L'inizio di novembre: spazio per ripensare al mistero della vita
di Luca Rolandi
Inesorabile come il tempo che trascorre, il calendario ci porta ai giorni delle ricorrenze che oggi forse sono meno sentite e sbiadite perché nonostante il pensiero e la dimensione comunitaria resistano, nella era del presentismo contemporaneo e dell’individualismo esasperato si potrebbero presto annullare. Si parla del 1° e 2 novembre, feste religiose e laiche insieme, dei santi cristiani e dunque per antonomasia ricorrenza religiosa e dei defunti, con accezione religiosa e laica. Giornate anticipate dalla festa di Halloween, d’importazione americana, che non ci appartiene, ma che noto, con il passare del tempo, sempre più stanca per il suo rituale gioco e innocente degli adolescenti, ma banale e farsesco per il mondo adulto.
Festa dei Santi e ricordo dei defunti
Partiamo dal giorno di Ognissanti: la Chiesa cattolica nei secoli li ha uniti per una semplice ma profondissima logica e speranza teologica: santità e umanità viva e defunta sono insieme inizio e fine, alfa e omega, principio e compimento tra il “già e non ancora” e l’eterno per l’umanità salvata dalla Redenzione di Cristo, il figlio di Dio. Della festa dei santi, nell’età della post o nuova secolarizzazione, poco resta. Il senso della chiamata della santità fa difetto agli stessi cattolici praticanti che si affidano ai santi, grandi donne e uomini di ogni tempo, portati agli altari dalla gerarchia cattolica piuttosto che interrogarsi alla loro personale vocazione alla santità appunto.
Il santo è considerato il puro, il perfetto, l’incorruttibile, l’inaccessibile. Ma basterebbe dedicarsi ad un sintetico studio di agiografia per comprendere come i profili di santità siano molteplici, diversi, a volte imperscrutabili secondo a canoni dei moderni o di un cristianesimo didascalico, disincarnato e soprattutto maldestramente devoto e assai poco evangelico. Si parla nella comunità cristiana di tutti i santi, quelli noti e quelli anonimi, dai padri della Chiesa, ai santi più vicini alla dimensione del tempo o lontani secoli, a quelli di cui neppure si conoscono biografie, storie, opere e volti. Eppure, è di questi santi magari dei nostri stessi cari che non ci sono più che si dovrebbe fare memoria per unire santità e morte in una sola prospettiva misteriosa, per comprendere come la vita resti un mistero di cui nulla ci è dato di sapere in modo definitivo.
Interrogarsi sulla sofferenza dei nostri giorni
Dunque il giorno 2 novembre, un tempo festa, ora solo ipotetico giorno di ponte, è forse l’emblema di quella realtà che si vuole mascherare, obnubilare con un esercizio di rimozione collettiva di molte culture che porta al suo esatto contrario, al nichilismo in vita prima di ogni fine. Ma la vita e la morte sono due dimensioni del quotidiano, dell’essere in divenire e della trasformazione della vita biologica e interiore. Un sentiero e un percorso che appeso ad un filo esile si spezza e si rafforza fino a consumarsi e a spegnersi in tutti i modi, in tutte le latitudini e nella dimensione stessa del tempo e dello spazio.
L'l e il 2 novembre, invece che interrogarsi sulla vita e sulla morte, credenti e non credenti corrono velocemente verso i cimiteri, campo santo si diceva un tempo “terreno di santità”, per portare un fiore, recitare una preghiera, pensare nel cuore e nei più reconditi e profondi della propria memoria personale e collettiva, famigliari, amici, genitori, figli, parenti, avi e altri ancora. Ma non ci si ferma molto, non ci si interroga con sofferenza e speranza su quella realtà. Dei defunti ci sono i ricordi, oggi anche mille immagini, video, oggetti, ma quello che più conta è la loro misteriosa e indicibile presenza delicata nella nostra vita di vivi, nel quotidiano, nel feriale di tutti i “santi” giorni.
La lezione di Aldo Capitini
In una visione laica, ma spirituale insieme, un grande e forse troppo trascurato pensatore e filosofo, padre della nonviolenza in Italia, Aldo Capitini, elencava come in un rosario cristiano le condizioni dell’umanità ferita, gli scartati direbbe oggi papa Francesco: “Ammalati, anonimi, annullati, chi non ha, chi non è, chiusi, ciechi, colpiti, colpiti dal mondo, consunti, corpi morti, crocifissi, deformi, dementi, dileguanti, dimezzati, diminuiti, disperati, dispersi, dissolti, distrutti, ebeti, esangui, esauriti, esclusi, falliti, fatti a pezzi, fiaccati, gementi, gobbi, gracili, gracilissimi, immobilizzati, inerti, infermi, infimi, insufficienti (relativi e assoluti: morti), irragionevoli, languenti, limitati, lontani, malati, mal ridotti, mezzo dentro la fossa, minimi, morenti, morti, non attivi, pallidi, pazzi, periferici, poveri, presi, rattrappiti, ridotti a un’ombra, scadenti, schiavi, scomparsi, sconfitti, sfiniti, soccombenti, sofferenti, sopraffatti, sordomuti, stanchi, stolti, stroncati, stupidi, trascurabili, ultimi, vecchi, vittime, zoppi”.
Ma anche i vincitori, i ricchi, i sereni e i felici appartengono alla vita e alla sua finitudine, dentro il vortice della morte. In un suo splendido saggio “la compresenza dei morti e dei viventi” il filosofo perugino affermava: “quando si è in un cimitero non si vorrebbe restare custode di una tomba soltanto, anche se di una persona stata a noi carissima; perché essere custodi di tutte, leggere le altre epigrafi, mandare un sorriso a ogni giacente; e ogni osso su dalla terra e dalle casse disfatte, ci è caro un oggetto lasciato, che si direbbe anonimo, ma fu di un essere umano singolo e con un nome”. Forse il primo e il due di novembre potremmo ripartire da quelle parole.
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