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Le prime "zone libere" nel '44: una tappa verso la Costituzione

di Marco Travaglini


L’esperienza delle “zone libere” trovò nel Piemonte del 1944 una realizzazione importante sia in termini numerici sia in termini qualitativi. Procedendo da nord verso sud-ovest seguendo l’arco alpino si possono contare almeno sedici esperienze significative: Val d’Ossola e Valsesia, il Biellese orientale e le valli di Lanzo, la val Chisone e le cuneesi Varaita, Maira, Grana, Stura e Gesso; tra le valli appenniniche la Curone e la Borbera, e le colline delle Langhe e il Monferrato. In linea generale si trattava di territori nei quali, esautorate le autorità civili e militari nazifasciste, il controllo delle formazioni partigiane dava spazio a un potere civile e amministrativo esercitato da Comitati di liberazione nazionale quando l’elaborazione politica lo consentiva, oppure attraverso la sperimentazione di organismi come le giunte di governo legittimate da un ampio consenso popolare.

Tuttavia le modalità di ogni singola esperienza risultarono differenti a seconda del peso di variabili legate al contesto, al rapporto tra formazioni partigiane e popolazione, alla durata e ovviamente anche alle risorse materiali e umane disponibili. In linea di massima la durata di queste esperienze che presero perlopiù avvio nel corso dell’estate del 1944 fu contenuta nell’arco di alcune settimane, sufficienti comunque a far percepire la necessità di un diverso ordine politico sociale, praticando forme iniziali di democrazia. Esperienze importanti ma troppo brevi per andare oltre la dimensione della precarietà legata alle vicende della guerra che viveva il suo periodo più duro. Tra le più significative zone libere vanno ricordate la repubblica dell’Ossola (cui si dedica un articolo a parte), forse la più conosciuta e più completa, le zone libere delle Langhe e del basso Astigiano, in cui furono compiute significative esperienze di autogoverno. Ovviamente i tedeschi, con il supporto delle forze della Rsi, intervennero pesantemente per impedire il consolidarsi di aree sottratte al loro controllo: l’Ossola venne rioccupata a fine ottobre, Alba e le Langhe all’inizio di novembre, il basso Astigiano nei primi giorni di dicembre.

Nelle zone libere il movimento partigiano espresse la sua potenzialità progettuale, provando a rifondare le ragioni della convivenza civile e di un contesto democratico. Nel caso dell’Ossola, ad esempio, i partigiani consegnarono il governo della zona libera a una giunta civile costituita da esponenti antifascisti. Con una scelta consapevole le forze della Resistenza scelsero di restare fuori da quel processo, preferendo che fosse la società ossolana ad attivarsi autonomamente. In altre situazioni invece il movimento partigiano dovette promuovere e farsi carico della mediazione tra forme politiche da costruire e la popolazione civile. Vennero così sperimentate nuove forme politiche di espressione del consenso (propaganda elettorale, riunioni, stampa, convocazione di regolari elezioni) e nuove forme di potere amministrativo (delegazioni civili, giunte popolari), ma l’opera di rinnovamento investì anche altri versanti dove si crearono corpi di polizia reclutati sul posto, sperimentando modelli di riorganizzazione dell’amministrazione giudiziaria, intervenendo sui percorsi di formazione scolastica (come la riforma alla quale lavorarono durante i 40 giorni dell’esperienza ossolana intellettuali antifascisti come Contini e Calcaterra), si svilupparono forme di attività sindacale in contrasto con la regolamentazione della Rsi come avvenne in modo significativo nelle valli che avevano conosciuto lo sviluppo industriale, come nel caso nella Valsesia e in forme più definite nel Biellese orientale, con il “contratto della montagna”.

Resta il fatto che nel 1944, pur a fatica e in un paese occupato dai nazifascisti, iniziarono i primi esperimenti che trovarono compimento dopo la liberazione negli articoli della Carta costituzionale e nel cammino della Repubblica.

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