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Antonio Balestra

L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Ritorno a scuola, ma in quale scuola?

Aggiornamento: 17 set 2023

di Antonio Balestra

A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico viene spontaneo chiedersi in che direzione andrà la nuova scuola del governo in carica ormai da un anno. Quale dovrebbe essere la scuola disegnata e voluta dal Ministro Giuseppe Valditara? Possiamo affermare che l'inizio è stato caratterizzato da quelle sensazioni e da quei problemi strutturali che ormai da anni affliggono la nostra scuola: troppe cattedre vacanti, un elevato numero di precari che minano uno degli elementi fondamentali dell'istruzione, ovvero la continuità didattica, carenze strutturali e incertezze.


Nuovo piano di dimensionamento

A tutto questo si aggiunge il nuovo piano di dimensionamento che vedrà sparire centinaia di autonomie scolastiche in Italia (molte al sud) oltre alla carenza di dirigenti scolastici che sta costringendo molti titolari a sobbarcarsi una faticosa reggenza. Nel frattempo il Ministero non sembra preoccupato nell’accelerare i concorsi per il reclutamento dei nuovi dirigenti scolastici e quello per la regolarizzazione delle centinaia di migliaia di docenti precari.

Ma se tutto ciò rientra ormai nella 'normalità' a cui la scuola italiana si è da tempo rassegnata, è importante soffermarsi sull'inerzia di un Ministero che, in un anno di mandato, si è distinto principalmente per le numerose uscite “spot” di Valditara. Diventa difficile rispondere alla domanda iniziale, difficile individuare qualsiasi direzione verso cui si stia orientando la scuola del futuro.

In verità siamo in attesa di quella che viene già dipinta come la “riforma Valditara”, già ampiamente anticipata e che sarà incentrata sul riordino dell’importante asse tecnico-professionale, con l’introduzione della cosiddetta “filiera formativa tecnologico-professionale”.


I tanti dubbi sull'attesa riforma

Non possiamo fare a meno di riconoscere che da tempo si sente la necessità di una riforma che metta ordine nell’istruzione professionale ed in quella tecnica, ma dalle anticipazioni del Ministro la riforma non va esattamente nella direzione che ci si auspicava.

In linea con l’ultima riforma del 2017, il Ministro accelera su due aspetti che possono avere riflessi importanti sulla scuola italiana ed in particolare su un settore che intercetta in maniera significativa molti studenti che orientano i loro studi in un percorso scolastico alternativo ai licei e maggiormente indirizzato all’inserimento nel mondo del lavoro.

Da una parte si punta ad avvicinare pericolosamente le imprese al mondo della scuola (cosa in parte già presente dopo l'ultima riforma); dall'altra si rafforzerebbe la regionalizzazione degli istituti tecnici e professionali, affermando e consolidando la loro vocazione territoriale.

La riduzione da cinque a quattro anni di studio svincolerebbe definitivamente la possibilità di un collegamento del segmento tecnico-professionale con il mondo dell’università facendo da traino agli ITS (corsi biennali di perfezionamento post diploma, significativamente legati al mondo delle imprese). L'accelerazione verso la regionalizzazione dell'acquisizione delle conoscenze, inclusa la distinzione tra 'sapere' e 'saper fare' (distinzione tanto cara alla ex ministra Letizia Moratti ed elemento centrale della sua riforma), è perfettamente coerente con l'idea alla base dell'autonomia differenziata, vera e propria riforma di vasta portata che potrebbe pericolosamente influenzare il futuro della scuola (e non solo), minando l'unità del nostro Paese.


Contraddizioni evidenti nella ricerca del consenso

Poi c'è da chiedersi quanto una scuola sempre più circoscritta alle esigenze del proprio territorio possa trovare spazio in un mondo ormai fortemente globalizzato. Forse la risposta si trova nel pensiero predominante dei sovranisti nel nostro paese: il 'made in Italy' del quartierino, in forte contrasto con le nuove generazioni, ormai proiettate a guardare con naturalezza oltre i propri confini.

Ma oltre questa imminente “riforma” le mosse del ministro Valditara sono principalmente caratterizzate da un’improvvisazione basata su dichiarazioni spesso fantasiose, solo apparentemente estemporanee, che invece si inseriscono nel preciso disegno politico di questo governo.

Così, mentre nel cosiddetto 'decreto Caivano' il Governo stabilisce la reclusione per i genitori che non garantiscono l'obbligo scolastico del figlio, nella sede a Roma del ministero in viale Trastevere si promuove l'idea del voto di cinque in condotta, dell'inasprimento dei provvedimenti disciplinari e della sospensione del giudizio per gli studenti con sei in condotta.

Queste proposte sembrano ottenere un ampio consenso nell'opinione pubblica, perché appaiono risolutive ed immediate. Non è importante che molte di queste affermazioni siano non sempre corrette; per il ministro Valditara, ciò che conta è il messaggio che, a quanto pare, arriva all'opinione pubblica sensibile in questi tempi a soluzioni con tali caratteristiche, vicine all'autoritarismo.


Il dietrofront dell'umiliazione "educativa"

Il Ministro sostiene che il voto di comportamento 'deve contribuire ai crediti per la maturità', forse ignorando che attualmente il voto di comportamento influisce sulla media finale delle classi quinte delle superiori e, di conseguenza, sull'assegnazione della fascia del credito scolastico.

Con molta enfasi, si dichiara che 'un cinque in condotta comporterà la bocciatura o l'esclusione dalla maturità', forse ignorando che già in un precedente governo di destra, l'allora ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini aveva stabilito, tramite il ben noto DPR 122 del 2009, l'esclusione dall'anno successivo con un voto di comportamento inferiore al sei.

Qualche mese fa, viale Trastevere aveva anticipato un inasprimento delle sospensioni per gli studenti responsabili di infrazioni gravi rimarcando il valore dell’"umiliazione" come fattore di crescita per i bulli.

Messa da parte l’umiliazione "educativa", dopo un imbarazzante dietrofront, Valditara ha virato negli ultimi tempi sui "lavori socialmente utili" come espiazione della colpa.

Ha presentato questa azione come un'assoluta novità, forse ignorando che già nello statuto delle studentesse e degli studenti (DPR 24 giugno 1998, n. 249) erano previsti i 'lavori socialmente utili in favore della comunità'. Che si tratti di affrontare l’annoso problema del mancato assolvimento dell’obbligo scolastico o il grave aumento di casi di bullismo e di aggressioni all’interno delle scuole questo Governo sembra prediligere l’atto di forza nei confronti del singolo sottraendo alla collettività e alle istituzioni (nel caso di Valditara la scuola) le proprie responsabilità.

È più semplice arrestare e condannare i genitori piuttosto che adottare misure per eliminare quelle disuguaglianze che contribuiscono ai divari sociali e alle gravi forme di esclusione sociale e povertà estrema che sono alla base di questi fenomeni. È più semplice 'rieducare' lo studente colpevole di atti di bullismo, piuttosto che promuovere una riflessione collettiva in classe sugli episodi, puntando sul valore del vivere insieme e riaffermando con forza il valore educativo della scuola. Una strada pericolosa, ma coerente con un ministero che segue le linee guida di un Governo che antepone a una visione moderna del futuro per la nostra scuola, così come per altri settori vitali del nostro Paese, comode scorciatoie populiste.

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