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La "libertà" promessa da Trump non è parente della democrazia

Giancarlo Rapetti

Aggiornamento: 24 ore fa

di Giancarlo Rapetti


Tre mesi dall’elezione, un mese dall’insediamento della coppia consolare Donald Trump-Elon Musk alla Casa Bianca, e già si delinea con apparente evidenza che cosa pensano e che cosa fanno i nuovi capi degli Stati Uniti d’America. Il dire e il fare, a dispetto dei proverbi popolari, sono strettamente connessi e, spesso, il dire in quanto detto ha delle conseguenze di fatto. Anzi, una caratteristica dei peggiori populismi è proprio quello di mantenere le peggiori promesse.

L’esame del dire ci consente di sviluppare alcune riflessioni di filosofia politica, per citare la materia a suo tempo insegnata all’Università di Torino dal maestro Norberto Bobbio. Abbiamo a disposizione una fonte diretta, il discorso del Vice Presidente J.D. Vance alla recente conferenza di Monaco sulla sicurezza europea. Molti commentatori hanno scritto che Vance ha impartito agli europei una lezione sulla democrazia. Non è proprio esatto: la lezione, presuntuosa ed arrogante, non è stata sulla democrazia, ma sulla libertà.

Decenni di retorica ci hanno abituati a considerare i due termini simbiotici, addirittura intercambiabili. Non è così: democrazia e libertà sono due poli concettuali ben distinti, anche se, naturalmente, hanno tratti sovrapponibili. L’equivoco deriva anche dall’uso estensivo che si fa del termine liberale. I liberali di una volta coincidevano con la destra politica, sostenitrice della democrazia formale (le libere elezioni), ma per il resto ben determinata a garantire i privilegi di una parte della società. Oggi il termine liberale è diventato “di sinistra”, ma è la traduzione dell’americano liberal, cioè una posizione politica che, dando per scontato che lo sviluppo e il mercato abbiano superato i problemi economici e sociali, si occupa dei cosiddetti diritti civili, per superare tutte le discriminazioni che penalizzano le minoranze, quali che siano. Un estremismo progressista, le cui degenerazioni hanno portato al politically correct, alla dottrina woke e alla cancel culture.

Il discorso di Vance ha riportato i termini liberale e libertà al significato originario. La libertà è innanzitutto libertà dallo stato, cioè dalla democrazia. E’ la licenza agli individui o ai gruppi organizzati di agire indisturbati, senza regole, con unico limite la forza di altri individui e altri gruppi di difendere a loro volta i propri spazi di libertà. La libertà è conflitto, è uno stato di natura in cui vige la legge del più forte, in termini fisici, economici, o informativi. Nel momento in cui l’Unione Europea cerca di regolamentare il mercato, o l’informazione, o il vivere sociale e civile, automaticamente si pone contro la libertà. Come si vede, non c’è spazio di mediazione: uno stato democratico forte, fondato sul principio di legalità, con poteri pubblici in equilibrio e bilanciati ma efficaci, non può essere liberale. 

A questo punto, si impone una precisazione: i discorsi sulla libertà, fatti in questo contesto, non sono assoluti; specialmente quando, come nel caso in esame, le parole non hanno significato univoco, sono plurivalenti. Per sintetizzare, si potrebbe dire così: la democrazia implica la libertà, la libertà non implica la democrazia. La democrazia, per il modello Trump, è un ciarpame superato, un inutile intralcio ai più forti per ostacolare i loro obiettivi. Se non bastasse, questo tweet (rectius questo post su X) di Donald Trump in persona, fuga ogni dubbio: “He who saves his Country does not violate any Law”. Google traduce così: “Chi salva la Patria non viola alcuna Legge”. Chi aveva detto “Lo Stato sono io”? Benvenuti nell’Ancien régime.

Ora, il problema sta nel consenso: come mai queste posizioni, esplicite oltre ogni ragionevole dubbio, fanno vincere le elezioni? Non dovrebbe la maggioranza della popolazione sentirsi defraudata della fondamentale conquista democratica rappresentata da una società in cui tutti contano e che ha costruito un sistema di relazioni sociali equilibrate in cui nessuno è troppo penalizzato e tutti hanno delle opportunità? Le posizioni “liberali” vincono contro quelle “democratiche”, perché la democrazia ha molti difetti, i suoi sostenitori non riescono a superarli, e combattono sul terreno dei principi e non dei fatti. Cerchiamo di spiegarci meglio. L’impianto del discorso di Vance prima ricordato è un inequivocabile manifesto post-democratico, ma alcune affermazioni isolate su singole questioni risultano difficilmente contestabili. Riferendosi all’annullamento delle elezioni in Romania a causa delle interferenze russe attraverso una campagna di disinformazione, Vance ha detto: “se bastano poche centinaia di migliaia di euro investiti in pubblicità digitale per cambiare l’esito delle elezioni, la democrazia era già debole prima”. Come dargli torto. Ancora: “nessuna democrazia sopravvivrà se dice a milioni di elettori che i loro pensieri, le loro preoccupazioni, le loro aspirazioni, le loro richieste di aiuto non sono legittime e non meritano di essere prese in considerazione”.

Ora, J.D. Vance va ringraziato, perché non solo ci ha mostrato il problema che lui e il suo capo rappresentano, ma ha anche indicato la soluzione. Lanciare allarmi democratici contro chi afferma che la democrazia è un ferro vecchio e che il free speech consiste nella libertà di dire impunemente il falso, è doveroso, ma non centra il cuore del problema e non scalda il cuore delle persone. Le quali sanno benissimo con chi hanno a che fare, ma sperano che da questi soggetti vengano le soluzioni ai loro problemi che gli altri, i “buoni”, non sanno trovare. Occorre rispettare i bisogni del popolo e proporre soluzioni credibili ed efficaci.

Cominciando a non negare i problemi e a non maltrattare i potenziali elettori: se il cittadino è preoccupato per l’immigrazione irregolare e la fallita integrazione, la soluzione non è predicare l’accoglienza indiscriminata e dargli del razzista. Se il cittadino ha paura per la propria crescente insicurezza, non si può rispondergli con le statistiche e dargli del securitario forcaiolo. Se il cittadino teme per il proprio reddito impoverito dall’inflazione, non si possono mobilitare le masse su temi estranei ai suoi interessi e proporre la spesa pubblica illimitata a debito che è causa dell’inflazione. Se il cittadino soffre per i bassi salari, non si può parlare di nuove tasse invece di proporre politiche che creino sviluppo e aumento della produttività del lavoro.

Ancora. Non si può neanche snobbare la “famiglia tradizionale”, come se fosse un residuo del passato, mentre la grande maggioranza dei (pochi) nuovi nati è frutto del banale tradizionale incontro tra un uomo e una donna. Insomma, il nuovo corso americano prospetta una società post-democratica, in cui la forza naturale del capo branco sostituisce i meccanismi democratici, e l’investitura elettorale configura un mandato illimitato in bianco. In cambio offre la promessa impossibile di lasciare libero ciascuno di fare quello che vuole e la promessa minacciosa di risolvere i problemi collettivi attraverso decisioni politiche assolute, cioè sciolte da ogni vincolo di legge, quindi più rapide ed efficaci.  

La democrazia può ancora salvarsi, se riesce a rispondere in modo pertinente, prendendo in carico i bisogni del popolo senza negarli, dimostrando che le promesse dei Trump & co. non creano i risultati attesi, che i post-democratici al potere non risolvono alcun problema, anzi lo acuiscono. Non sarà facile perché i “democratici” nel tempo hanno perso credibilità, un po’ per l’efficacia della propaganda avversaria, un po’ per i loro numerosi errori. E, come è noto, il recupero della credibilità perduta è un percorso lungo, lento, faticoso. L’esito incerto non è motivo per gettare la spugna, ma per impegnarsi di più. E’ una partita vitale.


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