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Maria Grazia Cavallo

L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Il cambiamento è dietro l'angolo: coraggio, basta violenza sulle donne

Aggiornamento: 17 apr

di Maria Grazia Cavallo*


Quando una donna muore per mano di un uomo - e proprio a causa dell’essere donna - si oscura il cielo sopra di noi.


In Italia diminuiscono progressivamente gli omicidi che non hanno connotazione di genere, ma aumentano - in modo sempre più drammaticamente significativo - i femminicidi. Senza che scattino “freni” adeguati a bloccare l’iperbole continua della violenza; senza che si alzino argini capaci di scongiurarla, e nonostante le buone leggi mirate a fronteggiare il fenomeno criminale.

Viene uccisa una donna ogni tre giorni , cioè - detta diversamente, per rendere più efficacemente l’idea della frequenza - ogni settantadue ore. I delitti avvengono, nella maggior parte dei casi, ad opera di uomini ben conosciuti dalle vittime, con cui esse avevano avuto relazioni; o dai quali, in qualche modo, stavano cercando di affrancarsi.

Tecnicamente la definiamo “violenza di prossimità”, spesso agìta da “chi aveva le chiavi di casa”. Dietro questa formula freddamente tecnica scorre però il sangue - ancora e sempre caldo - di centocinque madri, sorelle, compagne, figlie morte dall’inizio di quest’anno 2023.

Con tutta l’angoscia per come sarà il futuro di altri nuovi orfani, che per sempre cercheranno risposte e tregua al dolore devastante e disorientante della più ingiusta fra le privazioni.

Siamo sempre più sconcertati da questo fenomeno che “una volta”- in tempi sempre e comunque duramente difficili, asfittici e ostili per le donne - non era così diffuso. E’ vero. Neppure esisteva il concetto, che è recentissimo, di femminicidio.

Le donne erano completamente sottomesse al sistema patriarcale: coartate, inconsapevoli o talvolta convintamente integrate in esso. Serviva la loro sottomissione per farlo “funzionare”. Cosicché esse si adeguavano ai ruoli gerarchici imposti, fino a trasmetterli ai figli col latte con cui nutrivano e allevavano la stirpe dei padri. In questo modo, di generazione in generazione, il sistema si consolidava, convinceva e permeava le menti di uomini e donne; blandiva le ubbidienti, narcotizzava ogni possibile tentazione di ribellione. Controllava e provvedeva: con le buone o con le cattive .

E si perpetuava sempre di più come naturale, saggio, irreversibile. Contrabbandava per istinto alla dedizione quella che era la sottomissione di genere; la blandiva, la premiava, la valorizzava, la gratificava.

Sia nelle concrete dinamiche prevaricatrici della vita di tutti i giorni; sia attraverso l’accorto uso del potere del simbolico. Infatti, ai simbolismi esplicitamente autoritari affiancava anche quelli ruffianamente gratificanti per le donne, ma che ne confermavano l’irrilevanza sociale.

Un esempio fra tutti? Quello della Giustizia: astrattamente rappresentata dall’immagine di una donna virtuosa, ma da sempre strumento di potere. Dunque: “cosa da uomini” . E perciò, non a caso, resa inaccessibile alle donne per secoli e fino all’altro ieri della nostra Storia.

Ci stupisce che non succedessero tanti femminicidi, nel nostro più misogino passato? Intanto, non ne esisteva il concetto: il termine che lo indica - e che perciò ha dato visibilità ad un fenomeno sempre esistito, ma prima inesprimibile - è recentissimo, di questi ultimi decenni. E poi non ve n’era la necessità, perché non vi poteva essere ribellione del genere femminile nei confronti del potere dominante.

Per secoli le donne vennero considerate, per ogni aspetto, inferiori agli uomini. E anche dopo lo scioglimento del dubbio sull’ipotesi che potessero avere un’anima, rimasero per secoli - nella realtà e nell’immaginario - ad un grado intermedio fra gli animali e i proprietari delle loro vite. Ed è così ancora oggi, in qualche parte del mondo. Per le donne, l’obbedienza e la sottomissione erano strumento per essere accettate e integrate nei sistemi patriarcali. Il pensiero della ribellione non trovava - né avrebbe potuto trovare - strada nella mente di quelle creature. Non avrebbero neppure potuto pensare di ribellarsi.

Al punto che talvolta - e qui arriviamo “all’altro ieri storico” - avresti potuto trovare certe donne “ribelli” addirittura negli ospedali psichiatrici, etichettate come devianti rispetto alla norma, come malate. Ma semplicemente perché, in realtà, pronunciavano parole ed agivano comportamenti pericolosamente disfunzionali al sistema di potere maschile. Non erano “normalizzabili”, ma da emarginare.

Così si spiega il “paradosso” - che però paradosso non è per chi non voglia limitarsi ad una lettura superficiale e contingente dei drammi di questi anni, ma voglia analizzarli dalla prospettiva storica - dell’aumento dei femminicidi parallelamente alla continua crescita del potere femminile. Le donne studiano, ottengono risultati brillanti, diventano indipendenti economicamente, raggiungono posizioni importanti in tutti gli ambiti lavorativi, sociali e politici.

Si affrancano da un dominio talmente ancestrale da essere, per molti uomini, giusto, a loro dovuto e tramandato come rendita di posizione, e quindi indiscutibile, intoccabile, inerodibile. Ma non è così.

Le donne sono andate avanti, soprattutto da sole, certamente a piccoli passi, sempre controvento. Hanno scalato montagne di ostacoli, di pregiudizi; barriere di scetticismo, il loro stesso disagio sociale, sempre percepito, ma ricacciato indietro dall’assertiva consapevolezza di essere all’altezza, di potercela fare.

Hanno scoperto il potere rivoluzionario di quella “sorellanza” che un tempo era l’unico rifugio e sfogo per le loro confidenze, per la loro reciproca, ma impotente solidarietà.

Con questi pensieri oggi piangiamo il martirio di Giulia e delle Rita, Francesca, Patrizia, Virginia, Michele, abbracciamo i loro cari mentre provano il più ingiusto e inaccettabile dei dolori.

E li ringraziamo per l’impegno che stanno profondendo per attivare non un cambiamento, ma “il” cambiamento definitivo, la nascita di una nuova grammatica e di una più evoluta sintassi dei rapporti fra i generi.

I tempi sono maturi per farlo e la consapevolezza di tutta la società è dimostrata da quanto sta avvenendo nelle piazze delle nostre città e nelle agorà mediatiche. Il papà e la sorella di Giulia hanno saputo parlare attraverso il loro dignitoso e razionale dolore; hanno saputo trovare le parole giuste.

Esse sono performanti, cioè cambiano la realtà. Possono farlo in breve tempo, a partire da adesso. Sarà per il bene di tutti.

Quelle parole hanno sollevato , specialmente nei giovani, un forte vento di protesta.

E, come ci insegna Seneca, “non si può fermare il vento con le mani” .



* Penalista


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