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La Porta di Vetro

La Festa delle Forze Armate in una Nazione e in un'Europa a rischio disunità

"Il 4 novembre celebra l’Unità nazionale e onora le Forze Armate, le cui imprese hanno contribuito a fare dell’Italia una Nazione indipendente, libera, ispirata a valori democratici e di pace". Inizia così il messaggio del Capo dello Stato al ministro della Difesa Guido Crosetto. Parole che sembrano scandire un grande e sincero rispetto verso coloro che hanno sacrificato la vita per la Nazione e per la Patria nelle guerre guerreggiate e in quelle diverse dai campi di battaglia, e che suonano come incoraggiamento per una comunità - non è comunque l'unica - che appare sempre più confusa e, in alcuni casi, che vede l'ago della bussola impazzire, comunque nella direzione opposta a quei valori democratici e di pace cui si richiama al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

In effetti scorrendo le cronache degli ultimi anni, la Nazione sembra essere libera più nell'accettazione supina al degrado dei costumi che nel convincimento intimo. Del resto, non c'è motivo di stupirsi. Dall'agenda degli scandali che segna un trend perennemente in crescita, alla corruzione sempre in auge, alla sistematica ricerca del privilegio, all'affermazione del nepotismo, dell'amichettismo e del familismo, fattori contrabbandati quasi con spavalderia per meritocrazia, non c'è ambito della vita sociale che ne esca indenne.

Né si può sperare nell'argine della magistratura, la cui azione di contenimento - pur con i suoi limiti - della devianza è quotidianamente oggetto di censure politiche, anche con pericolose invasioni nella sfera personale degli addetti ai lavori, il cui fine ultimo - almeno è questa la sensazione di molti - è quello di convincere l'opinione pubblica che l'indipendenza della magistratura passi solo e unicamente dal severo e neutrale controllo del governo, garante supremo del principio della tripartizione dei poteri. Un controsenso per la libertà. Ed è la stessa libertà onnipresente nei discorsi del Presidente della Repubblica che è anche Capo del Csm, il Consiglio superiore della magistratura. Nel frattempo, il governo scalpella, più che picconare, la Costituzione, quasi a volerla rendere più piccola, formato tascabile, e dunque semplice da minimizzare per nuove e incombenti "madri" di tutte le riforme.

Ripensando al 4 novembre 1918, alla data che fissa una vittoria per il completamento dell'agognata unità nazionale, è doveroso riportare la riflessione anche a ciò che successe negli anni successivi, al male interpretato concetto di vittoria, che fu teso da una parte a mortificare gli stessi che avevano vinto e dall'altro a umiliare gli sconfitti. In entrambi i casi, gli esiti furono devastanti su quei popoli in cui germinò la cattiva pianta del totalitarismo, fascismo prima, nazismo poi. Una lezione che viene con troppa facilità dimenticata.

Come con pari facilità viene dimenticata per altri versi la seconda parte dell'articolo 11 della Costituzione, che si apre con il ripudio "della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", per poi esortare a promuovere "la pace e la giustizia fra le Nazioni" e dunque a ridurre le tensioni internazionali attraverso "le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Ucraina e Medio Oriente dovrebbero indurre tutti noi a domandarci se si è fatto davvero tutto quanto era nelle possibilità dell'Italia per promuovere "pace e giustizia", come appunto sancito dalla Costituzione. Che non nega, sia chiaro, la difesa della propria Patria. Anzi. La reputa sacro dovere di ogni cittadino all'articolo 52. Lo stesso che rende obbligatorio il servizio militare (improvvida sospensione nell'indifferenza generale, come se fossimo un Paese saldo nella sua unità e nei suoi vincoli statuali) e dunque costituzionalmente obbligati a costruire un sistema di difesa.

Una ragione quest'ultima, che unita ad altre ragioni, fa di questo 4 novembre una data che riguarda non soltanto l'Italia, ma l'intera Europa, affinché in nome di una storia lontana e allo stesso tempo vicina siano i cittadini europei a prendersi per mano e a prendere in mano i propri destini per realizzare la piena sovranità nell'esercizio della difesa, che per effetto di trascinamento significa anche diplomazia comune e indipendente, pur nel rispetto delle alleanze. I vantaggi sarebbero incalcolabili. Se non altro, decadrebbe l'esoso copione di firmare deleghe e cambiali in bianco da pagare con tassi di interesse da noi non stabiliti.

Costerà. I cittadini europei dovranno versare una quota maggiore del proprio reddito alla voce "difesa", ma ciò potrebbe offrire l'opportunità legittima all'Unione Europea a esercitare un controllo democratico sulle aziende produttrici di armi, a definire una più equa, soprattutto tecnologica, condivisione del sapere e della divisione del lavoro tra gli Stati. A conti fatti, iniziando un percorso comune, come avvenne a partire dal 1957 con il Mec e prima ancora nel 1951, con la Ceca (Comunità europea per il carbone e l'acciaio), all'Europa potrebbe costare meno dell'onore di "dazi" non sono registrabili sui libri contabili, con il vantaggio di ritrovare quello spirito unitario e di condivisione di ideali indispensabili per diventare una voce autorevole nel promuovere "pace e giustizia".


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