La rinascita passa da “giovani, lavoro e scuola”
Aggiornamento: 23 feb 2023
di Pietro Terna
Finalmente si inizia a leggere nei quotidiani quella che dovrebbe essere un’ovvietà, ma sempre taciuta. Non si trovano lavoratori per questo e quel mestiere. Certo, ma è stata provata la soluzione più semplice, quella di offrire retribuzioni migliori e posizioni di lavoro con gradi di sicurezza sufficienti e forme di gratificazione non monetaria adeguate, dall’acquisizione di competenze alle prospettive di carriera, sino a quella di diventare imprenditore? “Vogliono essere pagati in nero per non perdere il reddito di cittadinanza e gli altri benefici”, si sente dire. Ma qual è la paga offerta? C’è chi accetta, o ricerca accordi al ribasso, con il lavoro sottopagato grazie alle forme integrative, e chi ha la forza e la dignità di dire no, da entrambe le parti, domanda e offerta di lavoro. Il rischio, gravissimo, è che l’economia dei lavori sottopagati per attività che devono farsi concorrenza all’osso sui prezzi, ci precipiti in una spirale senza uscita. Non stiamo parlando di aree high tech, dove lavoratori ben pagati acquistano i cosiddetti servizi alla persona, pur sempre di limitato valore per la ridotta produttività; in quei luoghi, uno studente può anche consegnare le pizze a domicilio mentre studia, senza diventare prigioniero dell’economie della sussistenza, dove le vie d’uscita non esistono. Questo è il problema grave, molto più del fatto che ci siano anziani ricchi e giovani poveri: la mancanza di prospettive per così tante persone. I dati sono crudeli: secondo l’Istat1 le persone in condizione di povertà cosiddetta assoluta sono il 13,5% nella minore età e via via diminuiscono come percentuale, sino al 5,4% sopra i 65 anni, dove ci sono i pensionati. Il calcolo tiene conto delle dimensioni della famiglia: per una persona sola si considera un limite di 600 euro, per due persone 1000, per tre 1330 e così via scalando. Si è letto di salari mensili di 500 euro, facciamo le comparazioni… In un incontro recente della Porta di Vetro2, un osservatore attento della realtà ha sottolineato che nelle zone svantaggiate di una città come Torino, si incontrano giovani non interessati ad un lavoro regolare, che per loro non è un progetto di vita; ogni tanto qualche cosa in “nero” e via… Certo se il lavoro, oltre a essere carente, offre compensi limitati e manca di possibilità di crescita, è difficile che possa rappresentare una prospettiva di vita. Il problema centrale è la ripresa di ruolo della scuola. La scuola non è un obbligo, un parcheggio da abbandonare, ma è prima di tutto una comunità. Se quello che conta non è l’obbligo – ma bene che ci sia, ora sino a 16 anni e speriamo presto sino a 18 – dobbiamo cercare di far crescere i tanti modi di far parte della scuola, per tutti: licei, istituti tecnici e corsi professionali (in sigla: IeFE, Istruzione e Formazione Professionale). Lo scopo è dare ai giovani ruolo e consapevolezza. Certo è un progetto molto difficile da realizzare senza un ripensamento profondo, prima di tutto del compito e dello status, dei docenti, che devono poter essere modelli di riferimento per i giovani, pur nella infinità delle contraddizioni e differenze della nostra società. Ritorniamo ai grandi momenti di consapevole collettiva. Ne cito due: la scuola media unica, con l’abolizione della scuola di avviamento professionale nel 1962, e la riforma sanitaria, nel 1978. Ora occorre la ricerca del nuovo collegamento tra scuola e società, mentre la realtà del lavoro cambia profondamente, con nuove prospettive come il ruolo accelerato dell’automazione e dei robot e la diffusione di una vera protezione sociale contro il bisogno. In “Libertà attiva. Sei lezioni su un mondo instabile” di Ralf Dahrendorf, sociologo e politologo di autentica impostazione liberale, leggiamo (p.19 della edizione 2005, nella Economica Laterza): La disuguaglianza non è più compatibile con la libertà quando i privilegiati possono negare i diritti di partecipazione degli svantaggiati, ovvero quando gli svantaggiati restano nei fatti del tutto esclusi dalla partecipazione al processo sociale, economico e politico. A ciò esiste un solo rimedio, la dotazione elementare garantita a tutti. In essa rientrano i diritti fondamentali di tutti i cittadini, ma anche un livello di base delle condizioni di vita, forse un reddito minimo garantito, e comunque la prestazione di certi pubblici servizi accessibili a tutti. Tra i servizi, il primo è la scuola, e cancellerei “forse”. Da questa base si può ragionare in modo innovativo, senza pregiudizi.
[1]Statistiche sulla povertà, in https://www.istat.it/it/files//2021/06/REPORT_POVERTA_2020.pdf
[2]https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2021/06/model_-capitolo.pdf
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