di difesa. Invio approvato a maggioranza dal governo Draghi in una sessione parlamentare.

Ma, in quella circostanza, non si parlava di fedeltà, semmai di impegno leale per difendere la sovranità di una nazione invasa e di un popolo aggredito da un altro Stato. Dunque lealtà, e non fedeltà, verso quei principi di libertà e democrazia che sono i principi fondanti della Costituzione italiana, in cui la stessa parola "fedeltà" appare una sola volta, all'interno del fondamentale articolo 91 che recita: "Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune".

Le parole hanno un peso e sarebbe opportuno saperle pesare con il bilancino per farle coincidere con l'obiettivo di ricercare con sincerità pari alla lealtà promessa, una soluzione che premi la pace per riemergere dal clima di guerra non dichiarata in cui si è precipitati. E un lessico meditato è altrettanto importante anche per aiutare chi vede soffrire il proprio popolo - Zelensky - a non sentirsi schiacciato, se non prigioniero, soltanto dall'insopprimibile desiderio di sconfiggere il nemico con fughe in avanti sull'andamento della guerra, che perdono di parola in parola il contatto con la realtà. Un desiderio che lo porta a manifestare e a chiedere sempre e soltanto armi, strumenti di morte e di distruzione, meno a sostenere coram populo un piano di assistenza economico e sanitario, per esempio, che restituisca il suo sentimento autentico, al di là delle immagini che sempre meno bucano il video e le coscienze, per chi soffre.

Ma le fughe in avanti sono così pericolose, tra l'altro, da rischiare di trasformarsi in forme di contagio che deformano il senso dell'equilibrio che, nelle situazioni drammatiche, dovrebbe all'opposto crescere in misura esponenziale. Accade così che il ministro della Difesa Guido Crosetto paventi il rischio di una Terza guerra mondiale qualora l'Armata russa dovesse arrivare a Kiev, proposito mai dichiarato dal Cremlino.[1] Ma resti singolarmente in silenzio, e non sia sconvolto dinanzi alle possibili conseguenze e reazioni dei diretti interessati e di altri grandi paesi, Cina in primis, ai proclami di Zelensky che afferma di puntare, con i nuovi mezzi corazzati Leopard2 e Abrams, messi a disposizione dagli Stati aderenti alla Nato e dagli Stati Uniti, direttamente su Mosca e, successivamente, magari, su San Pietroburgo, in una conquista totale della Russia che riporterebbe indietro le lancette dell'orologio all'anno Mille e la Storia ai tempi dell'Ucraina, centro del regno Rus'. Fedeltà dunque a un progetto di conquista?


Note

[1] Oggi il "falco" Dmitrij Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa dal 2020, ha risposto indirettamente al ministro della Difesa Crosetto con una serie di attacchi anche velenosi sul piano personale che si preferisce non citare. Tuttavia, vi è un passaggio significativo e preoccupante del discorso di Medvedev, in cui si afferma (traduzione da Google) che "l'inizio della Terza guerra mondiale non sarà sui carri e nemmeno sui combattenti...".





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