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La partita peggiore dell’Italia vale la finale degli Europei

di Menandro|

Il calcio non è una scienza esatta. E questo spiega perché l’Italia va in finale agli Europei, nonostante a Wembley, nello stadio di Londra, abbia giocato e vinto la sua peggiore partita, mentre l’avversaria, la Spagna, è uscita a capo chino, dopo aver disputato la sua migliore partita del torneo. Battaglia calcistica finita alla lotteria dei rigori, dopo che i tempi supplementari avevano decretato un equilibrio nel punteggio (1-1), ma non nel gioco, sempre dettato dalle “furie rosse”. La Roja ha dominato dove si sviluppa la trama del pensiero calcistico: a centrocampo. La sua ragnatela di pressing e passaggi rapidi e millimetrici ha disorientato gli azzurri fin dai primi minuti grazie all’alchimia che Luis Enrique, il tecnico spagnolo, si è inventato con una mossa a sorpresa, Olmo al posto di Morata, un playmaker con vocazione offensiva al posto di un attaccante. Risultato: una schiacciante superiorità a centrocampo e conservazione della palla. Così all’Italia non è rimasto che sfruttare il meglio del suo Dna: il contropiede. Non aveva altro da mettere sul piatto. La partita rifletteva sul piano tattico gli errori o gli abbagli del commissario tecnico Roberto Mancini, poco incline a riconoscere le incongruenze della squadra emerse contro il Belgio e di conseguenza refrattario a sacrificare Verratti e Immobile dalla formazione iniziale. Verratti e Immobile, due giocatori che si sono ritrovati a togliere e non a dare ai rispettivi reparti, ad un centrocampo in sofferenza e ad un attacco asfittico. Alla squadra non è rimasto che affidarsi al gioco antico, che ha sempre offerto una protezione sicura. Dal contropiede è scaturito il vantaggio firmato da Federico Chiesa: un supergoal che ha lasciato basita la Spagna, ma non l’ha messa in ginocchio, né l’ha mandata in confusione. La Spagna è rimasta fedele se stessa: intensa, aggressiva, determinata e con Morata, spedito da Luis Enrique a scardinare il fortino azzurro, ha agguantato il pareggio. La lotteria dei rigori, con cui eravamo in credito dal 2016, dalla sconfitta ai quarti di finale proprio dal dischetto contro la Germania, ha premiato un collettivo che ha avuto il merito di non cedere sul piano nervoso nei tempi supplementari e di trasferire tutta l’adrenalina rimasta per battere con la necessaria freddezza il portiere spagnolo, Unai Simòn. E il rigore di Jorginho rimarrà a lungo nella memoria. Con questo viatico gli azzurri contenderanno alla vincente di Inghilterra-Danimarca il titolo di campioni d’Europa, domenica, ancora a Wembley. Sarà la quarta finale gli azzurri dopo quella vittoriosa del 1968 a Roma contro la Jugoslavia, e quelle amare del 2000 e del 2012. Se l’Italia aveva qualcosa da farsi perdonare, oltre mezzo secolo di attesa per riprendersi un trofeo ci sembra la giusta penitenza.

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