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La "banlieue" di Torino nord: se non c'è dignità, resta la violenza

Rosanna Caraci

di Rosanna Caraci


Dove c’è una finestra rotta, qualcuno ne romperà delle altre. Arriverà qualcun altro che scaricherà immondizia e qualcuno ancora che inizierà a spacciare. E’ la teoria delle finestre rotte, che prova come il disordine urbano e il vandalismo siano in grado di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali.

E’ una teoria che fotografa esaustivamente la situazione a Torino nord. Se la finestra al centro della teoria resta rotta, ci sarà chi eviterà la zona perché avverte un certo degrado e chi, di quel degrado, sarà parte attiva peggiorando la situazione.

Oggi, quello stesso risultato è sotto gli occhi dei residenti di Barriera di Milano, Regio Parco e gli altri quartieri che loro malgrado sono protagonisti delle cronache per episodi di criminalità legati spesso alla immigrazione ma non solo.

L’ultimo cronaca ha avuto al centro della vicenda una faida interna in una famiglia rom, faida culminata con l’incendio di una roulotte nella quale madre e figlia hanno corso il rischio di perdere la vita: i quartieri di Barriera di Milano e di Regio Parco avrebbero dovuto rappresentare, per le amministrazioni che si sono succedute, la sfida per poter esprimere attraverso politiche di integrazione e interazione, l’opportunità per la costruzione di una comunità coesa, dialogante e sicura. Ad oggi la percezione dei residenti è ben diversa.

Degrado, incuria, senso di frustrazione e solitudine. Per coloro che chiedono più servizi, più attenzione prima ancora che un pattugliamento massiccio delle forze dell’ordine sul territorio, a dicembre è arrivata la beffa con la chiusura dell’ufficio posta di via Verres, nel cuore di Barriera. A nulla sono valse le proteste e le raccolte firme dei residenti, le ferme opposizioni del sindaco di Torino Stefano Lo Russo, di molti consiglieri comunali e regionali, dei sindacati, dei dipendenti dell’ufficio postale.

Centinaia i clienti abituali hanno perso  la possibilità di ricevere la pensione, pagare le bollette e spedire i pacchi là dove lo facevano da sempre. Sotto la scure dei tagli di Poste Italiane sono finiti i quartieri più in difficoltà della città che, nella presenza di un ufficio come quello che ha chiuso i battenti qualche settimana fa, avevano un  importante presidio territoriale. La protesta della chiusura degli uffici postali in Barriera ha voluto proprio sottolineare questo, ricordando che la desertificazione è complice del degrado e della criminalità. Laddove togli servizi, i negozi chiudono, le luci si spengono, si crea un teatro favorevole alla malavita; si creano situazioni esplosive.

Dopo il caso della roulotte incendiata, la politica ha fatto sentire la sua voce dai banchi del Consiglio regionale di Palazzo Lascaris e c'è chi, come Nadia Conticelli, consigliera regionale del Partito democratico, non ha potuto non sottolineare le incongruenze seguite allo smantellamento in tutto o in parte, degli accampamenti abusivi sulle sponde dello Stura, in via Germagnano e in strada dell’Aeroporto. Cioè, in altri termini, si evidenzia l'assenza di un progetto complessivo che seguisse gli spostamenti, o coinvolgesse donne e bambini, che sono le prime vittime di un sistema dominato dall’aggressività e dalla costrizione, e non c’è identità culturale che possa giustificarle. La violenza, qualunque sia il contesto in cui si consuma, va condannata e la comunità tutelata. Non c’è colore politico in questo, ma civiltà e democrazia. Parole, che hanno trovato trovano una immediata eco chi, come Nadia Conticelli, per esempio, nel quartiere di Regio Parco ci vive: "E' un quartiere di gente che lavora, che per anni ha condotto battaglie contro il degrado, quando le luci della realtà produttiva della zona  si sono lentamente spente ad una ad una: prima la Manifattura, poi il mercato, poi il tessuto produttivo sull’asse di via Bologna. Con l’arrivo della metro 2 e del recupero di Manifattura Tabacchi, stanno  tornando gli investimenti, ma ci va ancora tempo e chi ha deciso di restare ha diritto ad avere dignità e opportunità da subito”.

Del resto, il diritto alla dignità e alla sicurezza passa attraverso quello di avere una casa. E’ di pochi mesi fa l’inchiesta, realizzata a Torino dalla troupe di Fuori dal coro, del direttore Mario Giordano, la quale ha compiuto un viaggio tra disperati occupanti abusivi e altrettanto esasperati vicini di casa, in regola e spaventati per le attività illecite che si svolgono, praticamente indisturbate, sotto il davanzale. Condomini ATC, le comunemente definite “case popolari” che risultano in stato di profondo degrado, non solo architettonico, ma umano e civico. Ecco che “casa popolare” diventa sinonimo di disadattamento, di periferia non solo urbana ma sociale. Uno stigma che si ripete dagli anni ’70: cambiano i volti, le storie, ma il fattor comune resta lo stesso, anche se i paragoni con il passato sono sempre rischiosi e si muovono spesso su un filo sospeso nel vuoto. Non a caso, è prevista un'audizione a Palazzo Lascaris dei nuovi vertici dell’ATC per una sorta di censimento sul numero di occupazioni abusive degli alloggi, problema esplosivo che, se diffuso in tutta la città, è una vera e propria bomba a orologeria nei quartieri popolari di Torino nord. Situazione cui non è estranea la politica di disinvestimento sul piano dell'accompagnamento sociale che l'ATC ha perseguito negli ultimi lustri. Una inadempienza che ha trasformato le case popolari in una sorta di terra di nessuno, dove ciascuno deve farsi giustizia da sé o subire. Purtroppo è la dura lex degli ultimi e per gli ultimi.


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