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Maurizio Jacopo Lami

La vendetta di Israele è senza fine: uccisi figli e nipoti di un leader di Hamas

Aggiornamento: 10 nov

di Maurizio Jacopo Lami


Un nuovo spargimento di sangue complica ancora di più la situazione in Medio Oriente: oggi sono stati uccisi in un bombardamento tre figli e diversi nipoti del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, 61 anni. È stato il leader stesso ad annunciarlo ufficialmente, dando conferma alle voci che giravano in proposito.

Sembra che si sia trattato di un attacco aereo nel campo profughi di Shathi, nel centro di Gaza City. Sono morti oltre a tre figli maschi, Hazem, Amir e Mohammed, almeno quattro nipoti. Secondo il quotidiano Haaretz, nel confermare la morte dei tre dei figli di Haniyeh, l'esercito israeliano ha sostenuto che erano "in procinto di compiere atti terroristici".

Il commento di Haniyeh (nella foto a lato, in basso), che è il segretario politico di Hamas e in questa fase conta meno dei leader presenti "sul campo" come Yahya Sinwar (che ricordiamo è stato l'ideatore e il maggior sostenitore dell'attacco del 7 ottobre scorso in Israele) è il seguente: "Ringrazio Dio per questo onore che mi ha concesso, tutte le famiglie di Gaza hanno pagato un prezzo pesante con il sangue dei loro figli e io sono uno di loro". 


Secondo il ministero della salute di Hamas i morti palestinesi nella Striscia di Gaza dall'inizio dell' attacco israeliano (ovviamente in risposta al raid del 7 ottobre) sono ad oggi almeno 33482, di cui 122 uccisi nelle ultime ventiquattr'ore. A questi morti vanno aggiunti almeno mille palestinesi morti in combattimento il 7 ottobre, circa seicento palestinesi morti in Cisgiordania, e altri 300 uccisi fra gli alleati sciiti di Hezbollah in Libano. 

Seconda l'analisi delle forze armate israeliane, l'IDF, Hamas avrebbe perso circa 12.000 militanti nella Striscia, 20 responsabili di battaglione e 90 comandanti di compagnia. Il dirigente più importante ucciso è Saleh al Arouri, che a Beirut gestiva i contatti fra Hamas e l'Iran: era considerato uno dei dirigenti più estremisti ed anche il principale fautore dell' accordo con Teheran, non visto granché bene da molti palestinesi. Nella Striscia di Gaza il leader più importante caduto in battaglia è Marwan Issa, il numero tre del movimento, che è stato ucciso nel bombardamento di un tunnel. Occorre precisare che Hamas contesta le cifre dell'IDF e sostiene di aver avuto "soltanto" seimila caduti. Gli esperti militari tendono a ritenere più vicina alla realtà la versione israeliana, ma aggiungono che Hamas sta rivelando grandi capacità di resilienza: sembra in grado di reggere assai più del previsto. Il che non è un buon biglietto da visita per il revanscismo a tutto tondo di Tel Aviv.

Del resto, il primo ministro Benjamin Netanyahu non vuole ammettere che i risultati dell'attacco siano inferiori alle speranze iniziali: dopo sei mesi di battaglie, i leader principali del nemico sono ancora vivi, i battaglioni sono fiaccati, ma non distrutti, circa 100 ostaggi restano ancora nelle mani di Hamas, e soprattutto il gran numero di civili uccisi sta creando un pericoloso baratro fra Israele e l'opinione pubblica internazionale, oltre che proteste in patria e fratture politiche che, per la verità, un giorno maturano e il giorno dopo si ricompongono in nome della guerra totale a Hamas. Sarà per questo, che Netanyahu vorrebbe affidarsi allo scontro finale, l'assalto a Rafah, l'ultima città nel sud della Striscia di Gaza, dove secondo gli israeliani si nascondono i leader principali dell'organizzazione palestinese e migliaia di suoi combattenti. 

Lo scopo dovrebbe essere quello di "distruggere l'ultimo nucleo solido di Hamas ed evitare così che si riprenda", ma il timore diffuso è che ci sarebbe una spaventosa moria di civili. Le Nazioni Unite, gli Usa, l'Unione europea, la Gran Bretagna, il Vaticano, la Russia, la Cina, la Lega Araba, la Croce rossa internazionale, praticamente tutti stanno chiedendo al governo di destra, sempre più nelle mani degli ultraortodossi e dei nazionalisti religiosi, di non commettere quello che appare un errore tremendo che darebbe fiato agli estremisti di tutto il mondo. Il presidente statunitense Joe Biden sta insistendo con la massima energia (senza però decidersi a passare a qualche forma di embargo e per questo subisce dure proteste e critiche interne) per convincere il governo israeliano a non scatenare l'inferno anche a Rafah.  

Tuttavia, tutti gli osservatori internazionali concordano sul fatto che lo Stato di Israele veda precipitare ai minimi storici la sua democrazia interna nel dibattito sull'opportunità o meno di attaccare l'ultimo caposaldo di Hamas nella Striscia. I morti del 7 ottobre pesano, ma pesa ancora di più la contraddizione di chi negli vent'anni ha visto progressivamente erodersi i suoi principi di umanità. Una sclerotizzazione politica nei rapporti con i palestinesi che prima o poi porterà Netanyahu sul banco degli accusati dalla storia.

Intanto, la morte dei figli di Haniyeh, rischia di far salire ancor più la tensione (e forse non sono stati colpiti per caso proprio adesso), anche se il leader ha assicurato che il fatto "non avrà influenza sulle trattative per la tregua". La guerra in Medio Oriente continua fra oscuri presagi.



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