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Anna Paschero

"La programmazione del PNRR sconta l'assenza delle province"

Aggiornamento: 11 feb 2023

di Anna Paschero

La riforma del titolo V della Costituzione (Legge 3/2001) ha collocato su un piano di pari dignità istituzionale gli enti territoriali (Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni) potenziando la loro autonomia organizzativa funzionale e finanziaria, pur nella distinzione dei rispettivi poteri e prerogative. Con la riforma Delrio vennero depotenziate e ridimensionate le Province, in attesa della loro cancellazione definitiva dall’art. 114 della Costituzione, che non avvenne mai per il fallimento del referendum costituzionale promosso dal governo Renzi nel 2016. Le province sono tuttora previste nella Costituzione come enti territoriali costitutivi della Repubblica. La legge Delrio aveva previsto la loro trasformazione, nelle Regioni a Statuto ordinario, in enti funzionali e strumentali di secondo livello, per i quali non erano più previste elezioni dirette, in nome di una miope riduzione dei costi della politica.


Gli effetti negativi rilevati dalla Corte Costituzionale

La storia successiva è purtroppo nota. Negli anni, i drastici tagli ai trasferimenti di risorse alle province da parte dello Stato (come se la riforma fosse stata compiuta) generarono non solo notevoli difficoltà nella gestione delle loro funzioni (strade provinciali, edilizia scolastica, trasporti, ambiente), ma anche confusione sulle responsabilità e buchi decisionali, creando immobilismo e conseguenze negative ancora presenti. Conseguenze maggiormente riscontrabili nelle Regioni a Statuto speciale, dove ognuna di esse, nel processo riformatore dei propri enti intermedi, è andata in ordine sparso, come ha rilevato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 240 del 2021.

Oggi si avvertono tali effetti negativi anche sulla programmazione del PNRR. L’assenza di un ente intermedio tra Comuni e Regioni ha compromesso la progettazione degli investimenti sul territorio e la mancanza di una efficace guida politica ha provocato una scarsa visione strategica sulla pianificazione urbanistica e dei trasporti. Non a caso, il dibattito politico dà l'impressione di voler assecondare il ritorno all'antico delle province su tutto il territorio nazionale.

La scelta del modello di ente intermedio più adeguato non può prescindere, oltre che dal dettato costituzionale, da una attenta valutazione del percorso di trasformazione compiuto da questi travagliati enti a partire dagli Anni ’90 supportato da importanti provvedimenti legislativi: la Legge di riforma delle autonomie locali, la 142 del 1990, che ne ha riordinato funzioni e competenze, l’abrogazione dei controlli di merito sugli atti degli enti locali e i decreti Bassanini, con l’attribuzione di compiti non solo di rappresentanza, ma di promozione e di coordinamento delle politiche per il territorio tesi a superare la frammentazione di responsabilità e competenze allora presenti in tali enti. E ancora il Decreto legislativo 267 del 2000 che ne ha rafforzato il ruolo istituzionale dell’esercizio di funzioni di coordinamento, programmazione e gestione di servizi di area vasta in una pluralità di materie.


La provincia di Torino: un modello per il legislatore

In questo decennio di grandi trasformazioni legislative (si pensi solo che il Regio Decreto 1934 limitava le competenze e le funzioni delle province (art. 144) all’assistenza degli infermi di mente e infanzia illegittima, ciechi e sordomuti poveri rieducabili e strade provinciali ed edilizia scolastica superiore) la Provincia di Torino fu una di quelle capaci di cogliere, attraverso una guida politica autorevole e lungimirante, in carica per due mandati consecutivi, l’opportunità di un forte rilancio dell’ente provincia per farle assumere, per la prima volta nella sua storia, un ruolo di autorevole protagonista.

L’esperienza politico amministrativa del decennio 1995/2004, rappresenta, a mio giudizio (per quanto influenzato positivamente dall'aver fatto parte della Provincia di Torino dal 1967 al 2004) il modello ottimale di funzionamento dell’ente intermedio a cui il legislatore dovrebbe rifarsi per il ripristino delle province su tutto il territorio nazionale. E’ un esempio di come l’innovazione normativa sia stata coniugata efficacemente con il programma politico di governo dell’ente e con l’impegno profuso da una amministrazione competente e capace non solo di mettere a fuoco obiettivi importanti, ma di affrontare le inevitabili emergenze ed eventi forti, come l’alluvione dell’autunno 2000, la crisi della FIAT del 2001, la razionalizzazione delle sedi provinciali, e la preparazione delle XX Olimpiadi.

Nella Provincia di Torino prende l’avvio in quel periodo un metodo nuovo per superare la tipica procedura della pubblica amministrazione: quello della pianificazione strategica con l’affermazione della cultura del progetto e del controllo, tipica delle organizzazioni orientate ai risultati: il primo sistema di Pianificazione, Valutazione e Controllo Strategico, riconosciuto nel 2006 come eccellenza dal FORMEZ.

Ammontano a oltre 1.158 milioni di Euro gli investimenti realizzati su un monte di spesa complessivo di 3.632 milioni di Euro: quasi il 32% della spesa dell’Ente ha avuto una sua riqualificazione in interventi resistenti sul territorio con consistenti benefici per gli anni a venire. Il processo di riorganizzazione funzionale e amministrativa ha coinvolto ogni dimensione, dal personale alle dotazioni tecnologiche, dalla finanza alla verifica e qualificazione della spesa, dalla programmazione, coerente con il programma di governo, alla realizzazione dei progetti. Nel 1997 viene creato il sito istituzionale (www.provincia.torino.it) con le prime 1000 pagine di contenuti. Un sito statico, rivolto al cittadino, con informazioni sulle attività dell’Ente. Nel 2000 viene aperto l’Ufficio Relazioni con il Pubblico nella prestigiosa sede di Palazzo Cisterna: l’ufficio raccoglie reclami e suggerimenti, rilascia autorizzazioni semplici, gestendo oltre 30.000 contatti all’anno. Progetti che fanno parte del programma di innovazione organizzativa contenuto nell’Asse strategico “Reinventare la Provincia e il modo di governarla: i rapporti con i cittadini e le istituzioni”.


“L’Europa come progetto e come futuro”

Viene coniato il concetto di “Città diffusa” come sistema in cui sviluppo economico, sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale, mirano a coniugarsi nel territorio provinciale, ma anche viene impresso un forte impulso all’integrazione della Provincia di Torino con il resto dell’Europa. “L’Europa come progetto e come futuro”, primo Asse strategico del programma di governo, ha significato una costante azione di rappresentanza degli interessi locali, la promozione e sperimentazione di collaborazioni politiche e istituzionali, di relazione transfrontaliera, di cooperazione e partnership progettuali e la partecipazione con altre istituzioni nel difficile processo di allargamento dell’Unione per dotare lo spazio comune europeo di infrastrutture di collegamento per il movimento dei cittadini e delle merci e per la circolazione efficiente e trasparente delle informazioni.

Guardati in retrospettiva, gli esempi citati sono lo specchio della capacità di iniziativa (e intraprendenza) messa al servizio del cittadino da parte della Provincia di Torino, prima di essere declassata, insieme a tutte le altre Province ad ente di secondo livello. Un racconto più diffuso dei risultati raggiunti è contenuto in una pubblicazione, edita dalla Provincia di Torino nel 2004: “A vostro Pro - 1995 – 2004 Il bilancio di due mandati” a firma di Mercedes Bresso, all'epoca la presidente della Provincia.

La scelta del ritorno delle province, nel caso in cui il legislatore volesse ripercorrere i propri irrazionali passi, dovrebbe essere quella di un forte ente intermedio di governo (non funzionale e strumentale) dotato non solo di risorse finanziarie, umane e strumentali adeguate ai propri compiti, ma soprattutto di una visione che superi i limiti delle singole competenze per agire in un contesto di programmazione e di coordinamento in cui queste ultime siano capaci di rafforzare l’attrattività complessiva del territorio.

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