Le verità di Gallant sul 7 ottobre e sulla cinica Direttiva Annibale
di Stefano Marengo
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Nel corso di un’intervista concessa a Yedioth Ahronoth e Channel 12 l’ex ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, ha ammesso che il 7 ottobre 2023, a seguito del blitz di Hamas, alle Idf fu impartito l’ordine di attuare la cosiddetta Direttiva Annibale, la controversa procedura che consente di aprire il fuoco contro obiettivi designati anche a rischio di mettere a repentaglio la vita di civili israeliani.
Le parole di Gallant, “dimissionato” da Netanyahu lo scorso novembre, confermano quanto riferito da diversi testimoni del 7 ottobre e le risultanze di inchieste condotte da alcuni organi di informazione. Infatti, già nel gennaio 2024 lo stesso quotidiano Yedioth Ahronoth aveva parlato di un’applicazione generalizzata della Direttiva Annibale, mentre a luglio il giornale Haaretz aveva scritto che “alle truppe era stato impartito l’ordine di non permettere a nessun veicolo di tornare a Gaza”. In altri termini, per quanto sia complesso stilare bilanci precisi, appare ormai indubbio che una parte consistente dei circa 1.200 morti del 7 ottobre sono responsabilità diretta dell’esercito israeliano, che quel giorno esplose “11.000 proiettili, 500 bombe da una tonnellata e 180 missili”.[1]
Ma Gallant va ancora oltre e ammette che regole di ingaggio analoghe sono state adottate anche successivamente: “Prima dell’inizio dell’operazione di terra, ha dichiarato agli intervistatori, ero stato avvertito che, se avessimo proceduto con l’attacco, gli ostaggi che si trovavano a Gaza sarebbero stati uccisi, ma io insistetti per combattere e completare l’invasione”.[2]
Le rivelazioni dell’ex ministro sono eclatanti perché, nonostante le parole dei testimoni, le inchieste dei giornali e le ammissioni di alcuni ufficiali, il governo di Tel Aviv ha finora negato di aver fatto ricorso alla Direttiva Annibale e continua a respingere ogni richiesta di avviare un’indagine ufficiale sui fatti del 7 ottobre.
Nel corso della medesima intervista Gallant ha anche aggiunto che un accordo per il cessate il fuoco e lo scambio dei prigionieri era già in campo nell’aprile 2024, ma venne fatto saltare da Netanyahu su pressioni del ministro estremista Bezalel Smotrich. E sempre in tema di estremisti, l’ex ministro della difesa ha affermato che, a suo avviso, “le ripetute incursioni di Itamar Ben-Gvir nella moschea Al-Aqsa a Gerusalemme sono state tra i fattori che hanno fatto salire la tensione e contribuito all'escalation prima dell'attacco del 7 ottobre”.[3]
Ci sarebbe da domandarsi come mai l'ex generale dell'esercito e già segretario militare del primo ministro Ariel Sharon nei primi anni del Duemila, sul quale pende (così come per Netanyahu) un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, abbia deciso di parlare. E di farlo proprio adesso. L’impressione è che il vero destinatario delle sue dichiarazioni siano proprio i giudici dell’Aia. Gallant, consapevole della mole di prove e testimonianze di cui dispongono i magistrati, deve aver optato per una strategia difensiva di collaborazione, nella speranza che, non tacendo la verità, la sua posizione possa essere alleggerita o almeno in parte riconsiderata in sede di giudizio. Se così stanno le cose, è verosimile che nei prossimi mesi assisteremo ad ulteriori rivelazioni. Tutti da valutare, invece, sono gli effetti delle sue parole sugli orientamenti della politica e della società israeliana.
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