La Liberazione di Torino: "Aldo dice 26x1. Nemico in crisi finale"
- Michele Ruggiero
- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 6 min
di Michele Ruggiero

Il 25 aprile di ottant'anni fa la libertà apriva le sue finestre sulla pianura padana e sulle regioni del nord: era il giorno dell'insurrezione generale, delle brigate e delle divisioni partigiane che scendevano a valle per liberare grandi e piccoli centri, di ultimi e sanguinari combattimenti contro le forze nazifasciste. Torino era pronta alla sollevazione già da una settimana, dallo sciopero generale del 18 aprile che aveva bloccato le fabbriche, i trasporti, gli uffici, mostrando la debolezza delle bande nere, quanto gli ultimi e dolorosi scampoli di ferocia convertiti nell'uccisione di più patrioti.
Nel suo numero di aprile, il mensile Torino Storia ha dedicato un lungo servizio all'insurrezione e alla liberazione della città firmato da chi scrive, di cui riportiamo un estratto, ringraziando per la gentile concessione il direttore Alberto Riccadonna.
«Aldo dice 26x1. Nemico in crisi finale. Applicate Piano E 27. Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga. Fermate tutte le macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette. Comandi Zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strada Genova-Torino et Piacenza-Torino». L’ordine cifrato del Comando miliare regionale del Piemonte (CMRP) arriva alle formazioni partigiane la sera del 24 aprile 1945. L’insurrezione armata nella regione che da 20 mesi combatte contro i nazi-fascisti è prevista per l’1 del 26 aprile. Come scrive Giorgio Bocca, all’epoca commissario politico della Seconda Divisione Giustizia e Libertà, soltanto il Piemonte, ha i numeri, più di 15mila partigiani ben armati, per condurre una grande battaglia manovrata e sostenere nei capoluoghi di provincia lo scontro con le Divisioni della Wermacht in ritirata e andare oltre la guerriglia.[1] Non a caso, è la regione più partigiana[2], con alla spalle vittorie ed esperienze di combattimento che hanno avuto un’eco internazionale, dalla Repubblica libera dell’Ossola alla liberazione della città di Alba.
Gli unici a non corrispondere al grido “viva l’insurrezione nazionale” del Comitato di liberazione nazionale del Piemonte sono gli alleati refrattari, come nel caso della ricostituzione di un esercito regolare, ad assistere a una partecipazione alla lotta armata dal basso e alla sollevazione delle masse popolari. A interpretare queste riserve è in primis il colonnello Stevens, comandante della missione inglese in contatta con il CMRP. Ed è lui che cerca di bloccare con un falso messaggio l’insurrezione e, in particolare, la discesa dalle colline del Monferrato verso Torino dei reparti di “Barbato”, alias l’ufficiale di cavalleria Pompeo Colajanni, uno dei comandanti più esperti e apprezzati del movimento partigiano. A superare i tentennamenti vi ha già pensato la mobilitazione nelle fabbriche delle Sap e dei Gap, il cuore dell’insurrezione, con gli operai in armi temprati dallo sciopero del 18 aprile che ha sospinto alle corde i fascisti.

[...] Il piano d’occupazione prevede quattro zone di Torino che rappresentano i più importanti poli industriali della città e della lotta antifascista a partire dagli scioperi del marzo 1943: 1) Borgo San Paolo, con gli stabilimenti Lancia, Spa e Aeritalia; 2) Borgo Vittoria, con le Ferriere e la Savigliano; 3) Barriera di Milano con il complesso Grandi Motori; 4) gli stabilimenti Fiat di Lingotto e Mirafiori. L’occupazione riesce nei primi tre settori, pur investiti dal contrattacco nemico, ma stenta a avere il controllo nel quarto. Mirafiori è sotto scacco. La battaglia infuria, è solo agli inizi, ma è già feroce, con i nazifascisti che il 26 notte rioccupano la Riv e la Fiat Ricambi, e non cedono i palazzi della Prefettura in piazza Castello, del Comune e dalla Gazzetta del Popolo in corso Valdocco, mentre i ferrovieri non cedono di un palmo Porta Nuova, mentre Porta Susa è presa di mira da due panzer tedeschi. I tram non circolano. Gli uffici pubblici e le banche sono sbarrati. Sotto un diluvio di fuoco, staffette e portaordini trasmettono al Comando di piazza l’evolversi della situazione, che di notizia in notizia compone e scompone il quadro dei rapporti di forza.
[...] Il 26 aprile, si avvicina a Torino anche la 4° divisione Garibaldi, concentrata a Front Canavese che non esita a ingaggiare battaglia a Leinì e a Caselle contro i mezzi corazzati tedeschi, 17 carri armati che non riescono a impedire ai partigiani di entrare a Torino dalla strada della Cebrosa e avanzare da nord [4]. Intanto, costretta la “Monterosa” repubblichina ad alzare bandiera bianca a Castellamonte, la Divisione Matteotti “Davito Giorgio” avanza sull’autostrada Torino-Milano per entrare in città lungo corso Giulio Cesare, percorre corso Regina Margherita, corso Francia e raggiunge nel quartiere operaio di Borgo San Paolo prima lo stabilimento Lancia, sede del Comando di piazza, che ha respinto un’offensiva tedesca, poi il complesso industriale Viberti, in corso Peschiera, che fin dalle prime luci dell’alba è sotto il controllo delle maestranze che coraggiosamente attorno a mezzogiorno pur inferiorità di armamento hanno respinto e costretto ad allontanarsi tre carri armati tedeschi.
[...] Nella serata del 26 aprile, sono fucilati al muro della caserma Cernaia da militi della Brigata nera “Ather Capelli” il colonnello della Polizia ausiliaria Giacomo Giglioni, il figlio Carlo, vice brigadiere ausiliario, e la guardia ausiliaria Mario Fiammoi. La caserma della Polizia ausiliaria di via Guiccardini, che si era ribellata ai fascisti al segnale dell’insurrezione, viene assediata e cannoneggiata da carri armati leggeri L3 del Gruppo corazzato “M Leonessa” della Gnr, erede della Divisione corazzata della Milizia, militi riconoscibili dal teschio sul basco. Uno scontro impari che provoca morti e feriti. Gli occupanti fuggono attraverso un passaggio sotterraneo collegato alla Cittadella, ma i tre sono catturati.

L'alba del 27 aprile si apre con la sensazione del giorno cruciale, decisivo per la liberazione di Torino. Le brigate partigiane sono al completo e si dispongono sullo scacchiere della città per soffocare gli ultimi focolai di resistenza fascisti. Sull’esito della battaglia incombe però l’ombra del generale Hans Schlemmer. Al suo comando ci sono 12mila uomini e mezzi corazzati, una forza sufficiente, fa sapere al CRMP, per trasformare Torino in una “seconda Varsavia”. Non bleffa, ma neppure è disponibile fino in fondo a ingaggiare uno scontro rischioso. Vuole sopravvivere, ma non trattiene i suoi uomini dalla crudeltà e dal perpetrare altri eccidi. Prevale la doppiezza violenta della prepotenza: lungo un percorso periferico, la colonna si abbandona ad ogni sorta di saccheggio, vandalismo, uccisioni di massa; tra il 29 e il 30 aprile, 68 persone, tra partigiani e civili di Grugliasco e Collegno, sono passati per le armi. Il bilancio è una scia del sangue di almeno 300 vittime, 128 delle quali risulta fossero civili, 113 partigiani, 63 sappisti. Il 3 maggio, Schlemmer si consegna agli americani che lo liberano il 17 giugno del 1947. Muore a Bad Kreuznach il 26 gennaio del 1973, all’età di 80 anni.
Al mattino, la periferia nord di Torino è liberata. Il “trampolino di lancio” attesa per la ripresa dei combattimenti e penetrare in profondità il centro cittadino, verso cui già si muove la brigata "Giaime Pintor" di Giustizia e Libertà, che avanza in collaborazione con la brigata Garibaldi “Gardoncini” sino al ponte Umberto I. La morsa sulle brigate della GNR si stringe con l’arrivo della 9a divisione "GL", della divisione "Matteotti" -"Renzo Cattaneo" e delle unità garibaldine che avanzano in corso Vittorio Emanuele, tra Porta Nuova e il ponte Umberto I. In tarda mattinata, la cronaca registra l’esaurirsi di un contrattacco repubblichino per riprendersi la Westinghouse. I fascisti, costretti a ripararsi nel perimetro delle Nuove, da carcerieri diventano carcerati. Una condizione che li sgomenta e diffonde in loro la sensazione della sconfitta irrimediabile. A chi li comanda, il maggiore Gino Cera, responsabile dell’impiccagione di tre partigiani a Villar Perosa nell’agosto del 1944, non rimane che chiedere una tregua. Cera, processato e condannato a morte, è fucilato il 22 marzo del 1946.
Nella notte tra il 27 e il 28, i fascisti sono costretti ad abbandonare anche la famigerata caserma di via Asti, sede dell’UPI, l’ufficio politico investigativo della Repubblica di Salò. Fugge il colonnello Giovanni Cabras. Lo arrestano gli alleati. Processato, condannato a morte per impiccagione, pena ridotta a 20 anni, esce nel 1947 con l’amnistia Togliatti. Muore a Cagliari nel 1981. Abbandonata dalla Decima Mas, gli uomini della Brigata "Sandro Magnone", comandata dall’ufficiale dell’esercito Giuseppe Falzone del Barbarò entrano nella caserma “Monte Grappa”, nel cui cortile sono stati fucilati otto partigiani.

A mezzogiorno Torino è libera. Le caserme, luoghi di tortura e di potere fanatico, sono tutte occupate; sorte analoga segue per il famigerato Albergo Nazionale in piazza delle Fontane (oggi piazza CLN), sede del Polizia tedesca e della Gestapo. Il gruppo di “Giustizia e Libertà” ha preso possesso della ex Casa Littoria in via Carlo Alberto, che per i torinesi diventa “Palazzo Campana", in onore del comandante Felice Cordero di Pamparato detto “Campana”, impiccato dai fascisti il 17 agosto del 1944 a Giaveno. Dalle “Nuove”, escono i partigiani incarcerati, tra cui alcuni principali animatori della Resistenza in Val Sangone, "Geni Bocia", nome di battaglia di Eugenio Fassino, e gli ex ufficiali dell’Esercito, i fratelli Antonio e Federico Tallarico, che si ricongiungono alle loro formazioni. Il vento della libertà scorre nelle stanze istituzionali del Municipio e della Prefettura, per i quali il CLN ha nominato sindaco il comunista Giovanni Roveda e prefetto il socialista Pier Luigi Passoni, questore l’azionista Giorgio Agosti e presidente della Deputazione provinciale il democristiano Giovanni Bovetti. Nomine che non sono contestate dagli Alleati che entrano a Torino il 3 maggio.
[...] La domenica del 6 maggio, in un tripudio di folla festante, Torino consegna la bandiera di combattimento alle formazioni partigiane che sfilano in piazza Vittorio Veneto. La Resistenza, durata venti mesi, ha vinto.
Comments