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Stefano Capello

L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Educare alla Pace

di Stefano Capello



La guerra è in primo momento la speranza che a uno possa andar meglio, poi l'attesa che all'altro vada peggio, quindi la soddisfazione perché l'altro non sta per niente meglio e infine la sorpresa perché a tutti e due va peggio» (K.Kraus, Aforismi). Viviamo in un mondo in cui la guerra e la violenza sono eventi quotidiani. Solo nel Novecento sono morte già più di 100 milioni di persone per l'uso delle armi; e si sono succedute due guerre cosiddette ufficialmente mondiali, ma anche altre che hanno coinvolto decine di nazioni e di contendenti. Se guardiamo il XXI secolo, ci si accorge che muore meno gente, anche se ci sono più conflitti, dall'Ucraina al Medio oriente. Ma la decrescita delle vittime non è un buon motivo per rallegrarsi, perché le guerre o "operazioni speciali" in corso sono altamente distruttive. Questo non dovrebbe portarci a considerare la pace come un bene necessario?

«Imparare» la pace, abilitarsi a vivere la pace è certamente un compito prioritario. Ma è necessario basare il processo educativo su solide fondamenta: trasmissione di conoscenze, creazione di abitudini, modelli, valori e una corretta metodologia, una serie di tecniche che mirino a formare un atteggiamento solidale. Paradossalmente, educare alla pace significa educare a non essere in pace, a non restare indifferenti, a incitare all'azione. E proprio la scuola, mentre riscopre la sua funzione educativa istituzionale, al di là dei compiti puramente di socializzazione e di trasmissione culturale, si fa portatrice delle nuove istanze e vie di educazione che provengono dalle riflessioni comuni sul tema della pace.


Un po' di storia

L'inizio di un più preciso movimento circa l'educazione alla pace nella scuola data dal finire degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta, per mano dei movimenti di rinnovamento pedagogico e della Nuova Scuola. Nel 1927 l'Ufficio Internazionale dell'Educazione di Ginevra tenne a Praga una conferenza sulla pace nella scuola, che proponeva una «Nuova Scuola» con uno sguardo più attento al soggetto e una accurata revisione metodologica. Orientamento reso necessario anche dalle difficoltà derivanti dalle conseguenze morali, culturali ed economiche dovute alla guerra mondiale da poco terminata. Si poneva dunque la necessità di includere nella scuola l'educazione alla pace. Lo scoppio della seconda guerra mondiale vanificò tale intento. Tuttavia, i movimenti di rinnovamento pedagogico hanno continuato a preoccuparsi per l'educazione alla pace. Il movimento «Scuola Moderna» fondato da Celestin Freinet testimonia il suo impegno in tal senso. Nell'assemblea della Federazione Internazionale dei Movimenti della Scuola Moderna, tenutasi a Torino (1982), si costituì una commissione sull'educazione alla pace. Sono anche di rilievo i contributi di Arthur Neill, fondatore della scuola di Summerhill, e di Paulo Freire. Un secondo inizio ha luogo dopo la seconda guerra mondiale e si consolida all'inizio degli anni Sessanta. Si cerca di introdurre la coscienza nella scienza, di scoprire le cause della guerra e della violenza per minarne la legittimità come strumento politico e promuovere così condizioni di pace.

Cosa si intende per educare alla pace

Partendo dalla considerazione che l'educazione non è neutra, poiché presuppone sempre di socializzare gli individui ai valori predominanti o meno nella società, occorre certamente a un primo livello lavorare nella direzione di un allontanamento del pericolo della guerra (questo però rimanda all'individuazione delle cause che la determinano, e dunque ad un allargamento del concetto di pace) e a considerare inoltre il conflitto come qualcosa che si può risolvere senza ricorrere alla violenza. In secondo luogo è necessario elaborare una ulteriore distinzione tra i diversi concetti di pace, per giungere al cuore del problema, che è quello dei valori che rendono possibile una vita piena di tutti. La concezione predominante in Occidente, che affonda le sue radici nella nozione di “Eirene greca” e di “pax romana”, consiste nella non-guerra. Pertanto, presuppone un apparato militare che garantisca l'ordine, dissuada il nemico e assicuri lo status quo. La pace positiva, tuttavia, presuppone un «livello ridotto di violenza diretta e un elevato livello di giustizia» (Adam Curie). Ciò rimanda ai valori dell'armonia sociale, della giustizia, dell'uguaglianza, e quindi al cambiamento radicale della società.

Nel campo di un'autentica educazione alla pace, non si può restare al primo livello; è necessario invece andare nella direzione della difesa e ricerca dei valori prioritari che sono la giustizia e l'uguaglianza. Ovviamente con la partecipazione dei gruppi impegnati, favorendo le loro iniziative, ma cercando anche l'autorealizzazione o autoeducazione delle persone. La pace non è una meta o un fine di livello utopistico, bensì un processo verso ciò a cui si tende. La pace, in sintesi, non è soltanto il contrario della guerra, ma l'assenza di violenza strutturale, l'armonia dell'uomo con se stesso, con gli altri e con la natura. La definizione di pace in definitiva ha una natura politica; tiene in considerazione tanto il potere quanto i bisogni umani.


Quali i tratti caratteristici dell'educazione alla pace? Li elenchiamo quasi come obiettivi intermedi, che portano nell'insieme alla grande pace di cui si accennava. Essi sono particolarmente sperimentabili all'interno dell'istituzione scuola, ma anche nella vita ordinaria dei gruppi. Essa, nel processo di socializzazione, prende posizione per quei valori che incoraggiano il cambiamento sociale e personale; mette in discussione l'atto educativo dell'insegnamento come trasmissione nel quale l'alunno è mero ricevente; intende cioè l'educazione come un processo attivo-creativo; mette l'accento tanto sulla violenza diretta quanto su quella strutturale, facilitando il sorgere di strutture poco autoritarie, non elitarie, che sviluppino la capacità critica, l'autosviluppo e l'armonia personale; lotta contro la violenza simbolica, strutturale, presente nell'ambito scolastico; cerca di far coincidere fini e mezzi; fa cioè dell'apprendistato del modello nonviolento il punto decisivo di risoluzione di ogni conflitto; combina le conoscenze con la creazione di una nuova sensibilità, in modo da favorire la comprensione e l'accettazione dell'«altro»; presta attenzione al modo di organizzare la vita nella scuola, scegliendo tolleranza, partecipazione, solidarietà e simili come modello di vita.

Si tratta, insomma, di imparare a pensare e ad agire in modo diverso, come un processo per il quale si passerà dall'ingiustizia alla giustizia, dall'indifferenza all'impegno. Implicanze dell'educazione alla pace: il trattamento dei conflitti. Si sa che l'atteggiamento che fomenta la guerra non è l'aggressività ma l'istinto gregario, il conformismo, la passività con la quale si accettano i conflitti armati. Allora l'educazione che mira al superamento della cultura di guerra deve combinare la ribellione, la dissidenza e lo spirito critico insieme con la capacità di risolvere o regolare i conflitti con metodi incruenti. Deve perciò lasciar emergere i conflitti durante il processo educativo e perfino generalizzarli. Il conflitto è positivo e necessario per la crescita dell'uomo. Partendo dalla diversità, il conflitto è il processo logico che si verifica quando si cerca di portare avanti un impegno comune, e nella risoluzione del conflitto sta il cammino per arrivare alla pace. Si nega così l'idea di pace passiva senza assenza di conflitti.


Il nucleo dell'educazione alla pace: i valori

La necessità di educare alla «disobbedienza» porta ad un altro problema centrale dell'educazione: come far fronte a certe situazioni o abitudini culturali che contribuiscono al perpetuarsi dell'ingiustizia. Può trattarsi del conformismo e del perpetuarsi dei meccanismi che legittimano la guerra e il militarismo. La soluzione potrebbe essere, come suggerisce Margaret Mead, nel coltivare i valori alternativi, onnicomprensivi, che potrebbero dar luogo ad una cultura mondiale. Si tratta di dar valore alle differenze, come mostra delle ricchezze culturali di un popolo. Tra le tecniche usate al riguardo, applicabili particolarmente bene nella scuola, si può annoverare la chiarificazione dei valori. Si tratta di un processo attraverso il quale si aiuta una persona a scoprire i valori interiorizzati e a sceglierne qualcuno in particolare. La strategia globale verte sui seguenti punti: 1) scegliere liberamente i propri valori; 2) scegliere i propri valori tra diverse alternative; 3) apprezzare e stimare i propri valori; 4) condividerli e affermarli pubblicamente; 5) agire in accordo con essi; 6) agire in accordo con essi in modo ripetuto e costante.

C'è un'idea che un giorno scatenerà la vera guerra mondiale: che Dio non ha creato l'uomo come consumatore e produttore. Che i viveri non sono il fine della vita. Che lo stomaco non ha da crescere sulla  testa e sul cuore. Che la vita non si fonda esclusivamente sul profitto. Che l'uomo è posto nel tempo per avere tempo e non per arrivare con le gambe da una qualche parte prima che col cuore (K.Kraus).


L'aspetto socio-affettivo-ludico

L'aspetto socio-affettivo è importante in ogni apprendimento, e soprattutto nella sperimentazione dei valori. Esso cerca di combinare la trasmissione di informazioni con il vissuto personale per conseguire il sorgere di un atteggiamento affettivo. Uno schema di lavoro all'interno dell'educazione scolastica che parta da questo metodo e che opti per l'integrazione inter- e transdisciplinare, può essere il seguente:- promozione dell'affermazione e dell'autosistema, partendo dall'idea che la disistima impedisce l'apprendimento;- sviluppo di un sentimento di fiducia in se stesso e negli altri, accompagnato dalla messa in pratica dell'autocritica;- promozione del sentimento di gruppo e di comunità: incoraggiare assicurando che esiste una comunità a cui appoggiarsi;- risoluzione di problemi e conflitti concreti;- organizzazione del lavoro scolastico mediante forme alternative di socializzazione e produzione della conoscenza;- apprendistato della «disobbedienza» intesa come anticonformismo.

In questo schema ha una particolare importanza il gioco, come esperienza attraverso la quale si conosce la realtà e si trasmette il modello di società. Per questo è importante presentare alternative ai giochi abituali, e utilizzarle come elemento pedagogico ludico, partecipativo, orizzontale e creativo. Per prima cosa è necessario creare un ambiente all'interno della scuola e della casa; se esiste uno spirito di cooperazione si ottiene l'atmosfera giusta per l'apprendimento, cosi come per dei buoni rapporti interpersonali. Se si riesce a dedicare più tempo a questa attività, i rapporti tra bambini e adulti miglioreranno notevolmente. È necessario anche che all'interno del gruppo sia attivo il maggior numero possibile di canali di comunicazione per trasmettere sentimenti, nel modo più rapido possibile e senza interferenze. È auspicabile che il bambino acquisisca la capacità di prendere decisioni in gruppo ricercando il consenso degli altri, tenendo in considerazione gli interessi delle differenti parti implicate e facendo uso della porzione di potere che gli spetta.

Tale «porzione» deve essere uguale per tutti; questo concetto è appunto basato sulla uguaglianza. 1) Celebrazione della giornata scolastica della pace (30 gennaio), mettendo in evidenza la necessità della pace per la convivenza. Sarebbe auspicabile sostenere tale celebrazione con manifestazioni come un festival per la pace con drammatizzazioni, musica, poesie, proiezioni, ecc. 2) Celebrazione di altre possibili date: - giornata delle Nazioni Unite (24 ottobre); - giornata dei diritti umani (10 dicembre);- giornata internazionale della donna (8 marzo);- giornata internazionale per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (21 marzo);- giornata mondiale della società. Le possibili attività sono: pittura all'aria aperta, marcia per la pace, festa per la pace, programmi radio, riviste, ecc. 3) Trasformazione del gioco bellico. Eliminare i giocattoli che suppongono violenza o culto della violenza, proporre giochi alternativi. Se qualcuno avesse raccontato al diavolo, per il quale la guerra è stata da sempre una pura passione, che un giorno ci sarebbero state delle persone che avrebbero avuto un interesse commerciale nella continuazione della guerra, che non si sarebbero nemmeno sforzate di nasconderlo e anzi si sarebbero servite dei loro guadagni per farsi valere in società - il diavolo l'avrebbe invitato ad andare a raccontarlo a sua nonna. Ma dopo, una volta convintosi del fatto, l'inferno si sarebbe infiammato di vergogna e lui avrebbe dovuto riconoscere di essere stato sempre in vita sua un povero diavolo! (K.Kraus).

 

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