L'endorsement peloso di Tajani a Fitto, "pretoriano" di Meloni in Europa
di Mercedes Bresso
Le polemiche fra i partiti di maggioranza e di opposizione in Italia a proposito della nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente della Commissione Europea sono state già ottimamente commentate da Giancarlo Rapetti su questo sito[1]: i commissari rappresentano l’intera Europa e non il proprio paese, anzi devono garantire di non favorire in nessun modo il proprio. Quindi la valutazione sui candidati non la fanno le delegazioni nazionali ma i gruppi politici, che li interrogano sulle loro posizioni in merito al dicastero loro attribuito in rapporto ai programmi in corso e in divenire. Nel caso di Fitto le domande devono essere relativamente al compimento della politica di coesione e regionale e alle altre competenze, anche in rapporto ai commissari e ai temi che afferiranno alla sua vicepresidenza. Ma le domande più importanti sono relative alla futura programmazione su queste materie che necessitano senza alcun dubbio di una riforma e di un potenziamento, legati alla transizione ecologica e digitale e all’evoluzione di Next Generation EU (il nostro PNRR), che della scorsa legislatura è stato probabilmente l’innovazione più importante e che dovrebbe poter diventare permanente e essere orientato a sviluppare l’autonomia strategica dell’Unione su una serie di materie chiave.
Tutto questo però richiede una visione dell’Europa certo diversa da quella che viene espressa dal partito Conservatori e Riformisti di cui Fitto fa parte, in Italia e in Europa, che non vuole superare i problemi centrali che rendono debole il Vecchio Continente: le decisioni all’unanimità su molte questioni centrali e le competenze che mancano e che sono necessarie a rendere l’Unione competitiva e forte: politica estera e di difesa, bilancio autonomo, politica industriale, politiche sociali. Si capisce quindi la diffidenza dei gruppi progressisti e in particolare dell’S&D, nei confronti di un commissario che, certo una volta era nel PPE, ma che oggi è in un partito anti-europeo e i cui esponenti fanno dichiarazioni inquietanti.
Il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani cerca di difenderlo per ragioni tutte italiane, perché il suo gruppo non deve certo avere molta simpatia per questo commissario che una volta era nel PPE e che poi lo ha abbandonato per un gruppo di destra che, perduti i Conservatori inglesi, ha posizioni politiche confuse. È vero però che nell’ultima legislatura l’ECR è stato spessissimo la stampella del PPE nelle tante scaramucce e battaglie sul Green Deal e su molti altri temi di rilievo e che questo lo rende più gradito. Per un altro verso, ciò peraltro rafforza la diffidenza dei gruppi progressisti della maggioranza.
Vedremo. Però deve essere chiaro che il tema è politico e di politica europea e non ha nulla a che fare con le scaramucce in Patria. Un commissario affidabile su temi di così grande rilevanza è essenziale e questo dovrebbe sapere la Presidente Meloni che lo ha fortemente voluto. E le garanzie da dare riguardano tutta l’Europa e non i partiti nazionali.
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