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La morte di Pelè: ora O' Rey dribbla in cielo

Aggiornamento: 5 gen 2023

di Vice


O' Rey ora porterà i suoi dribbling in cielo. Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè, classe 1940 all'anagrafe, classe infinita sui campi di calcio, non è più tra noi. La notizia era attesa, ma rimane dolorosa accettarla, perché con Pelè se ne va una delle leggende del Novecento. Un secolo che Pelè ha reso non breve, secondo la definizione dello storico Eric Hobsbawn, ma per alcuni versi calcisticamente brevissimo nell'aver trascinato al trionfo della Coppa Rimet il Brasile in appena dodici anni, dal 1958 al 1970. In quel lasso di tempo, la nazionale verde-oro si è aggiudicato per tre volte il campionato del mondo: 1958, 1962 e 1970. E da regolamento ha conquistato definitivamente il trofeo che il francese Jules Rimet, presidente della FIFA negli anni Trenta del Novecento, aveva istituito per il torneo calcistico.

Destino volle che nel 1970 a Città del Messico, la finale fu decisiva, perché si ritrovarono di fronte due delle tre nazionali che avevano conquistato due volte il trofeo, appunto il Brasile e l'Italia, vittoriosa nel 1934 e nel 1938. La terza, l'Uruguay, era stato eliminata in semifinale proprio dai brasiliani.

Quel 21 giugno 1970, allo stadio Azteca, Pelè fece ancora una volta la differenza. Forse, l'Italia sarebbe uscita sconfitta in qualunque caso. I brasiliani erano un'armata di incomparabili fuoriclasse che soltanto a snocciolare la formazione provocava un complesso di inferiorità in a chiunque: Felix, Brito, Piazza, Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Gerson, Tostao, Rivellino, Jairzinho, Pelè.

Forse, l'Italia era ad un tempo appagata e prosciugata di energie nervose dalla partita del secolo contro la Germania in semifinale, quella del mitico 4 a 3, dell'urlo di Nando Martellini, di Boninsegna che saltava Schultz e di Rivera che infilava con una finta Sepp Maier. O, forse, quell'Italia era divisa da lotte e polemiche intestine (in primis la staffetta Mazzola-Rivera) che un dirigente troppo invasivo, Walter Mandelli, e un commissario tecnico poco resiliente, Ferruccio Valcareggi, avevano fomentato nel momento meno propizio e opportuno.

Ma O' Rey seppe andare oltre tutto questo. E lo fece addirittura andando oltre la legge di gravità, rimanendo sospeso in aria un tempo incredibilmente indefinito, ma esatto, per colpire di testa, mentre il suo marcatore, Tarcisio Burgnich detto la Roccia, scendeva giù per vedere meglio la palla insaccarsi alle spalle del portiere Albertosi. A quel capolavoro si contrappose un'arguzia del nostro Bonimba, al secolo Roberto Boninsegna. Ma l'equilibrio fu rotto nella ripresa da un gollasso al fosforo di Gerson. Fu il goal del 2 a 1 che piegò le ginocchia agli azzurri. Tutto il resto fu poi triste noia in bianco e nero per l'Italia, gioia a ritmo di samba per il Brasile, ancora schiacciato da una dura dittatura militare - il regime dei gorillas - che sfruttò quella vittoria per il consenso sociale.

Pelè continuò a giocare e a segnare ancora per sette anni, raccontando il suo calcio da antologia anche negli Usa con la maglia dei Cosmos. E negli anni a seguire, continuò a farsi inseguire dalla domanda che il calcio, più di ogni altro sport, ciclismo a parte, unisce le generazioni: chi è il più grande?


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