L'Editoriale della domenica. Femminicidi: l’Argentina in piazza contro Javier Milei
di Jacopo Bottacchi
Nel pomeriggio di ieri, 1 febbraio (tarda serata in Italia) decine di migliaia di persone sono scese in strada a Buenos Aires e non solo, convocati dalle organizzazioni della comunità LBGTQ+ e dai sindacati argentini, manifestando contro il Presidente Javier Milei, che è tornato ad occupare le pagine dei giornali di tutto il mondo (Italia compresa) con alcune dichiarazioni durante il Forum di Davos. In quell'assise, il leader de La Libertad Avanza è tornato ad esibire tutta la sua prepotenza verbale, prendendosela per l’ennesima volta con il femminismo, definito “una distorsione del concetto di uguaglianza, che cerca di creare privilegi ponendo una metà della popolazione contro l’altra” e contro la comunità LGBTQ+, associando nuovamente l’omosessualità alla pedofilia.
Alle dichiarazioni di Milei hanno fatto eco quelle del Ministro della Giustizia Mariano Cúneo Libarona, che ha ribadito, attraverso il suo profilo su X, che il governo avrebbe “eliminato il femminicidio dal Codice penale argentino, perché questa Amministrazione difende l’uguaglianza davanti alla legge, consacrata dalla nostra Costituzione Nazionale. Nessuna vita vale più di un’altra”.
Le frasi di Milei e dei suoi sfortunatamente non sorprendono chi segue abitualmente la politica argentina, ma ciononostante continuano ad essere quantomeno scioccanti; probabilmente resterebbero ai margini, confuse tra le chiacchiere da bar, se non provenissero da un Capo di Stato e dalla sua équipe di governo, e se in questi giorni non avessimo letto su molti media italiani gli elogi alla sua attività politico-economica, con riferimenti al “miracolo argentino”, al Presidente che “sta rimettendo in piedi l’Argentina”, e alla “deregulation che fa tornare l’Argentina a crescere”.
Come si era potuto osservare anche in occasione della sua partecipazione ad Atreju nel mese di dicembre, ospite della destra meloniana, sappiamo troppo poco di Milei, anche a causa dell’attenzione selettiva dei mezzi di informazione. Tuttavia, le reazioni nel nostro paese oggi sembrano dividersi equamente tra l’entusiasmo della destra, la ferma condanna della sinistra e il comprensibile smarrimento di buona parte dell’opinione pubblica, che stenta ancora oggi a capire Javier Milei e che, forse, lo considera poco più che un elemento folkloristico, con l’immagine del Presidente che brandisce una motosega durante i comizi per simboleggiare la sua opera di tagli indiscriminati, che sembra relegarlo ad un personaggio di una commedia, o meglio, di una tragedia.
Prima di tutto, dobbiamo ricordare che nonostante la realtà che il suo governo cerca di costruire quando parla del “concetto di uguaglianza” e di “privilegi” per una metà della popolazione, i dati sulla violenza di genere in Argentina rimangono allarmanti (così come quelli italiani, per altro), con 252 femminicidi avvenuti tra gennaio e novembre del 2024. E la situazione in queste prime settimane del 2025 non è migliorata, con 29 femminicidi già registrati, quasi uno al giorno, e 49 tentati femminicidi. Le statistiche non sorprendono, con il 66% delle vittime uccise in un luogo familiare e l’84% degli omicidi ad opera di chi aveva una relazione con la vittima. A questi dati, già allarmanti, si aggiungono poi 169 “vittime collaterali”, ovvero bambini e bambine orfani di femminicidio.
Ciononostante, appena eletto, poco più di un anno fa, una delle prime promesse elettorali mantenute dal Presidente fu l’abolizione di 13 Ministeri, in un’operazione di taglio radicale della spesa pubblica ispirata al principio cardine del pensiero di Milei, secondo cui “lo Stato è il problema, non la soluzione”. Tra i dicasteri colpiti ci fu, ovviamente, anche il Ministerio de Mujeres, Géneros y Diversidad, prima tappa di una serie di scelte sistematiche volte ad attaccare lo stato sociale argentino e, in questo caso particolare, i diritti di genere.
La lista di tagli alla spesa pubblica sarebbe lunghissima, ma non possiamo non citare quelli ai programmi di aiuto e assistenza contro la violenza di genere, a partire dal programma “Acompañar” (che garantiva un aiuto economico alle persone vittime di violenza di genere, facilitandone l’uscita da relazioni abusive e la conseguente emancipazione), o dal personale impegnato nel progetto Linea 144, un servizio telefonico attivo 24 ore su 24 per garantire assistenza costante, legale e psicologica alle vittime, che era attiva dal 2013.
A queste si sommano poi la distruzione del Piano contro le Gravidanze non volontarie durante l'adolescenza, che aveva portato ad una riduzione del 50% dei tassi registrati nel Paese, la scelta di azzerare i fondi per l’interruzione volontaria di gravidanza e la ferma opposizione a qualsiasi forma di educazione sessuale nelle scuole.
Si tratta, insomma, di un attacco ai diritti, che si pone come obiettivo centrale quello di cancellare un pezzo di storia recente, cioè la legalizzazione dell’accesso all’aborto, ottenuto nel 2020 a seguito del costante impegno dei movimenti sociali e dell’enorme supporto popolare. Ne consegue, che la speranza per un’Argentina che continui a garantire che i diritti umani vengano rispettati è proprio legata al costante impegno dei movimenti sociali; come detto sopra, alla Marcia Federale dell’orgoglio antifascista e antirazzista LGBT hanno partecipato decine di migliaia di persone, non solo a Buenos Aires, dove il corteo che si è mosso tra il Congresso e Plaza de Mayo, ma anche nelle principali città argentine e in molti altri luoghi, tra cui diverse città in Europa, compresa Roma, dove un gruppo di argentini si è riunito per protestare davanti al Colosseo.
Sull'andamento delle manifestazioni si ha una netta divaricazione tra le cifre governative e quelle degli organizzatori. A Buenos Aires, riporta il quotidiano Clarin, a detta della Polizia sarebbero scese in piazza oltre 80 mila persone, numero decisamente al ribasso, invece, secondo fonti vicine alle organizzazioni dei diritti civili. Dalle foto pubblicate dai giornali on line della capitale, oltre al già citato Clarin, Pagina12 e La Nación, si ha la netta sensazione di un enorme successo della marcia, alla quale hanno partecipato, tra gli altri, i principali esponenti delle opposizioni, come il governatore della Provincia di Buenos Aires, Axel Kicillof e il leader di Frente Patria Grande Juan Grabois, personaggi di spicco della società civile come la presidentessa della Federación Universitaria Argentina Piera Fernández e il Presidente del Colegio Público de Abogados de la Capital Federal Ricardo Gil Lavedra, numerosissimi esponenti dei movimenti sociali, tra cui le Madres de Plaza de Mayo convocate da Taty Almeida, ma anche personaggi importanti della cultura pop argentina, come le cantanti Lali Esposito e Maria Becerra.
E, poco prima di scendere in piazza, Manuela Castañeda, dirigente del Nuevo Mas (Movimiento al Socialismo) ha dichiarato, attraverso i social network, che “la convocazione della manifestazione aveva costretto il governo a ritirare il progetto di legge che avrebbe eliminato il reato di femminicidio”, affermando che “il governo di ultradestra può essere fermato nelle strade”.
Nonostante l’innegabile entusiasmo e l’enorme partecipazione popolare, fonti vicine al governo avrebbero tuttavia confermato di voler proseguire nel percorso legislativo, pur consapevoli di andare incontro ad una probabile sconfitta. Le prime dichiarazioni sembrano proprio confermare questa intenzione, con esponenti della maggioranza che hanno accusato la comunità LGBT di farsi “usare da personaggi impresentabili” e di partecipare “ad una marcia di opposizione”, e con lo stesso Milei impegnato a condividere articoli dei mezzi di comunicazione di destra, nei quali si sosteneva che il suo discorso fosse stato “falsificato” e che i giornali stessero conducendo una battaglia di disinformazione.
La giornata di ieri lascia così sensazioni contrastanti, tra la speranza di fronte ad un’Argentina che continua a mobilitarsi nelle strade e non si arrende alla violenza del discorso governativo e un’amministrazione tesa a continuare la sua “guerra culturale”, mantenendo inalterata l’agenda di polarizzazione sulla parità di genere e non solo.
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