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Stefano Marengo

Le difficili verità da raccontare su Israele e Palestina

di Stefano Marengo


Ieri le forze armate israeliane hanno reso noto un primo parziale bilancio delle operazioni militare sulla Striscia di Gaza, messa sotto assedio - privata di elettricità, acqua e cibo, secondo i piani del ministro della difesa Galant e del primo ministro Netanyahu: 1707 obiettivi terroristici colpiti, 475 obiettivi del sistema missilistico, 22 tunnel terroristici nel profondo del territorio palestinese, 24 infrastrutture militari strategiche. E' il piatto su cui si è posata la vendetta dei figli di Davide per bilanciare il numero di vittime provocato da Hamas, oltre 900 persone, massacrate, violate, uccise, 2400 feriti, secondo il quotidiano Haaretz, e degli ostaggi presi come scudo umano o merce di scambio. Questa è la fotografia del presente, da sabato ad oggi, che si presta da una parte e dall'altra all'emozione, al racconto di storie personali divulgate dai media, con tutti noi incerti se guardare o meno le scene raccapriccianti che circolano sul web. Atrocità in cui prevale la gratuita disumanità dell'orrore.

Poi c'è il passato, che è un enorme lago di sangue palestinese versato dai vari governi Netanyahu, che non si sono mai distinti per una vocazione al dialogo. Soltanto tra gennaio e agosto 2023, Israele ha ucciso oltre 200 palestinesi, tra cui una quarantina di bambini. Nello stesso periodo sono continuati i raid dell'esercito e di bande di coloni in campi profughi e villaggi della Cisgiordania: la cittadina di Huwara, in particolare, è da mesi sottoposta a continue distruzioni ed è stata teatro di quello che anche associazioni umanitarie israeliane hanno definito un vero e proprio pogrom.



Queste sono solo alcuni frammenti di notizie che a fatica trovano ospitalità sulla stampa italiana e occidentale. Gli esempi potrebbero essere facilmente moltiplicati, ma sarebbe fine a se stesso contabilizzare le azioni violente perpetrate da Israele ai danni del popolo palestinese, perché per contrasto non si può, né si deve sottacere i quotidiani attentati subiti dai cittadini israeliani in questo oscuro tunnel dell'odio che sembra non avere uscite e, dunque, non vedere mai la luce.

Invece... è proprio dall'informazione che comincia il doppiopesismo per cercare una soluzione di pacifica convivenza tra i due Stati, Israele e Palestina. Un'informazione che, su quanto avviene in Palestina, ha da tempo immemore adottato un inaccettabile doppio standard: quello di minimizzare le operazioni di polizia di Tel Aviv, per poi dare ampio risalto alle reazioni palestinesi, anzi si ha buon gioco nel presentarle come attacchi gratuiti e feroci contro uno stato assolutamente incolpevole.

Questa strategia comunicativa rispecchia fedelmente l'orientamento dei governi occidentali nei confronti della questione palestinese: Israele, loro alleato e testa di ponte nel teatro mediorientale, va per definizione tutelato da ogni accusa e ogni sua azione è giustificata a monte con l'argomento - un vero e proprio passepartout ideologico - della lotta al terrorismo. Da qui in poi basta un passo per ribaltare le posizioni in campo. Infatti, Israele non è mai presentato per quello che è, ossia una potenza militare che da oltre mezzo secolo occupa con la forza territori altrui, che da 16 anni assedia Gaza, ossia l'area più popolosa del pianeta, e la sottopone a frequenti, mortali bombardamenti aerei, che continua ad annettere terra palestinese e a costruire colonie illegali, che, infine, come certificato dalle principali organizzazioni umanitarie internazionali (da Human Rights Watch ad Amnesty International) sottopone il popolo palestinese a un regime di vero e proprio apartheid. Al contrario, secondo i nostri media Israele è una democrazia liberale, irreprensibile succube dell'oppressione perpetrata ai suoi danni dai palestinesi e dalle loro organizzazioni politiche e paramilitari.

È peraltro da notare come settori della stampa israeliana siano molto più onesti intellettualmente dei nostri media mainstream. Domenica 8 ottobre, ad esempio, il quotidiano Haaretz, il principale del paese, è uscito con un editoriale dal titolo "Netanyahu ha la responsabilità della nuova guerra con Gaza". Ed oggi, 10 ottobre, lo stesso quotidiano ha rincarato la dose. Nel corpo del testo si legge che "il primo ministro, che si è vantato della sua vasta esperienza politica e della sua insostituibile saggezza in materia di sicurezza, ha completamente omesso di identificare i pericoli a cui stava consapevolmente conducendo Israele quando ha istituito un governo di annessione ed espropriazione, quando ha nominato Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir a posizioni chiave, mentre ha abbracciato una politica estera che ignorava apertamente l'esistenza e i diritti dei palestinesi". Non che prima di oggi i palestinesi avessero vita facile, ma la nuova escalation di violenza ha con ogni evidenza la sua causa prima in un governo israeliano i cui principali esponenti sono razzisti suprematisti (Ben-Gvir) e dichiaratamente fascisti (Smotrich) che promuovono le peggiori brutalità contro i palestinesi.

Prima di concludere occorre ancora svolgere un paio di precisazioni su quanto avviene dal lato palestinese della barricata, e anzitutto sul ruolo di Hamas. Non si è mai nutrito particolari simpatie politiche per questo movimento islamista, ma il punto, ancora una volta, è un altro. Bisognerebbe ricordarsi, in effetti, che fino agli anni Novanta la lotta per la liberazione della Palestina fu condotta integralmente da organizzazioni laiche che tuttavia, da Oslo in poi, sono andate perdendo consensi, fino a eclissarsi. Anch'esse a loro tempo etichettate come organizzazioni terroristiche, furono dapprima represse e poi tradite e umiliate da Israele e dai suoi alleati occidentali, USA in testa, che mai diedero corso all'accordo per "due popoli, due stati" (segno che il fantomatico "processo di pace", con ogni probabilità, fu sin dall'inizio uno specchietto per allodole).

La disfatta di queste forze laiche aprì la strada alla crescita di Hamas. Ma questo avvenne non perché i palestinesi divennero integralisti religiosi dal giorno alla notte, ma perché furono lasciati soli da un Occidente sempre schierato con i loro aguzzini. Hamas, a quel punto, era rimasta l'unica alternativa, l'unica organizzazione strutturata e quindi capace di un minimo di credibilità.

La seconda precisazione riguarda l'Autorità Nazionale Palestinese, ossia l'organizzazione/istituzione che discende direttamente dalle forze laiche impegnate nel "processo di pace". Ancora oggi si sentono commentatori che ritengono l'ANP un protagonista credibile e autorevole. La verità è però che essa e il suo leader Abu Mazen non si sono minimamente rivelati all'altezza dei loro predecessori, Arafat in primis. L'autonomia, fonte principale della credibilità politica, è oggi inesistente, e lo si vede da chi tiene i cordoni della borsa: è infatti Israele a riscuotere le tasse in Cisgiordania e poi a trasferirle a discrezione all'ANP, tenendola in vita. Totalmente compromesso, Abu Mazen è da tempo caduto nel più profondo discredito presso la popolazione palestinese e ormai non rappresenta più che sé stesso. Non è un caso, del resto, se da anni l'ANP, d'accordo con il governo di Tel Aviv, continua a rimandare le elezioni del Consiglio Nazionale: Abu Mazen e la sua cerchia sanno benissimo che andrebbero incontro a una cocente sconfitta.

A quest'ultimo riguardo vale la pena ricordare un episodio che spiega bene dice la situazione odierna e su come ci si è arrivati. Nel 2006 l'ala politica (e dialogante) di Hamas riportò un netto successo in occasione delle elezioni "politiche" nei territori occupati. Abu Mazen, con il sostegno diretto di Israele, degli USA e di diversi governi europei, che non gradivano affatto l'esito della consultazione, organizzò un golpe che ebbe successo in Cisgiordania (ma non a Gaza) e fu all'origine, da un lato, del discredito dell'ANP, e dall'altro del rafforzamento dell'ala militare di Hamas. Paradosso della conseguenza, forse pianificato e ben presente nella mente dei "golpisti", e non vi è bisogno di dietrologia sull'argomento in Palestina come in altre parti del globo.

Tutte queste vicende andrebbero sempre ricordate quando affronta anche con la migliore onesta intellettuale la questione palestinese. Così come le notizie andrebbero riferite secondo la ricerca della verità, ossia contestualizzando gli eventi nella storia recente (e anche passata) da cui scaturiscono. Altrimenti, è sempre dietro l'angolo il rischio di prendere sonore cantonate politiche e confondere i ruoli di oppressi e oppressori. Il che è una vera e propria oscenità morale rispetto ai morti dell'una e dell'altra parte.



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