La scommessa dell’Europa più solidale e innovativa: effetti collaterali positivi per la pandem
di Mercedes Bresso|
Proprio in questi giorni è avvenuta la prima emissione di bond europei destinati a finanziare la garanzia comune contro la disoccupazione, lo strumento per aiutare gli Stati che durante la pandemia hanno dovuto o dovranno, a loro volta, aiutare coloro che perdono il posto di lavoro, anche in modo temporaneo. Una sorta di cassa integrazione europea. Si ricorderà che questa fu una proposta italiana della scorsa legislatura, fatta dall’allora ministro Padoan e sposata dal Parlamento Europeo, ma osteggiata da molti governi. Oggi invece questa emissione di “social bonds” è avvenuta in tutta tranquillità e ha riscosso un enorme successo sui mercati, che hanno richiesto titoli per un ammontare dieci volte superiore a quello previsto e a tassi bassissimi.
Si conferma quindi quello che tutti sapevano, ma che alcuni Stati egoisti non volevano ammettere. In altri termini, che emissioni comuni per risorse destinate ai paesi membri, i quali si assumerebbero l’onere del rimborso (senza quindi nessuna mutualizzazione del debito), sarebbero molto gradite al mercato, rafforzerebbero l’immagine complessiva dell’Unione monetaria ed eviterebbero le speculazioni che cercano di dividere l’UE aggredendo i paesi volta a volta in difficoltà. Come proteggiamo il nostro mercato unico dalle aggressioni di altri paesi, perché non dovremmo proteggere la nostra moneta unica dagli assalti speculativi, che cercano di aggredire i paesi membri più deboli?
Da questa piccola emissione, che sarà seguita da altre più importanti, vengono dunque alcuni insegnamenti. Anzitutto che il modello giusto di Welfare-state europeo non è probabilmente tanto uno omogeneo per tutti i paesi – perché questi hanno storie e modelli molto diversi – quanto un sistema di assicurazione di ultima istanza, una rete di protezione che l’Europa dovrebbe offrire per i tempi bui, in modo da evitare cadute troppo forti dell’occupazione, del PIL, della produzione e delle garanzie sociali, nei paesi membri e in particolare in quelli più poveri.
In secondo luogo, che l’intervento si giustifica, sia per l’interesse collettivo che abbiamo a sostenere la domanda interna in tutti i paesi, poiché siamo reciprocamente una parte essenziale della domanda per i nostri settori produttivi e quindi la crisi di ognuno di noi non può che affettare tutti gli altri, sia per il doveroso riconoscimento che l’Europa potrà continuare a essere forte e unita solo se si riducono, o almeno non aumentano, le disparità fra i paesi più ricchi e quelli più poveri e al loro interno fra i garantiti e i non protetti, cosa che tende invece a verificarsi durante le crisi.
Questo, naturalmente, è solo un anticipo della più complessiva operazione finanziaria legata al Recovery Plan, che dovrebbe essere finanziato, per la parte a fondo perduto, da emissioni di bond europei, che a loro volta dovrebbero essere rimborsati con imposte proprie dell’Unione, mentre i prestiti saranno ovviamente rimborsati dai beneficiari che potranno fruire dei migliori tassi sul mercato, prossimi allo zero, e di tempi lunghi.
Oltre ad essere forse la più importante occasione di solidarietà verso i cittadini europei, così duramente provati dal virus, dall’istituzione della politica di coesione, si tratta anche di un interessante esperimento per realizzare nel nostro continente una uscita dalla pandemia “alla Schumpeter “, cioè cogliendo l’occasione della crisi, certo anche per sostenere socialmente le persone e i settori destinati a ridimensionarsi o a scomparire, ma orientando gli investimenti decisamente sul futuro: la riconversione green, il digitale, la salute, la formazione dei giovani e degli adulti alle nuove attività. Se così avverrà davvero, l’Unione ne trarrà un duplice vantaggio: avere ammodernato l’economia europea che era piuttosto stagnante, a ritmi molto maggiori del prevedibile ante-crisi e avere capito, finalmente, che non sempre fare debiti è sbagliato.
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