top of page
Arianna Passanisi

L'intervista a... Nadia Conticelli: "Rischio svuotamento istituzioni in Piemonte e in Italia"

Aggiornamento: 4 minuti fa

di Arianna Passanisi


“Il Consiglio regionale del Piemonte è fermo. Le commissioni non hanno ancora ripreso i lavori. Probabilmente si riprenderà soltanto la prossima settimana. Ma non si tratta solamente di una pausa fisiologica dettata dalle festività natalizie. La sosta deriva dall’assenza di un calendario e di una programmazione a monte. Semplice disattenzione o superficialità, viene da domandarsi. Non è proprio così. Questo è lo specchio dello svuotamento all’interno delle istituzioni del potere dei luoghi di discussione democratica che portano alle decisioni collettive, alla mediazione che nasce dal confronto, delle posizioni politiche e anche delle esigenze dei cittadini tutti. C’è un lungo filo rosso che oramai unisce la ridotta attività parlamentare a favore della concentrazione di poteri nelle mani del Governo, se non addirittura in quelle uniche di Palazzo Chigi, a quanto si verifica ad ogni livello istituzionale”.

Si incammina su una discesa ripida di preoccupazione l’intervista a Nadia Conticelli, presidente e consigliera regionale del Pd, dopo essere stata fino al suo ritorno a palazzo Lascaris consigliera comunale a Torino. Dal nostro taccuino avremmo voluto estrarre il capitolo del dialogo intergenerazionale, sulle distanze che si registrano tra i giovani e la politica, e sulla stessa disaffezione, se non avversione, che si è incuneata nella società e che si manifesta con la diserzione dalle urne. In realtà, nel contesto piemontese, secondo Nadia Conticelli, “è anche l’atteggiamento di chi governa oggi in Regione e di chi subisce nelle file della stessa maggioranza di destra-centro a nutrire il distacco tra politica e società, favorendo, con calcoli elettoralistici di stampo personale, il peggiore populismo".


Al che la domanda d'apertura non può che essere: qual è l’antidoto al disinteresse verso la politica?

L’esercizio della politica è lo specchio della società, sempre. Talvolta commettiamo l’errore di pensare che i politici rappresentino in un ambito separato rispetto alla realtà, invece col voto scegliamo le persone in cui ci rispecchiamo. La società di oggi è molto variegata e complessa, non solo nell’identità ma anche nelle esigenze; quindi, l’essere i rappresentanti di questa società può significare due cose: o si sceglie di rappresentare solo una parte o si fa ciò che dovrebbe essere l’interesse della polis, che naturalmente può anche coincidere con l’interesse della parte che si rappresenta. Tale operazione oggi appare più problematica alla luce di partiti che non hanno più le antenne sintonizzate sulla società.


Forse, potremmo riprendere il discorso riportando al centro il grado di partecipazione che la politica può stimolare rispetto al momento decisionale ed elettivo.

Se accettiamo l’assunto che la politica è lo specchio della società, dobbiamo però tutti convenire che non può essere una barchetta senza nocchiero. Il cambiamento va guidato e questo è responsabilità della classe politica. Nella mia esperienza politica i giovani sono sempre stati propensi a partecipare ad un momento elaborativo, dove entrino in gioco i valori ma anche la ricaduta concreta delle azioni, ovvero la coerenza. Quest’ultima, però, oggi non è più vissuta collettivamente come un valore, che invece sarebbe funzionale alla partecipazione costruttiva. Oggi, spesso, il politico di grido sbandiera il problema invece di provare a risolverlo, anzi talvolta contribuisce a peggiorarlo. La coerenza richiede anche che il momento partecipativo e quello decisionale coincidano, come avviene in molti Paesi europei a proposito delle grandi opere ad esempio: referendum e débat publique e poi si va avanti. In Italia invece il dibattito pubblico è spesso orientato alla polarizzazione invece che alla soluzione. Si va per slogan, cavalcando comitati di scopo, che inaspriscono la conflittualità e allontanano dalla partecipazione politica la maggior parte delle persone, che non intravedono nessuno sbocco alle loro aspettative concrete. Ci si divide in fazioni, ad esempio “il partito delle auto” contro “il partito delle bici”, come sugli obiettivi di migliorare la qualità dell’aria e di garantire una mobilità accessibile a tutti non fossero consigliabili, come se dovesse “vincere” uno sull’alto.


Nella sua esperienza politica non saranno mancati elementi di frustrazione, perché non sempre ci si davvero nelle condizioni di modificare le cose. Come si reagisce, in quei contesti?

Con il dialogo e il confronto, che diventa più complesso quando ci sono devisioni da prendere, soprattutto se mettono in discussione lo status quo. Ed è in quel momento che tutti dovrebbero fare un passo indietro e la politica spesso non è disposta a farlo, perché pensa la propria sopravvivenza sia legata proprio a quei confini e quel disagio.


Quindi, è possibile fare uso del mezzo della partecipazione quando bisogna decidere?

Si, però costa fatica e non è neanche certo che dia un esito positivo. Serve competenza ed esperienza, che non sempre oggi sono considerate dei valori. Nessuno sceglierebbe mai di farci operare a cuore aperto da un chirurgo senza esperienza, lo stesso dovrebbe essere per i nostri rappresentanti a cui affidiamo la cosa più preziosa che abbiamo, lo Stato e quindi il nostro futuro. Invece si sceglie chi riesce a vendere i migliori slogan. Cambiare l’Italia può solo essere un impegno collettivo e richiede consapevolezza, da parte dei cittadini e dei politici. La transizione ecologica e digitale ad esempio, non possono essere appannaggio di pochi e “ricadere” sulle classi sociali più fragili, economicamente, per età, per cultura o altro. Sono gap che vanno riempiti per mettere tutti sullo stesso piano. Questo crea consapevolezza.


Come si può essere più consapevoli?

Attraverso la semplificazione e la trasparenza vera, a partire dalla legge elettorale. Rincorriamo lo slogan della semplificazione ormai da anni, però è sempre più complesso votare. Poi sul lungo periodo servirebbe un grandissimo investimento culturale ed educativo. Oggi i valori della collettività e della legalità difficilmente sono premianti, soprattutto in campagna elettorale. Spero molto nelle nuovissime generazioni, hanno attraversato il calvario della pandemia e sono molto provate dal punto di vista della fragilità individuale e delle interazioni sociali, però hanno lo sguardo aperto sul mondo e hanno gli strumenti per immaginare e guidare cambiamenti epocali.


Riguardo al quadro politico, sembra che si sia sviluppata una crescente inclusività, anche in termini di trasversalità. I cambiamenti di tendenze all’interno di vari partiti stanno avvenendo principalmente con un passaggio del testimone a politiche donne, considerando per esempio l’influenza di Marina Berlusconi in termini di diritti, all’interno di Forza Italia. Secondo lei, questo progressismo di cosa è frutto?

Credo che sia un cambiamento fisiologico che sta avvenendo su tutti i fronti, anche se con lentezza e fatica. La politica è resistente però la maggiore partecipazione delle donne ai momenti decisionali comporta una maggiore tendenza alla concretezza e alla competenza. Non è detto però che questo renda automaticamente i partiti più operativi sul piano dei diritti. Certamente, già il fatto di vedere molte donne ai vertici è un modello positivo che impatta sulle altre donne. Però bisogna stare attenti perché se le donne legittimano la figura del potere maschile, inevitabilmente presenteranno se stesse, cioè le donne in posizioni decisionali, come delle eccezioni. Dunque, se una Presidente del Consiglio donna è di per sé una buona notizia, il fatto che voglia piegare la grammatica per nascondere la propria femminilità dietro l’articolo maschile, fa un danni, perché afferma la sua eccezionalità. Si è citato Marina Berlusconi. Certo, ci sono delle trasversalità rispetto ai diritti tra le donne di estrazione politica diversa, ma bisogna che questa si traduca in una spinta forte su azioni e leggi concrete.


Trattando di potere, però, sembra che quello delle donne non sia garantito sul loro corpo, considerando la difficile fruizione della legge 194 del 78 sull'aborto. Spesso si imputa una maggiore concentrazione di medici obiettori di coscienza in regioni come la Sicilia, il Molise e l’Abruzzo, almeno, considerando le statistiche, però qualcosa di simile sta accadendo in Piemonte. Per esempio si registra una asimmetria tra i finanziamenti pubblici ad associazioni come il “Movimento per la vita” e la chiusura dei consultori per mancanza di fondi.

Anche in questo caso, a mio avviso, si è scelta la via populista della colpevolizzazione delle scelte delle donne. Quando si parla della 194, si parla di autodeterminazione e di aborto sicuro, che può essere garantito a tutte solo nelle strutture pubbliche. Disinvestire sui consultori va a danno della genitorialità consapevole, della tutela della salute riproduttiva e della gravidanza stessa, perché sono tante le donne che non possono permettersi di pagare il ginecologo privatamene ogni mese. La funzione primaria dei consultori dovrebbe essere innanzitutto quella di porre le donne nelle condizioni di comprendere se vogliano o meno una gravidanza attraverso la prevenzione permessa dai corsi di educazione sessuale e affettiva. Questi strumenti, ovviamente, non si trovano nella camera dell’ascolto, ma nei consultori, che purtroppo in Italia non si trovano neanche dappertutto. I consultori sono nati prima della legge 194 e sono centri gratuiti, aperti a tutti, senza che sia necessaria l’impegnativa del medico. In Piemonte è stata effettuata un’azione lobbistica sulla pelle delle persone, sdoganando una visione della donna che la oggettifica a strumento riproduttivo.


Ultimo argomento. Di recente è terminata l’Italian tech week. Torino è stata scelta di nuovo come protagonista dell’eccellenza tecnologica italiana, ma non è una novità, considerando le aziende che hanno caratterizzato la storia di Torino e del Piemonte, dalla Fiat all’Olivetti di Ivrea. Le aziende e le realtà accademiche torinesi come stanno lavorando e come si stanno distinguendo nell’evoluzione dell’ambito tecnologico che in questo momento sta trovando sviluppo soprattutto nell’intelligenza artificiale?

Torino è sicuramente legata all’innovazione ed anche ai centri di ricerca, in particolare il Politecnico ed anche alla partecipazione delle due fondazioni bancarie e non solo, quindi con una buona sintesi tra pubblico e privato nel senso della ricerca. Il nostro tessuto produttivo è un tessuto di piccola-media impresa che fa un po’ fatica singolarmente a stare oggi in un mercato che è sempre più ampio, ma soprattutto stare dietro alla transizione dell’intelligenza artificiale, però questi nuovi strumenti vanno adeguati, per riuscire ad esprimere la propria identità. Il piccolo riesce ad interfacciarsi con la vastità del mercato, solo se effettivamente include quell’insieme di nuove tecnologie che si sviluppano in positivo, perché nuotare controcorrente non ha senso. Bisogna adattarsi al tempo che viviamo e si deve tentare di valorizzare il nostro tessuto tecnologico e manufatturiero al massimo.

7 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comentarios


L'associazione

Montagne

Approfondisci la 

nostra storia

#laportadivetro

Posts Archive

ISCRIVITI
ALLA
NEWSLETTER

Thanks for submitting!

bottom of page