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Stefano Marengo

L'insostenibile vuoto del Pd

di Stefano Marengo


La classe dirigente del Partito Democratico, Enrico Letta in prima fila, appare singolarmente refrattaria a cogliere la portata della crisi che la sinistra italiana sta attraversando. Al netto di alcuni appelli alla necessità di un cambiamento radicale – in fin dei conti sterili enunciazioni di principio – al Nazareno domina una singolare (considerata la congiuntura politica e internazionale) coazione a ripetere gli schemi del passato.


Tra vecchi riti e stancanti liturgie, comode autoreferenzialità crescono

Nei giorni scorsi la direzione nazionale ha fissato le scadenze per la celebrazione del congresso, secondo un percorso che avrà la sua conclusione naturale il prossimo 12 marzo, con le immancabili primarie. Così facendo, i dem hanno deliberatamente scelto di ignorare che sono proprio le regole che governano la vita interna al partito uno dei principali ostacoli al suo cambiamento. Infatti, possiamo già prevedere - senza che si abbia la sfera di cristallo - che cosa accadrà nel prossimo futuro: per alcuni mesi fioccheranno candidature individuali e cordate di correnti a loro sostegno, dopodiché, quando i soliti capataz avranno trovato equilibri soddisfacenti, ossia tali da non mettere a repentaglio le loro posizioni di potere, si passerà alla legittimazione del nuovo leader per via plebiscitaria, con l’eterno auspicio che il lavacro delle primarie possa surrogare l’assenza di dibattito vero e trasparente, confronto autentico, identità e visione politica.


Il dibattito estenuante e autoreferenziale sul nome del prossimo segretario sarà ancora una volta l’escamotage con cui il Pd dissimulerà la propria indisponibilità a dotarsi di un’analisi critica della società e di una linea d’azione distinguibilmente di sinistra. E mentre iscritti (quanti sono?) ed elettori (che ancora si turano il naso) saranno distratti dagli impetuosi Bonaccini e dalle rampanti Schlein, l’intero gruppo dirigente attuale riuscirà ancora una volta nell’impresa di replicare se stesso, saldo al comando come se nulla fosse mai accaduto. Invece, qualcosa di travolgente è accaduto. Ma a destra.


"Coraggio Pd", fatti ammazzare... ancora una volta

La pulsione alla perpetuazione delle proprie posizioni di potere, da parte dei dirigenti Pd, è onnivora al punto di nutrirsi di paradossi. Prendiamo, ad esempio, la "fresca" - per usare un eufemismo - iniziativa “Coraggio Pd” che si è svolta a Roma sabato 29 ottobre. Coloro che vi hanno partecipato hanno tutte le ragioni per chiedere un passo indietro agli attuali dirigenti dem. Il problema sorge nel momento in cui a farsi promotori e interpreti di tale richiesta sono pezzi della medesima classe dirigente che ha condotto la sinistra italiana al fallimento e che in teoria si vorrebbe mandare a casa. In questo modo l’urgenza della battaglia è sterilizzata dalla mancanza di credibilità di chi se la intesta.


Peggio ancora, il rischio concreto è che, come già avvenuto in passato, le istanze di rinnovamento vengano strumentalizzate da qualche notabile più svelto degli altri a cavalcare l’onda emotiva della disillusione. Detto ancora più chiaramente, è molto probabile che "Coraggio Pd" non sia la via per la rifondazione del partito, ma l’ennesima corrente, o cordata di correnti, dell’universo dem. Del resto, se non si riesce a moltiplicare i voti, si prova con capi e capetti, secondo la più grottesca delle commedie politiche all'italiana. Tutte queste vicende gattopardesche non fanno che consolidare l’impressione dell’irriformabilità del Partito democratico, o meglio rendono impossibile pensare che un cambiamento autentico possa procedere dall’interno del partito. Ma forse proprio qui sta il nodo gordiano che occorre recidere per andare oltre.


Alla ricerca dell'essenza della sinistra

Forse siamo finalmente giunti al punto di riconoscere che la sinistra non può rinascere attraverso alchimie di palazzo e spostamenti tattici di classe dirigente. Se una prospettiva politica di progressismo e giustizia sociale è ancora possibile in questo paese, lo è a partire dal vivo della società, delle sue contraddizioni e dei suoi bisogni. Per questo oggi occorre mettere da parte i contorcimenti di un notabilato che non ha più nulla da dire e stimolare un dibattito che veda protagonisti individui e organizzazioni che nella società mantengono viva un’idea di sinistra.

Penso naturalmente al mondo sindacale “tradizionale” e alle nuove forme di lotta per il lavoro, all’associazionismo nelle sue infinite declinazioni, fondamentale quella parte che si ispira all'ambientalismo, e alle esperienze più avanzate della cooperazione. Sono queste le realtà che oggi dovrebbero darsi convegno e immaginare la sinistra italiana del XXI secolo. Non si tratta, con ciò, di surrogare la politica con la società civile. Si tratta, al contrario, di ri-politicizzare la società e di comprendere i conflitti che la segnano, interpretandoli e governandoli secondo un’istanza di uguaglianza e giustizia. Perché la sinistra o è questo o, semplicemente, non è. Tertium non datur.

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