Le idee oltre la morte: Antonio Gramsci e il nostro tempo
- Olga Melodia
- 1 giorno fa
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di Olga Melodìa

Il 27 aprile 1937, dopo anni di prigionia nelle carceri fasciste (era stato arrestato l'8 novembre 1926), moriva Antonio Gramsci. Il regime aveva cercato di spegnere la sua voce, ma le sue idee hanno attraversato il Novecento e continuano a risuonare in questo XXI secolo. Il pensiero gramsciano, fondato su una lettura originale del marxismo e sull’analisi delle dinamiche politiche e culturali, rimane uno strumento essenziale per comprendere il presente.
Gramsci non è solo un autore della tradizione marxista, ma un pensatore capace di innovare profondamente la filosofia politica. Il suo contributo ha ridefinito il rapporto tra struttura e sovrastruttura, tra economia, politica e cultura, e ha posto le basi per una riflessione ancora oggi necessaria sul potere, la società e il cambiamento storico.
L’egemonia e la costruzione del consenso
Uno degli apporti più significativi di Gramsci alla filosofia politica è il concetto di egemonia. Nella tradizione marxista classica, il potere delle classi dominanti era spiegato principalmente attraverso il controllo dei mezzi di produzione e l’uso della coercizione. Gramsci sposta l’attenzione su un altro livello: il dominio si realizza non solo con la forza, ma soprattutto attraverso la capacità di influenzare il senso comune e di costruire un consenso diffuso.
Questo significa che lo Stato, per mantenere il proprio dominio, non può limitarsi alla repressione, ma deve modellare la cultura, l’istruzione, i valori e le credenze della società. La scuola, i media, la religione, le istituzioni educative e persino il linguaggio giocano un ruolo fondamentale nel consolidare il potere delle élite.
In un’epoca di iperconnessione, di proliferazione delle piattaforme digitali e di concentrazione dei media nelle mani di pochi, la riflessione gramsciana è più che mai attuale. Le battaglie politiche non si combattono solo nei parlamenti o nelle piazze, ma soprattutto nel campo della cultura e dell’informazione. Chi controlla le narrazioni, chi determina ciò che viene percepito come normale e inevitabile, esercita un potere immenso.

La rivoluzione passiva e le trasformazioni della politica
Un altro concetto cruciale della filosofia politica di Gramsci è quello di rivoluzione passiva. Con questa espressione egli descrive quei processi storici in cui le classi dominanti, anziché essere rovesciate da una rivoluzione diretta, riescono ad assorbire e neutralizzare le spinte al cambiamento, incorporando alcune richieste delle classi subalterne senza modificare realmente i rapporti di forza. Questo modello spiega molte dinamiche della politica contemporanea. Movimenti di protesta, istanze di giustizia sociale, richieste di diritti vengono spesso integrati nel sistema senza che esso venga realmente trasformato. Le classi dirigenti, piuttosto che opporsi frontalmente al cambiamento, lo cooptano, adattandosi per preservare il proprio potere.
La crisi della politica tradizionale e la crescente sfiducia nelle istituzioni democratiche possono essere lette anche attraverso questa lente gramsciana. Le società odierne vivono un momento di transizione: il vecchio ordine mostra le sue contraddizioni, ma un nuovo modello non è ancora emerso con chiarezza. In questo interregno, per usare una delle espressioni più celebri di Gramsci, “si verificano i fenomeni morbosi più svariati”, tra cui la diffusione di populismi, il rafforzamento delle disuguaglianze e l’emergere di nuove forme di autoritarismo.

Il ruolo degli intellettuali e la necessità di un pensiero critico
Nella visione gramsciana, la lotta politica non è solo economica o istituzionale, ma è anche e soprattutto culturale. Da qui deriva la sua riflessione sugli intellettuali organici. Per Gramsci, gli intellettuali non sono solo gli accademici o i filosofi, ma tutti coloro che partecipano alla costruzione dell’egemonia culturale: giornalisti, insegnanti, artisti, divulgatori, opinionisti. Ogni classe sociale ha i propri intellettuali, che possono contribuire a consolidare l’ordine esistente o a metterlo in discussione.
Oggi più che mai, in un contesto in cui la disinformazione e la superficialità dominano il dibattito pubblico, il pensiero critico è un atto di resistenza. Studiare, comprendere, smascherare le narrazioni dominanti non è un esercizio accademico, ma una forma di azione politica.
Oltre il pessimismo, verso la trasformazione
Gramsci ci insegna che il potere non è mai assoluto e che la storia non è predeterminata. Il cambiamento è possibile, ma non avviene in modo spontaneo: richiede organizzazione, consapevolezza e lotta. Il suo motto, “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”, racchiude un’etica politica fondamentale. Comprendere le difficoltà, analizzare le strutture di potere con lucidità e senza illusioni, ma al tempo stesso non cedere alla rassegnazione.
Le dittature possono spegnere una voce, ma non possono fermare le idee. Gramsci ne è la dimostrazione più chiara: incarcerato per ridurlo al silenzio, ha finito per diventare una delle voci più influenti della filosofia politica del Novecento.
Ricordarlo oggi non è solo un omaggio alla memoria, ma un atto politico. Significa riaffermare la necessità del pensiero critico, dell’impegno per la giustizia sociale, della costruzione di alternative. Gramsci non è un pensatore del passato: è una guida per comprendere il presente e immaginare il futuro.
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