La povertà che dilaga: il nuovo muro da abbattere
di Emanuele Davide Ruffino e Edmondo Rustico
I principali istituti di rilevazione (dall’Istat, alla Caritas, alla Croce Rossa) concordano: un italiano su 10 vive oggi in condizioni di indigenza o di pre-indigenza. E' un livello mai raggiunto negli ultimi decenni che presenta una una distribuzione quasi omogenea su tutto il territorio, sia pur con percentuali e composizione lievemente diverse: dal 10% al sud, dove prevalgono i soggetti di origine italiana, all’8% nel nord est, dove prevalgono gli stranieri con il 65% della coorte.
Pandemia e guerra hanno ulteriormente acuito il fenomeno poiché alle tradizionali forme di miseria (famiglie povere da più generazioni o con un basso livello di istruzione) si aggiunge una quota significativa di persone che lo sono diventate nell’ultimo periodo, causa la perdita di lavoro (e che ora stanno consumando tutti i loro risparmi) e i working poor soggetti che pur lavorando non riescono a superare la soglia della povertà (23,6% di quanti si rivolgono ai Centri di Ascolto sono “lavoratori poveri”).
Preoccupa da un lato la situazione dei minori (il 14% del totale con quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri) e, dall’altro, gli over 65 che, seppur rappresentano solo il 5,3%, sono in costante crescita e con pochissime possibilità di uscire dalla situazione.
Di che cosa c’è bisogno ?
Nell’immediato, questi soggetti hanno bisogno di beni di prima necessità, riconducibili al problema alimentare (viveri di conforto, mense ed empori sempre aperti). Da non sottovalutare sono anche i prodotti di igiene personale (sapone e docce) e di riparo dal freddo. Si fanno però sempre più insistenti le richieste di sostegno al pagamento di affitti e bollette (se non soddisfatti questi bisogni si rischia che i soggetti cadano in uno stato di ancora maggiore povertà e quindi bisognosi di maggior aiuto). Un vecchio motto utilizzato dagli economisti ricorda come “il miglior modo di aiutare i poveri, è quello di non diventare come loro”.
Stante la drammaticità della situazione è unanime la condivisione di interventi per stemperare gli effetti più nefasti, ma nel lungo periodo è necessario predisporre soluzioni più strutturali: si è spesso detto che per aiutare i Paesi poveri non bisogna limitarsi a portare bottiglie d’acqua, ma a costruirgli un pozzo o, meglio ancora, insegnarli a costruire un pozzo. In questa logica occorre inserire anche gli aspetti formativi e psicologici che inducono un soggetto a recepire ed attuare un determinato tipo di informazioni e la sua capacità di reagire ai problemi.
Assodato che uno dei fattori predominanti che trascina la povertà è il livello di formazione/educazione ricevuto e la dimensione psicologica (bassa autostima, stati prolungati di frustrazione, disillusione e carenza di capacità progettuale, fattori spesso associati a contesti famigliari fragili) ne consegue che il permanere a lungo in una condizione di povertà riduce significativamente le capacità di reazione. In altri Paesi, in particolare negli USA, i livelli di povertà sono sovrapponibili ai nostri, ma l’ascensore che permette ad alcuni di migliorare la situazione è leggermente superiore (e come tale viene percepita). Il rimanere a lungo (anche per generazioni) in uno stato di povertà annulla invece lo spirito di riscatto.
La sfiducia nel sistema e nelle sue istituzioni che per un’impresa o un operatore è una variabile da gestire nel suo processo economico, diventa un ostacolo insormontabile se si vive in uno stato prolungato di disagio sociale, impedendo di sfruttare quelle poche possibilità che il mercato offre. Di qui la necessità di ragionare su interventi che vadano oltre gli indispensabili aiuti materiali che, nel caso delle povertà multigenerazionali, non appaiono quasi mai risolutivi, anzi impediscono un sussulto di orgoglio.
Si proceda con iniziative concrete
Nonostante l’individualismo (inteso non più come dottrina che pone a suo fondamento i diritti dell’individuo, ma nel suo senso deleterio di tendenza a far prevalere in modo eccessivo gli interessi individuali su quelli collettivi) imperante nelle nostre società sono diverse le iniziative che tentano di arginare il fenomeno.
Alcuni enti (solo per citarne alcuni: San Paolo, donando beni di prima necessità, Enel in collaborazione con la Croce Rossa aprendo sportelli sociali), hanno già avviato iniziative concrete. A questi si affianca il lavoro dei piccoli e grandi comuni che, con nomi diversi, predispongono appositi uffici per sostenere iniziative coerenti alle specifiche realtà. Citiamo per tutti, ma l'elenco è lungo e significativo, l’assessorato del Comune di Torino alle Politiche sociali, Pari Opportunità, Politiche abitative di Edilizia Pubblica, Coordinamento relazioni con Aziende Sanitarie, Beni Comuni diretto da Jacopo Rosatelli e il comune di Beinasco che con Sipontina Russo, titolare delle Politiche Sociali, Assistenza, Casa e Pari Opportunità, Istruzione, Mensa e Nido, si sta prodigando innanzitutto a dialogare con quei cittadini e quelle famiglie emarginate dal sistema o a rischio esclusione confronto nel quale emerge, quotidianamente, un disagio sempre più profondo e una difficoltà sempre più crescente con grosse ricadute a livello locale.
L'abbraccio letale di pandemia e guerra
La costituzione della famosa fascia "grigia" quella parte di popolazione che fino a poco tempo fa riusciva a reggere al sistema ed affrontare le difficoltà economiche e la cui situazione e status, oggi, va a collocarsi in quella zona "invisibile" non abbastanza povera per beneficiare dei sussidi e rientrare in qualche bonus, ma che sta sempre più sprofondando in un pericoloso "invisibile" oblìo del nostro sistema statale.
Non si può nascondere che il contesto sociale soprattutto di questi ultimi anni ha contribuito ad impoverire moltissime famiglie e cittadini, la pandemia, la guerra ed il caro vita stanno aggravando una situazione già da prima precaria e border-line oggi più che mai complessa e articolata. Quotidianamente istituzioni e organizzazioni di sostegno ricevono richieste disperate di persone che si indebitano sempre più per affrontare le spese quotidiane e saldare le utenze, a scapito dell'attenzione alla propria salute, altra grande piaga che si registra da anni nella nostra società.
Non trascurabile è l'effetto psicologico su persone che non si riconoscono più nella dignità acquisita, mentre si spegne l'interruttore delle motivazioni e della forza di volontà che precede l'ingresso nel tunnel della disperazione e che a sua volta produce apatie che si riflettono a catena sull'intero nucleo famigliare con conseguenze depressive plurigenerazionale.
Questa dura realtà, che non si limita ai nostri confini nazionali, impone il reperimento di risorse, mezzi, strumenti, per evitare di creare un problema nel problema con effetti profondi e conseguenze pesanti sul sistema socio-economico.
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