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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. L'odio, il vero collante della destra eversiva

di Germana Tappero Merlo

Mentre leggo di Astrid Hoem, giovane attivista laburista norvegese, sopravvissuta alla strage di Utøya (22 luglio 2011), e della sua testimonianza dal titolo When hate speech turns into killing alla manifestazione “Più libri più liberi”, in corso in questi giorni a Roma, giungono due notizie che mi allertano ma non mi sorprendono, perché confermano una deriva che mi è nota per quanto sta avvenendo in Europa in questi ultimi anni. La prima è l’operazione delle forze dell’antiterrorismo in Germania contro soggetti legati all’estrema destra violenta ed eversiva, pronti ad un attacco armato al Bundestag[1]. La seconda è quella di oltre una decina di arresti a Verona fra giovanissimi (anche due minorenni) per gli assalti con catene e manganelli a tifosi, per lo più famiglie, del Marocco in festa dopo una vittoria ai mondiali di calcio. Una tifoseria tranquilla, quindi, non come quella, sempre marocchina, che nelle settimane passate ha devastato il centro di Bruxelles, scontrandosi duramente con la polizia, o che si è accanita con atti di vandalismo a Milano. E poi perché a Verona, ed è stato appurato, si è trattato di una vera e propria spedizione punitiva dei facinorosi dalle teste rasate contro i tifosi marocchini, programmata in anticipo e organizzata attraverso chat, sprezzanti anche del forte dispiegamento delle forze di polizia già presenti.


La forza dirompente dell'intolleranza

Germania e Verona, quindi, avvenimenti distanti non solo per geografia, età dei protagonisti e motivi scatenanti. Eppure, i giovanissimi veronesi e i più maturi tedeschi hanno un tratto in comune e me lo evidenzia proprio la testimonianza della sopravvissuta norvegese: i discorsi d’odio. Dai campi di sterminio, il genocidio in Rwanda, la sua Utøya, dice lei e ora, aggiungo io, il piano eversivo e violento tedesco, come pure la rabbia mostrata dai giovani di un’estrema destra manesca veronese, tutto è sempre iniziato con discorsi divisivi e parole intolleranti, che si condensano nella sterile dicotomia “Noi e loro”, “Noi contro di loro”. Nemmeno il richiamo a una qualsivoglia forma di neonazismo accomuna i membri tedeschi del Reichsbürger e i giovani veronesi come parrebbe in apparenza.

I primi probabilmente ne hanno maggior coscienza, ma non è il loro obiettivo prioritario, quanto invece il ritorno ai confini di ciò che è stato il Deutsches Reich, lo stato unitario tedesco dal 1871 al 1945, e tanto altro, come le teorie complottistiche del movimento statunitense QAnon, che è più una rivolta contro il sistema dominante che nostalgia di quel Führer. I secondi, invece, i giovani veronesi, emulano quei duri e cattivi ma, per età e soprattutto tanta ignoranza scolastica, nemmeno sanno collocare il Reich, la politica e le intere vicende hitleriane, men che meno un ragionamento cospirazionista articolato. Quegli emuli dei nazisti di ieri si sono ridotti oggi a giovanissime teste rasate in cappucci neri e svastiche tatuate ed esibite con orgoglioso e irreverente muso duro al pari di maschere e costumi dal sapore nostalgico. Sgradevoli simulacri caricaturali di quel passato seppur testimoni, ora, di una cultura violenta e livorosa, sciaguratamente autentica perché figlia di questa contemporaneità, delle sue contraddizioni e soprattutto della sua rabbia e delle sue paure.

Astrid Hoem

Molto nasce infatti dai “discorsi d’odio”, come afferma la Hoem. Odio è una parola forte, molto più della paura e della rabbia, manifestazioni momentanee di disagio e sofferenza. L’odio infatti è un sentimento che sa di interiorizzato, difficilmente estirpabile, perché ha fatto proprie convinzioni che ora giudica insindacabili. Fino a quando il livore rimane circoscritto al ristretto ambiente del singolo individuo, le sue conseguenze cupe e sovente brutali rimangono limitate; ma se gli si affianca una politica che fa propria una cultura dell’odio che se non lo incita nemmeno lo condanna, ecco che questo odio può diventare un’ideologia, perché in quel momento il livore diventa intransigente e non prono ad alcun compromesso con chi o cosa lo ha generato, finendo per autoalimentarsi quotidianamente.


I semi della violenza politica

È il timore espresso già da alcuni anni da chi studia l’estremismo e la cultura della violenza politica, figlia delle più recenti e mai superate, realmente, crisi economiche e anche di un liberalismo in forte difficoltà, ora costretto a confrontarsi con espressioni politiche più estreme, dalle forti sollecitazioni autocratiche perché asservito a quei fenomeni che sono la personalizzazione e la polarizzazione della politica, con la loro vocazione all’ estremizzazione ideologica, a sua volta negazione del vero e costruttivo confronto democratico. Una crisi del liberalismo che è dato da un mix di spiazzamento economico per ampie fasce di popolazione - per lo più il vecchio ceto medio ora in grande sofferenza in gran parte dell’Occidente[2] – e il potenziamento tecnologico che permette una vasta e maggiore comunicazione, sincrona ed acritica, da alcuni tempi dai toni dispregiativi e dalle previsioni distopiche perché traboccanti di un forte senso di prossima minaccia esistenziale. Ecco perché ora, ed è certo, l’odio è diventato parte dominante di ideologie, pervasive e più radicate di quanto abbia percezione e coscienza l’opinione pubblica, anche nostrana.

A generarlo è intervenuto quell’estremizzazione del manicheo “Noi e loro” dove al centro non c’è una chiara ideologia, una forma di pensiero preciso e ben definito, quanto un patchwork di certezze che hanno il gusto di una cultura tribale. Tutto è ricondotto all’identità, che sia geografica, linguistica, religiosa ed anche razziale, che si percepisce come minacciata da “altro”, che è sempre ciò che le è antitetico, congenitamente differente e quindi incompatibile, per cui questo pericolo si rivela il nemico da eliminare fisicamente e a cui sopravvivere.


Da Breivik agli emulatori italiani e neozelandesi

Ed è qui che l’identità, senza nemmeno accorgerci, è diventata ideologica, oggi, in molti spazi dell’Occidente e in vasti strati della sua società, ed è andata addirittura oltre perché si è gradatamente radicalizzata. E come avviene in tutti i processi di radicalizzazione, che la nostra cultura imputa solo ed esclusivamente a religioni come quella musulmana quando deviata ed estremizzata, ora, anche qui, da noi, si è disposti ad imbracciare armi per difendere quei valori di cui è composta una identità, la nostra, percepita come prossima al baratro esistenziale.

Anders Behring Breivik

Ecco perché a Utøya un Breivik prese il suo fucile e fece strage dei giovani amici di Astrid dalle idee liberali, poi emulato da numerosi altri sicari, come l’italiano Luca Traini, o il neozelandese Brenton Tarrant.[3] Ebbene questi sono i modelli a cui si rifanno parecchi soggetti anche nostrani, e non solo i giovani veronesi, come mostrato dagli arresti, in Campania, nelle settimane scorse, di elementi, decisamente più maturi in età, dell’Ordine di Hagal, di matrice neonazista, suprematista e negazionista, anche in contatto con gruppi combattenti ucraini, come il Battaglione Azov, Pravdi Sector e Centuria[4]. Esiste, quindi, ed è prolifica, una rete di estrema destra violenta anche qui in Italia, composta da moltissime sigle con solo alcune decine di aderenti ciascuna.

Una rete a vasi comunicanti per il continuo scambio di appartenenti da gruppi ciascuno con la propria specificità, il proprio riferimento storico e ideologico, addirittura con proprie modalità di comportamento, ma con un punto in comune, l’elogio dell’esperienza fascista di Mussolini. E anche qui, se si scava nelle ragioni di questa estremizzazione sino alla radicalizzazione dei più giovani verso un’ideologia di colore nero, si scopre che, in fondo, vi è paura per l’incertezza del domani, la perdita di fiducia verso le istituzioni e la diffidenza in ogni ambiente, mista al dubbio di saper affrontare una realtà sempre più complessa che fluisce attraverso miriadi di informazioni di una iperconnettività da cui, proprio quelle nuove generazioni, dipendono e filtrano il loro quotidiano.


Il passaggio da "noi contro loro" a "o noi o loro"

È, in sintesi, quel fear, uncertainty and doubt, FUD, ossia paura, incertezza e dubbio, che poi rappresenta la radice comune a tante motivazioni di atti di terrorismo del nuovo secolo: il FUD viaggia in rete, là dove il mezzo sono le parole, soprattutto di odio ed incitazione alla violenza, per cui quel FUD trova risposte e crea adepti, e sovente la figura di un capo branco risentito e facinoroso. Può accadere nella politica tradizionale; inevitabile invece nella sua estremizzazione. È quella che lo storico Ian Kershaw ha definito la tentazione del “capo espiatorio” per le società democratiche e liberali in forte crisi, ossia di consegnarsi al leader forte[5], che promette appunto salvezza, proponendo soluzioni semplici a una realtà sempre più complessa. E poi c’è la “fame di leadership autocratica” che Moisés Naím sta vedendo crescere fra i più giovani in parecchie zone di questa parte di mondo [6].

Allora penso ai giovani iraniani che, da settimane, combattono come martiri fino alla morte per la libertà dalla ierocrazia, quel regime di casta clericale privilegiata che li sta soffocando da decenni. Anche gli Ayatollah sono una guida sicura, addirittura Suprema, che dà certezze, traccia il percorso di vita, di studio, di realizzazione economica e sociale dei suoi cittadini e, al contempo, è intransigente e dispotica. Insomma, veramente quel “capo espiatorio” in grado di soddisfare quella fame di autocrazia così presente fra certi nostri giovani che a quel punto, però, sarebbero costretti ad accettare, anche quando non gli garbasse, che il loro tanto inneggiato e divisivo “Noi contro loro”, diventi quell’obbligato “O Noi o loro”, lapidario e istigatore all’omicidio, proprio di tutte le dittature di sempre.

È l’aberrazione che, a ragione, Astrid Hoem teme per sé stessa e la sua generazione. “C’è solo una cosa peggiore delle parole d’odio: è il silenzio”, conclude Astrid. Per questo è necessario vigilare, conoscere e denunciare, non minimizzando fenomeni di intolleranza, estremista e fanatica come quelli dei giovani veronesi o dei gruppi neonazisti campani, solo perché composti da poche unità di esagitati. È soprattutto capire per denunciare ed evitare di dover essere messi di fronte a quella scelta forcaiola, così da non permettere di venir colti di sorpresa e uccisi da un odio armato in una calda giornata estiva su un’isola in raduno con amici, o per le strade di città europee dopo una vittoria a calcio oppure, e ancora, per quelle iraniane mentre reclami solo il diritto di essere te stesso.


Note [1] https://www.laportadivetro.com/post/germania-sventato-un-tentativo-dell-estrema-destra-di-assalto-al-bundestag [2] I. Krastev, S. Holmes, La rivolta antiliberale. Come l’0ccidente sta perdendo la battaglia per la democrazia, Milano 2020.

[3] Germana Tappero Merlo, Dalla paura all'odio, Trento 2022, pagg. 215-217 [4] https://www.dire.it/15-11-2022/832028-terrorismo-scoperta-associazione-neonazista-in-campania-quattro-arresti/ [5] I. Kershaw, L’uomo forte. Personalità e potere nell’Europa contemporanea, Bari 2022. [6] M. Naím, Il tempo dei tiranni, Milano 2022, p. 135.

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