La sanità dopo lo shock della crisi finanziaria
Aggiornamento: 27 mar 2023
Così come molti pazienti faticano ad accettare le patologie da cui sono affetti, anche il mondo sanitario fatica ad accettare le conseguenze di una crisi globale che non può non coinvolgere anche questo settore, nonostante gli alti valori etico-sociali che rappresenta. Se il settore non evidenziasse alcuna forma di spreco o di anomalia nel distribuire i servizi, si sarebbe al riparo da, più o meno opportune, analisi econometriche.
Ma così non è.
Concetti quali l’appropriatezza, l’equità distributiva, la break even analysis, il return of investment, e altri strumenti predisposti dalle scienze aziendali per verificare l’efficacia e l’efficienza degli interventi, faticano ad affermarsi in sanità. Ed in effetti, fino ad oggi, non ve ne stato neanche bisogno in quanto l’aumento della spesa premetteva di accrescere le potenzialità erogative, senza dover eradicare l’inefficiente. La spesa sanitaria è cresciuta più del tasso inflativo o del PIL, sulla spinta dei trend demografici e della maggiore attenzione alla qualità della vita. Per mantenere standard tra i più elevati al mondo, come ci certifica l’OMS, è però oggi necessario rivedere l’approccio economico organizzativo, per poter giustificare non solo l’utilità delle spese sanitarie, ma anche la loro razionalità ed efficienza.
Prendere coscienza che non è più sufficiente aumentare le dotazioni strutturali o il numero di prestazioni erogate per garantire un migliore livello di salute, in un contesto di crisi economica diventano la possibile via d’uscita a tagli indiscriminati, che sul lungo periodo potrebbero generare danni irrimediabili.
Sarebbe, infatti, un errore considerare l’attuale crisi solo come manifestazione di un problema finanziario e non anche come la necessità di rivedere alcune regole di natura etico-sociale. La crisi finanziaria, non solo coinvolge le possibilità di guadagno dei singoli, ma obbliga a ridiscutere lo stesso modello di vita su cui, fino ad oggi, la società post industriale si era fondata. La maturità sociale raggiunta nelle nostre collettività ha permesso di formalizzare e garantire molti diritti, ma questa certezza di constante crescita e di riconoscimento delle conquiste che si consideravano intoccabili, sembra vacillare di fronte alle esigenze della sostenibilità del sistema. Ed anche la sanità, caposaldo del welfare state, non può esimersi dal rivedere i suoi fondamentali, in relazione alla realtà che si sta andando a creare.
I mass media snocciolano quotidianamente un’infinità di dati e di informazioni che, più che svolgere un ruolo maieutico, sembrano creare una gran confusione, che si traduce spesso in un’ansia infruttifera. Sembra quasi di essere in presenza di un’euforia contabile, con la speranza che la ridefinizione di alcuni meccanismi di rilevazione dei dati possa risolvere i problemi (tipico esempio le modalità di definizione delle tariffe o l’attribuzione dei budget spesso definiti più in base alle momentanee difficoltà che non in base a criteri oggettivi e trasparenti). Se oggi chiediamo a un italiano, un inglese, un greco, uno spagnolo etc. qual è il debito che altri hanno contratto per lui, la maggioranza della popolazione non sa rispondere. Parimenti, se si chiede ad un cittadino o ad un operatore sanitario quanto si spende procapite per la tutela della salute per ogni cittadino, il livello di incertezza, è elevata.
Fino ad oggi le dotazioni delle risorse necessarie per garantire la tutela della salute venivano definite in base ai seguenti parametri:
Una dotazione pubblica (in passato, scarsamente contingentata) in grado di garantire il rispetto degli standard previsti in sede internazionali e il mantenimento dei LEA, indipendentemente dalle condizioni economiche (garanzia pubblica tramite rimborsi a piè di lista, poi trasformatisi in Budget);
Una dotazione correlata alle necessità/potenzialità delle specifiche situazioni, in modo da organizzare le attività in funzione delle singole specificità (federalismo);
Una dotazione volta a ricercare la massima efficienza/efficacia attraverso l’acquisizione delle prestazioni ritenute necessarie, sia da soggetti pubblici che privati (concorrenza sul modello inglese del purchaser/provider)
Non finanziamento di alcune attività giudicate non strategiche o eticamente non qualificanti, lasciando al mercato la disponibilità di offrire tali servizi (libero mercato, dove il singolo acquista il servizio solo in funzione della sua disponibilità economica).
La spesa sanitaria ha sviluppato, con alterni consensi, tutte queste ipotesi, con una netta prevalenza della spesa pubblica.
In una società, dove le regole saranno sempre più dettate dalla crisi, il finanziamento del sistema regionale diventa un punto cardine della programmazione sanitaria. Si sta cioè sempre più spostando le già scarse attenzioni rivolte alle modalità di utilizzo delle risorse disponibili, alla necessità di prevedere le risorse finanziarie per sostenere i programmi già in essere e per rilanciare pochi, ma qualificati progetti, volti a mantenere il sistema italiano al vertice delle classifiche elaborate dall’OMS.
Opportunismi e scelte demagogiche hanno spesso sfalsato la ricerca di un equilibrio razionale tra le diverse possibilità di intervento, esasperando la spesa, senza un corrispondente ritorno di utilità. A determinare le scelte non sono più visioni complete dello sviluppo del settore, quanto piuttosto le pressioni dettate da fatti contingenti: dall’irrazionalità nei criteri di acquisizione delle grandi attrezzature, alle diversità di consumi sanitari registrati presso coorti sovrapponibili, sono innumerevoli gli esempi di irrazionalità registrati in ambito sanitario, cui occorre aggiungere un eccesso di includente burocrazia (inestirpabile, nonostante la crisi: l’immagine maggiormente rappresentativa di questa situazione è offerta dagli ex stabilimenti metalmeccanici trasformati in archivi per conservare scartoffie di ogni tipo).
Finché si registrava una generale crescita economica, le strutture sanitarie potevano soprassedere dall’effettuare confronti (benchmarket), studi farmacoeconomici, analisi comparate sull’efficacia nell’utilizzo delle risorse etc.
La scelta che pone la crisi economica è se la sanità deve continuare a erogare tutto a tutti, indipendentemente dal beneficio generato o se occorrerà riesaminare il concetto di bisogno e, di conseguenza, concentrarsi sugli interventi particolarmente efficaci. La velocità dei cambiamenti cui è sottoposta la nostra società obbliga a rivedere costantemente l’utilità dei servizi offerti, onde evitare che le strutture eroghino beni o servizi con una bassa utilità marginale, assorbendo risorse destinabili ad utilizzi più vantaggiosi.
Il sistema è andato in crisi anche perché a fronte di un sempre maggiore costo, il livello di soddisfazione è andato progressivamente a decrescere: ciò conferma come il sistema fatica a soddisfare i bisogni reali, nonostante un sempre crescente utilizzo di risorse (e quindi con sempre maggiori costi). La crisi finanziaria ha però irreparabilmente rotto questo meccanismo, facendo percepire in modo inequivocabile come le risorse, essendo limitate, se utilizzate per uno scopo, non sono più disponibili per tutti gli altri possibili utilizzi. Se i servizi prodotti attualmente dal sistema faticano a soddisfare le aspettative dei cittadini, appare quanto mai necessario riesaminare quali sono i reali bisogni sanitari dei componenti di una collettività in continua mutazione, sia per quanto riguarda la loro composizione, sia per quanto riguarda le scale di priorità e i valori etico-sociali che le caratterizzano.
Per acquisire le conoscenze su come si evolve una collettività occorre rideterminare un utilizzo evoluto delle informazioni disponibili nelle diverse banche dati già esistenti o realizzabili ad hoc: il concetto di intelligenza artificiale può, infatti, spiegare come da una visione simultanea di più informazioni possa derivare una più coerente interpretazione della società. L’efficacia dell’azione sanitaria è, infatti, collegabile al grado di interfunzionalità e interdisciplinarità raggiunta. Infiniti sarebbero gli esempi che impongono un continuo scambio di informazioni presenti nel settore: per progettare, ad esempio, la ristrutturazione di un reparto ospedaliero occorre coinvolgere, oltre al progettista, tutta una serie di altre professionalità, dal direttore sanitario, al manager economico, dal responsabile degli impianti elettrici e idraulici, all’esperto in logistica aziendale. La realtà segnala invece di decisioni assunte senza la presenza di tutti gli attori qualificati per portare una loro esperienza.
Questa interpretazione della sanità necessità però di una cultura diversa dall’attuale e una classe dirigente in grado di sostenerla ed applicarla. Definire ciò che restituisce maggiore utilità rispetto alle risorse impegnate diventa così la sfida per la pubblica amministrazione nei prossimi anni (ammesso che la crisi finanziaria conceda il tempo necessario o non obblighi a tagli indiscriminati immediati). Preso atto della vastità delle variabili che influiscono sui processi di cura, occorre creare dei meccanismi di valutazione su come le singole variabili possono influire. Ogni medico ed ogni operatore sanitario sa bene che il successo di un intervento dipende da un’infinità di fattori clinici, psicologici, ambientali etc. dove non è sempre facile capire il contributo offerto da ognuno di essi.
Per accrescere le conoscenze sui mix che meglio possono garantire la guarigione del paziente occorre predisporre appositi algoritmi socioeconomici, i cosiddetti algoritmi euristici, in grado di definire il miglior mix di combinazioni di tutti i fattori che influiscono sulle condizioni di vita. Tali algoritmi devono cioè permettere un approccio mentale volto a considerare simultaneamente fattori tra loro molto diversi ma che riescono, tramite il loro interagire, a spiegare l’evolversi di un fenomeno. Cioè una “metaformula” in grado di associare variabili di diversa natura, che per definizioni non possono assommarsi automaticamente. Può essere riconducibile al concetto di “metaformula” quello che già tutti i giorni calcolano i medici dovendo associare conoscenze scientifiche, situazioni personali del paziente, variabili socio-culturali per individuare il miglior processo di cura. Lo stesso ragionamento deve oggi essere riproposto a livello di sistema, unificando e gestendo tutte le conoscenze disponibili.
Uno schema può sintetizzare questo approccio:
Il principale problema del mondo sanitario è quello di collegare e valutare l’impatto delle decisioni prese sotto diversi profili: clinici, economici, psicologici e sociologici che regolano una collettività.
L’attuale crisi obbliga a riportare l’attenzione sui reali bisogni dei cittadini e sulla possibilità di gerarchizzare gli interventi, specie in un settore come quello sanitario che rappresenta una significativa quota della spesa pubblica.
Le politiche impostate sul welfare state avevano individuato una serie di bisogni sanitari che devono essere soddisfatti direttamente dal settore pubblico (problema ancora aperto nell’America di Obama) tramite la prestazione gratuita o a prezzo politico (ticket) delle prestazioni sanitarie considerate essenziali. A questa funzione di “erogatore” al settore pubblico viene sempre più frequentemente richiesto anche di esercitare una funzione-guida nella scelta dei volumi dei consumi da privilegiare e le modalità di fruizione (appropriatezza), definendo nel contempo precisi livelli essenziali di prestazioni.
In questo contesto gli algoritmi euristici possono permettere di individuare il miglior mix nell’utilizzo dei fattori (spesa pubblica, beni a consumo individuale, gestione degli elementi psicosociali etc.) dalla cui combinazione si possa ricavare il massimo risultato non solo per l’individuo, ma per tutta la collettività.
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