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Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Francia e Usa, nodi democratici che ci riguardano

Aggiornamento: 30 giu

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi



Assistere al dibattito tra Biden e Trump, ottuagenari candidati alla più importante poltrona del mondo, quella di Presidente degli Stati Uniti, e gli azzardi mal riusciti del Presidente francese Emmanuel Macron che ha portato oggi (primo turno) alle urne un popolo perché non accettava il responso uscito dalle elezioni europee, lasciano intendere che la democrazia, anche nei Paesi che ne sono stato per secoli gli emblemi, entrambi figli di una rivoluzione - non gode ottima salute. Alcuni gestori della cosa pubblica hanno la pretesa, nonostante l’età o i responsi elettorali di essere gli unici a rappresentare la democrazia in base ad un’assunta superiorità culturale che rischia di infastidire i cittadini. Chi ama la democrazia si rende conto che il problema non è solo criticare l’avversario o proporre misure che ricordano quelle proposte per assecondare demagogicamente il popolo, trascurando una prospettiva di lungo periodo.

 

L'azzardo di Macron

La demonizzazione dell’avversario serve a serrare le file, ma non a gestire i problemi reali e così l'inquilino dell'Eliseo si è illuso di risolvere le questioni aperte con nuove elezioni, senza dare il tempo di sviluppare un dibattito sul futuro della comunità che rappresenta, ma semplicemente sventolando lo spauracchio di mandare al potere una forza senza tradizioni di governo e con vicinanze internazionali (la Russia di Putin) che metterebbero in crisi le politiche occidentali.

Ora, non si è qui a discutere la superiorità della Democrazia su altre forme di Governo, ma sulla presunzione (sempre pericolosa) che alcuni pensano di essere i soli a poterla difendere e, forti di questa presunzione, chiedano al proprio Paese di andare alle urne, senza lasciare il tempo ai partiti di predisporre un programma e agli elettori di esaminarlo. Ma ciò che più preoccupa è lo schematismo con cui la classe dirigente francese accoglie la soluzione (?) politica della consultazione popolare, mentre i problemi sono elusi da una parte e dall'altra, a cominciare dalla riforma della pensioni (costata una pesante contestazione al Governo, ma a cui le opposizioni non hanno offerto una credibile alternativa sostenibile) alla questione migranti al valico di Ventimiglia (più volte picchiati dalla Gendarmeria, mentre i porti francesi con grande enfasi mediatica ospitano le navi delle ONG rifiutate dall’Italia) e all’eccesso di burocrazia in Europa (accentuando una visione manichea tra europeisti ed antieuropeisti, anziché porre sul tavolo proposte praticabili per migliorare le istituzioni comunitarie). In questo scenario, limitarsi a sostenere che la destra è cattiva, e che va quindi "annullata" con il voto, può rivelarsi riduttivo e insufficiente per offrire un quadro d'insieme solido ai cittadini e di riflesso all’intera Europa, che si troverà in una situazione ancor più imbelle davanti alle aggressioni, sia militari che economiche, sempre più evidenti cui è sottoposta.

 

Se l’Europa piange, l’America non ride

Per un certo intellettualismo radicato nella nostra società, che ha sempre trovato comodo posizionarsi sotto l’ombrello della Nato da cui lanciare i propri strali al sistema occidentale, gli spazi di libertà dialettica rischiano di ridursi sensibilmente dalle prossime elezioni di novembre. Inutile negarselo. Chiunque vada alla Casa Bianca, non potrà "pensare" anche ai destini del mondo. Il che significa che l'Europa dovrà dare un senso comune alla sua politica estera e militare, indipendentemente dalle reali intenzioni aggressive che agitano il Cremlino. Non a caso, dal dibattito televisivo tra Biden e Trump è emerso prepotente l'appeal che si è conquistato nella campagna elettorale l'idea di una nuova redistribuzione delle spese militari sui conti economici degli alleati...

Certo, gli Usa non faranno più gli sceriffi del mondo (con buona pace di parte dei loro interessi economici), ma i governanti di 500 milioni di europei dovranno volenti o nolenti mettere le mani nelle tasche dei loro concittadini per proteggerli e dare loro un dignitoso sistema difensivo. Altrettanto certa è la speranza di molti a confidare nella saggezza dei partiti democratico e repubblicano affinché cambino cavalli in corsa, decisione traumatica raramente presa nella storia degli Stati Uniti, per quanto sarebbe auspicabile e provvidenziale. Se non altro, perché per quanto solida, la democrazia americana ora ha necessità urgente di uscire dalle pastoie dei personalismi per ritornare a disegnare la sua visione di società futura, soprattutto sulla questione centrale che investe l'umanità intera, cioè l'ambiente.

Vista dalla balconata europea, la società americana rimane un autentico oggetto misterioso per come non sia riuscita nell'ultimo quadriennio ad esprimere candidati che non siano inchiodati o a problemi psicofisici o guai giudiziari diretti o parentali. Ma noi europei, oltre a seguire i faccia a faccia televisivi americani, dobbiamo interrogarci su quale Europa vogliamo e a quale sfide rispondere, consapevoli di non fare più affidamento sull’alleato nelle forme conosciute dal 1945 ad oggi.

 

  

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