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Maurizio Jacopo Lami

La guerra totale di Israele: dopo Gaza, Hezbollah nel mirino. Ma gli Usa ora frenano

di Maurizio Jacopo Lami


I colpi inferti a Hezbollah con le uccisioni di Hassan Tawil, il più importante capo militare eliminato con un drone in un agguato molto accurato, e quella di alcune ore fa di Ali Hussein Barij, responsabile per gli attacchi aerei nel sud Libano, in pratica uno dei più importanti dirigenti militari degli sciiti libanesi, conduce a due considerazioni. La prima: si tratta di un chiaro segnale che Israele ha rivolto ai dirigenti sciiti di Hezbollah che induce a riflettere sulle capacità dell'intelligence di Tel Aviv di conoscere mosse e movimenti dei leader nemici anche i più abili e di eliminarli. Morale, secondo la dottrina Netanyahu e non soltanto sua: "Smettete di minacciare di attaccarci a fondo, perché vi abbiamo dimostrato che la paghereste cara". 

La seconda considerazione è che Israele sta tentando di cambiare strategia. I grandi attacchi che causano così tante vittime civili dovrebbero (il condizionale è d'obbligo) cessare per essere sostituiti con operazioni mirate. Del resto, la contestazione interna cresce di giorno in giorno e se ha in Netanyahu il suo bersaglio preferito, è anche vero che una parte degli israeliani vuole smettere di indossare i panni violenti del massacratore del popolo palestinese a Gaza. Sintomatico, il titolo dell'analisi pubblicata lo scorso 29 dicembre dal quotidiano israeliano Haaretz dello storico israeliano Moshe Zimmermann, secondo cui "Il pogrom di Hamas dimostra che il sionismo ha fallito"[1]. Il che porta l'opinione pubblica israeliana a domandarsi se la radicalizzazione della guerra promossa dal 7 ottobre costata a Israele più di 1.200 morti e centinaia di ostaggi, parte dei quali uccisi, che finora ha provocato l'uccisione di 23.200 palestinesi (fra loro circa novemila miliziani di Hamas, la maggioranza donne e bambini), 7.000 dispersi, che ha fatto registrare in Cisgiordania più di trecento vittime palestinesi e cinquemila prigionieri, con Hezbollah libanese che ha avuto circa 160 uccisi, colpiti soprattutto da droni israeliani, mentre l'esercito di Tel Aviv conta meno di duecento caduti, insomma se tutto ciò farà aumentare davvero la sicurezza per lo Stato di Israele o se, al contrario, contribuirà soltanto ad una "apertura" di debito verso chi oggi, pur suo amico, non ne condivide l'esasperazione della rappresaglia messa in atto.

Primo fra tutti "l'amico" per antonomasia, gli Stati Uniti, che attraverso le missioni del Segretario di Stato Antony Blinken stanno cercando di convincere Israele a non allargare il conflitto e a non coinvolgere altri paesi, a cominciare dal Libano. In ciò, aiutati da una stampa che non esita a raccontare l'inferno che si vive nella Striscia di Gaza. In proposito, sulla prima pagina on line, il New York Times pubblica un reportage dei suoi giornalisti tra le rovine di Gaza, testimonianze "della distruzione che la guerra di Israele ha provocato e della devastazione delle operazioni di Hamas".[2] Una ulteriore conferma di quanto la situazione vista da Washington, con la catastrofe umanitaria dei palestinesi, sia diventata intollerabile e la pressione internazionale sul governo di Tel Aviv stia diventando fortissima e difficile da arginare. Peraltro Blinken è stato nuovamente chiaro nell'invitare Israele ad evitare ulteriori ferite ai civili di Gaza, una città che si ritrova a dovere registrare secondo il ministero della Sanità, altri 126 palestinesi uccisi nel 95° giorno di guerra.

Vittime a ripetizione in un quadro di morte che urla al genocidio, che non hanno impedito al ministro della Difesa israeliano Galant di rivolgersi con estrema crudezza ai capi di Hamas: "non si aspettavano che  Israele si impegnasse in una grande offensiva di terra. Pensavano che avremmo fatto qualche bombardamento, qualche incursione di commandos e soprattutto attacchi con droni. Non immaginavano assolutamente di ritrovarsi con Gaza devastata. Il nostro obiettivo finale adesso è convincere i nostri nemici che ogni eventuale assalto contro di noi avrebbe conseguenze disastrose per loro". La conferma che Israele si è incamminata sul crinale della guerra per la guerra, indipendentemente dai rischi che può provocare all'equilibrio mondiale. Anche se Galant dà l'impressione di modulare i toni quando afferma che la "situazione è diversa rispetto al passato. Una violenza così grave (del 7 ottobre NdA ) è alla base della risposta cosi violenta di Israele e della sua determinazione non solo a distruggere Gaza, ma anche a colpire i vari suoi alleati, che per noi sono un vero e proprio "Asse del Male". L'Iran ha costituito un vero e proprio sistema di alleanze in cui ogni membro finge di operare in modo indipendente, ma in realtà si appoggia agli altri. Per questo noi minacciamo in maniera così decisa Hezbollah in Libano: vogliamo che capiscano che siamo decisi a tutto pur di salvare Israele. Noi soprattutto vogliamo impedire ai nemici di attaccarci tutti insieme. Così abbiamo mandato un messaggio preciso agli sciiti libanesi: se ci attaccate, Beirut subirà lo stesso trattamento di Gaza. E per voi sarà la fine. Abbiamo l'impressione che il messaggio sia stato recepito, perché gli attacchi dal Libano non superano mai una certa soglia di intensità. Non per caso abbiamo ucciso circa 140 sciiti libanesi insieme al loro comandante militare più importante".

Una dichiarazione, quella del ministro della Difesa, che sembra smentire il primo ministro Benjamin Netanyahu che continua adi guerra a fondo senza limiti di spazio e tempo. Ma non è la prima volta che i due sono in disaccordo. Nel marzo scorso, i sostenitori di Galant scesero in piazza per contestare proprio Netanyahu che ne chiedeva le dimissioni per essersi opposto alla "riforma" legge sulla giustizia da lui promossa. Schermaglie dialettiche o desiderio di prendere le distanze da un leader che si vuole oramai in disgrazia superata la guerra?

Certo, anche Galant parla di guerra "lunga" e destinata a "durare per tutto il 2024", ma aggiunge che lo scopo ultimo è ripristinare l'esitazione e il timore fra i nemici di Israele. 

In proposito ha detto esattamente: "la guerra si concluderà soltanto con una vittoria netta e il ripristino della deterrenza. Altrimenti noi ebrei non potremo più vivere in Medio Oriente".

Domanda legittima, ma è altrettanto legittima anche un'altra: vittoria netta e ripristino della deterrenza prevede ancora l'esistenza del popolo palestinese?





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